COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE BARI – Sentenza 30 settembre 2013, n. 95
Accertamento – Divieto di prova testimoniale -Dichiarazioni di terzi acquisite dai verificatori in assenza di contraddittorio con il contribuente – Legittimità – Sussiste
Svolgimento del processo fatto e diritto
Con i ricorsi depositati nelle date del 30/11/2012; 30/11/2012; 21/2/2013 e 21/2/2013 ed introitati rispettivamente ai nn. 4278/12; 4279/12; 644/13 e 650/13 di questa CTP, la società E. Import Export Srl, in persona del legale rappresentante pro-tempore sig.ra D.A., ed i soci: D.A., D.F. e D.M.A., tutti e quattro rappresentati e difesi dall’avv. G.F., impugnano:
– la società: l’avviso di accertamento n. TVF031302138/2012, notificato il 23/5/2012, con il quale l’Agenzia delle Entrate di Bari, Dir. Prov. di Bari, determina, per l’anno d’imposta 2007, le seguenti maggiori imposte: IRAP per € 7.028,00 ; IVA per € 15.737,00, oltre a interessi e sanzioni, queste ultime ammontanti a € 14.463,75;
– D.A., socia della società al 60% – l’avviso di accertamento n. TVF011302202/2012, notificato in data 25/5/2012, con il quale la stessa Agenzia delle Entrate determina, per l’anno 2007, le seguenti maggiori imposte: IRPEF per € 36.939,00; Addiz. Reg. per € 850,00; Addiz. Com. per € 188,00, per un totale di € 37.977,00, oltre a interessi e sanzioni quest’ultime irrogate nella misura di € 37.977,00.
– D.F., socio della società al 20% – l’avviso di accertamento n. TVF011302207/2012, notificato il 25/5/2012, con il quale la medesima Agenzia delle Entrate determina, per l’anno 2007, le seguenti maggiori imposte: IRPEF per € 13.469,00; Addiz. Reg. per € 284,00; Addiz. Com. per € 63,00, per un totale di € 13.816, oltre a interessi e sanzioni, queste ultime irrogate nella misura di € 13.816,00;
– D.M.A., socia della società al 20%- l’avviso di accertamento n.TVF011302212/2012, notificato il 25/5/2012, con il quale la richiamata Agenzia delle Entrate determina, per l’anno 2007, le seguenti maggiori imposte: IRPEF per € 8.435,00; Addiz. Reg. per € 284,00; Addiz. Com. per € 63,00, per un totale di € 8.782,00, oltre a interessi e sanzioni queste ultime irrogate nella misura di € 8.782,00. Tanto fa seguito al PVC redatto in data 9/7/2009 dalla GdF di Altamura dal quale emerge una incongruità dell’imponibile dichiarato dalla società rispetto a quanto presuntivamente determinato ex art. 39, comma 1, lett. d) DPR n. 600/73.
In sintesi, i verbalizzanti, sulla base delle informazioni ricevute dal sanitario del mattatoio e riportate nel PVC, hanno rilevato che, per l’anno 2007, la resa di carne equina è stata pari al 55%(rapporto tra il peso dell’ animale vivo e quello dopo la macellazione) a fronte della resa del 51,72 dichiarata.
Automaticamente, detto maggiore accertamento, rilevato in capo alla società che è a ristretta base societaria, si presume attribuito a ciascuno socio, quale reddito da capitale (Cassaz. 3113/2006), in proporzione alla quota di partecipazione, indipendentemente dall’effettiva percezione.
Le argomentazioni che i ricorrenti (società e soci) rappresentano a supporto delle loro doglianze, sono fondamentalmente le stesse; per cui queste vengono unificate come appresso:
1) Infondatezza ed illegittimità dell’avviso impugnato e dei risultati dell’accertamento – inutilizzabilità delle dichiarazioni di terzi;
2) mancata allegazione al verbale della dichiarazione del terzo;
3) inutilizzabilità del metodo induttivo;
4) nullità dell’avviso per difetto di motivazione.
In conclusione, i ricorrenti chiedono:
la sospensione degli atti opposti, accolta all’udienza del 4/2/2013, per la società e per D.A. e all’udienza del 15/4/2013 per D.F. e M.A.; l’annullamento degli atti medesimi, con vittoria di spese; la discussione delle controversie in pubblica udienza. Inoltre, in allegato al suo ricorso, la società ricorrente produce una perizia di parte giurata dalla quale si evince che lo scostamento rilevato dai verbalizzanti non è puntuale in quanto prende in esame solo gli animali adulti mentre per i puledri la resa di carne è del 45%.
Con note presentate in diverse date, l’Agenzia delle Entrate, Dir. Prov. Bari, si costituisce in giudizio e contesta tutte le avverse deduzioni ritenendole infondate.
In via preliminare , ravvisando l’esistenza di un rapporto di pregiudizialità sostanziale tra le cause della società e quelle dei soci (Cassaz. SS.UU. n. 14815/2008- Cassaz. Ord. 16910/2011) chiede la riunione di tutti e quattro i ricorsi in epigrafe per connessione oggettiva e soggettiva.
Poi, contesta le singole eccezioni ritenendole prive di fondamento.
Infine, chiede il rigetto dei ricorsi, con vittoria di spese che, con note a parte, quantifica in € 2.335,50, per la società; in € 451,12 per D.M.A.; in € 707,62 per D.F. e in € 1.357,88 D.A..
Con successive memorie illustrative la società ricorrente contrasta le controdeduzioni dell’Ufficio e conferma tutto quanto dedotto col proprio ricorso introduttivo.
Con altre successive memorie illustrative la stessa società ricorrente, in merito alla resa della carne equina per l’anno 2007, presenta una tabella pubblicata dall’ISTAT dalla quale si evince che la resa media di macellazione è del 54,7%.
Questa percentuale è inferiore alla resa di carne indicata nel PVC dalla GdF ( che va da un minimo di 55% a un massimo di 65%), ed è di gran lunga superiore, così come afferma la parte stessa, a quanto realmente certificato dai medesimi dati statistici che vanno da un minimo del 44,5% a un massimo del 64,9%.
Ne consegue che la resa calcolata dai militi per l’anno 2007, calcolata sulla base della dichiarazione, essendo pari al 51,7%, è in linea con la resa certificata ISTAT.
Inoltre, con altra perizia giurata di parte allegata a queste ultime memorie, il prof. M.F. rappresenta che la resa degli animali, adulti e puledri, non è del 51,2%, così come erroneamente calcolato dalla GdF ma si aggira intorno al 55% che è una percentuale superiore sia alla resa di macellazione stabilita per gli equini dall’ISTAT per l’anno 2007, sia ai minimi statistici, la cui tabella è riportata anche sul sito agri.istat.it.
In conclusione, la società conferma le richieste di cui al proprio ricorso introduttivo.
All’udienza odierna di merito, la Commissione, sentito il relatore, sentite le parti ricorrenti, sentita la parte resistente che produce la copia della sentenza n. 45/24/12 con la quale questa CTP rigetta analogo ricorso presentato dalla medesima società per l’anno 2006, in camera di consiglio decide come da dispositivo.
Motivi di decisione
Con i ricorsi in epigrafe la società E. Import Export Srl ed i tre soci sigg. D.A., F. e M.A., impugnano gli atti a ciascuno di essi notificati ritenendoli illegittimi sulla base delle argomentazioni tutte innanzi riportate.
Con le eccezioni di cui ai punti sub 1) e sub 2), che vengono unitariamente considerati, perché interconnessi, i ricorrenti rappresentano:
– che a seguito di visita ispettiva, riguardante il triennio 2005/2007, i verbalizzanti hanno constatato la regolarità delle scritture contabili senza rilievo sulla documentazione analizzata; che per stabilire la percentuale presuntiva di resa della carne macellata rispetto all’animale vivo, i verbalizzanti si sono avvalsi di informazioni fornite dal dott. V.A., responsabile sanitario del Mattatoio di Altamura, il quale ha riferito che il peso medio degli equini adulti vivi varia dai 550 ai 1000 Kg mentre la resa della carne oscilla tra il 55% e il 65%;
– che detta resa, secondo lo stesso sanitario, varia in base alla razza, all’alimentazione, alla provenienza, alle modalità di allevamento ecc.;
– che, sulla base di quanto riferito dal sanitario , l’Ufficio ha preso come misura certa di paragone la percentuale del 55% ed ha rilevato che per il 2006 la resa è stata del 52,04%, con uno scarto del 2,96% rispetto a quella di raffronto, mentre per il 2007 la resa è stata del 51,72%, con uno scarto del 3,28% su quella di raffronto;
– che la dichiarazione del sanitario non è stata allegata al PVC né all’avviso di accertamento opposto, ragion per cui costituendo essa una dichiarazione di terzi, doveva essere comprovata con ulteriori elementi gravi, precisi e concordanti;
– che agli atti non risulta alcuna perizia del dott. V. sottoscritta dallo stesso e portata a conoscenza della ricorrente società in sede di verifica ovvero in sede di accertamento;
– che in presenza di una dichiarazione di terzi non verbalizzata né allegata, la stessa è inutilizzabile nel processo tributario. Tutt’al più essa può fornire elementi indiziari, e come tali questi devono essere valutati dal giudice , ma non possono essere fondamentali (Cassaz. 5957/2003); che la dichiarazione del terzo, così come la prova testimoniale, è priva di efficacia giuridica perché finirebbe per superare il disposto dell’art. 7, comma 4, del D.Lgs. n. 546/92 atteso che introdurrebbe nel processo tributario, eludendo il divieto di giuramento e prova testimoniale, un mezzo di prova non solo equipollente a quello vietato, ma anche costituito al di fuori del processo (Cassaz. 6755/2010). L’Ufficio, da parte sua, ritiene infondate le deduzioni delle parti ricorrenti rappresentando che i dati percentuali presi a base del calcolo per gli avvisi di accertamento opposti, provengono da fonte qualificata e certa, per cui spetta ai ricorrenti dimostrare la non veridicità degli stessi così come riportati a pag. 15 del PVC. Circa, poi, quanto dedotto dalle parti in merito alla necessità di considerare anche la moria degli animali durante il viaggio come pure il fatto che il peso effettivo da prendere in considerazione è quello dell’animale prima della macellazione ovvero quello all’arrivo dello stesso, l’Ufficio rappresenta che la parte non esibisce alcun documento che attesti l’avvenimento di dette condizioni le quali, se esistenti, potrebbero costituire elemento di prova contraria a quanto fornito dal sanitario e riportato dai verbalizzanti.
Con riferimento alla invocata doppia presunzione, l’Ufficio precisa che i dati forniti dal sanitario non possono considerarsi presunzioni ma elementi noti e certi dai quali si possono rilevare presunzioni legittime.
In merito alla legittimità del contraddittorio, che necessita prima della notifica dell’avviso di accertamento, l’Ufficio rappresenta di non essere assoggettato ad alcun obbligo avendo la parte ricorrente la possibilità di chiedere il contraddittorio mediante l’attivazione dell’accertamento con adesione di cui all’art. 6 D.Lgs. n. 218/97.
Relativamente all’utilizzo delle dichiarazioni rese da terzi, poi, l’Ufficio rappresenta che esse, essendo state raccolte e verbalizzate nel corso d’indagine, proprio perché non aventi valenza di prova testimoniale, possono essere utilizzate in sede processuale come informazioni destinate, assieme alle altre risultanze ispettive, all’apprezzamento di fatti fiscalmente notevoli con prudente discernimento del giudice.
Ciò premesso, il Collegio, dopo un attento esame delle eccezioni sollevate dalle parti e delle controdeduzioni dell’Ufficio, ritiene di condividere in toto le controdeduzioni di quest’ultimo e ad esse rinvia.
In ogni caso, al fine di una valutazione più organica e approfondita della controversia, rileva che nel processo tributario le dichiarazioni del terzo, acquisite dalla GdF e trasfuse nel processo verbale di constatazione, a sua volta recepito dall’avviso di accertamento, hanno valore indiziario, concorrendo a formare il convincimento del giudice. Il tutto, se riveste i caratteri di cui all’art. 2729 c.c., dà luogo a presunzioni semplicisti. 39 DPR n. 600/73 e art. 54 DPR n. 633/72), generalmente ammissibili nel contenzioso tributario, nonostante il divieto di prova testimoniale (giurisprudenza ormai pacifica. Fra le tante, vedi Cassaz. 21813/2012).
Nel caso di specie, le informazioni fornite dal sanitario ed inserite nel PVC, non rivengono da una fonte qualunque, ma rivengono da fonte esperta ed altamente qualificata, qual è, appunto, il sanitario del mattatoio, per cui le stesse possono essere ritenute di per sé molto affidabili e le presunzioni che da esse scaturiscono possono considerarsi fornite dei requisiti della gravità, precisione e concordanza di cui all’art. 2729 c.c..
Se poi i dati forniti dal sanitario trovano conferma in altri dati forniti da Istituti nazionali deputati a detti rilievi, allora la questione assume i caratteri che sfiorano la certezza.
Ed infatti nella tabella pubblicata dall’ISTAT in ordine alla resa di carne rilevata per l’anno 2007(prodotta dalla parte), quell’Istituto evidenzia che, a livello nazionale, la resa della carne equina è del 54,7 % (invero, da quella tabella, non emergono affatto le indicazioni rappresentate dalla società ricorrente ; e cioè che l’ISTAT avrebbe certificato percentuali oscillanti tra un minimo del 44,5% e un massimo del 64,9%).
Questa percentuale del 54,7%, come si nota facilmente, è molto vicina a quella del 55% riferita dal sanitario ed è anche vicina a quel 54,4% rilevabile nella prima perizia prodotta dalla stessa parte e presentata in uno con le memorie illustrative; mentre si discosta sensibilmente dalla percentuale del 51,72% che i verbalizzanti hanno rilevato in sede di accesso così comè riportata nel PVC.
Pertanto, tenuto conto che le informazioni fornite dal sanitario sono molto attendibili e tenuto conto che l’ISTAT ha calcolato il 54,7%, il Collegio ritiene che quest’ultima percentuale possa essere considerata più puntuale in quanto ricavata attraverso valutazioni scientifiche.
Circa, poi, la allegazione all’atto opposto, ovvero al PVC, della informazione del sanitario assunta dai militi in sede di verbalizzazione, il Collegio rileva che la sua mancanza non può costituire motivo di nullità dell’atto opposto atteso che nell’attuale sistema giuridico, non sussiste alcun obbligo di acquisizione delle dichiarazioni extraprocessuali rese da un terzo in contraddittorio con il contribuente.
Infatti, la circostanza che le dichiarazioni, utilizzate dalla Amministrazione e prodotte in giudizio, siano state acquisite in assenza di contraddittorio non pregiudica il diritto di difesa, in quanto il contribuente può sempre contestare la veridicità delle dichiarazioni rese da terzi e poste a fondamento della pretesa impositiva.
Senza considerare che, in attuazione del principio del giusto processo, e segnatamente per il principio della parità delle armi processuali di cui all’art. 111 della Costituzione, il potere di introdurre dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale è riconosciuto anche al contribuente (Cassaz. 4269/2002; n. 7707/2013).
Inoltre, la allegazione dell’atto presupposto sconosciuto, non costituisce di per sé un obbligo quando l’atto impositivo riproduca, direttamente o indirettamente (cioè per relationem), il contenuto essenziale dell’atto richiamato.
Detta disposizione, pur ponendosi in continuità logico-giuridica con i principi di chiarezza e motivazione degli atti della Amministrazione finanziaria, ne attenua il rigore esonerando dall’obbligo dell’allegazione in tutti i casi in cui venga riprodotto in motivazione il contenuto essenziale dell’atto richiamato, per tale intendendosi l’indicazione degli elementi da cui trae le mosse la pretesa impositiva (Cassaz. 13774/2013).
Nel caso in esame si ha che la dichiarazione riportata nel PVC nei suoi elementi essenziali viene richiamata nell’atto impositivo opposto e contiene gli elementi essenziali su cui si fonda l’atto medesimo.
Se la parte volesse contestare la veridicità delle informazioni richiamate nel PVC, il Collegio ritiene che non sia questa la sede idonea per provvedervi.
Il PVC, infatti, ha natura di atto pubblico assistito da fede privilegiata, ex art. 2700 ce, e tale natura si manifesta anche rispetto a quegli atti richiamati esplicitamente nel medesimo PVC che siano stati posti in essere da pubblici ufficiali.
Ne deriva che per contestare la veridicità dell’atto richiamato nel PVC necessita proporre querela di falso (Cassaz. 14328/2009).
Così valutata, la eccezione esaminata viene unitariamente considerata infondata.
Passando all’esame della eccezione di cui al punto sub 3), la società lamenta la inutilizzabilità del metodo induttivo.
Per la ricorrente, infatti, il metodo induttivo posto in essere dall’Ufficio è errato perché questo si può attivare quando gli scostamenti rilevati sono enormi (Cassaz. 24434 e 24436/2008), tali da privare la documentazione contabile di ogni attendibilità (Cassaz. 15310/2001; 24532/2007).
Inoltre la Cassazione (21536/2007) statuisce che le gravi incongruenze consistono nel fatto che una impresa commerciale dichiari, ai fini dell’imposta sul reddito, per più anni di seguito, rilevanti perdite nonché una ampia divaricazione tra costi e ricavi. Quindi deve sussistere una condotta commerciale anomala che giustifichi l’applicazione dell’art. 39 succitato.
Tutti questi elementi sono inesistenti nel caso di specie tant’è che nel 2006 e nel 2007 la società è risultata in linea con le risultanze degli studi di settore
Per l’Ufficio, invece, il metodo applicato non è quello induttivo puro, così come ritenuto dalla società, ma quello analitico- induttivo di cui all’art. 39, comma 1, lett. d) DPR n. 600/73. Ne consegue che anche in presenza di una corretta tenuta della contabilità questa non pregiudica il metodo applicato, potendo l’Amministrazione finanziaria avvalersi del procedimento analitico-induttivo ogniqualvolta vi sia una fondata presunzione di certezza, precisione e concordanza degli elementi assunti a base dell’accertamento.
Invero, prosegue l’Ufficio, la stessa Cassazione (sent. n. 16642/11) afferma che anche in presenza di una contabilità formalmente regolare, i ricavi possono essere ritenuti falsi in base alla loro sproporzione per difetto rispetto ai costi, per cui è sempre legittimo l’accertamento analitico-induttivo quando l’esposizione dei ricavi sia talmente ridotta rispetto ai costi da indurre a ritenere antieconomica la gestione (Cassaz. 21165/2005).
Nel caso di specie la società ricorrente è da ritenere a forte rischio di evasione fiscale atteso che redditi irrisori a fronte di volumi d’affari per milioni di euro contraddicono ogni logica imprenditoriale e depongono per un posizionamento fuori mercato che, ove persistente, non giustifica la sopravvivenza dell’impresa. Infatti la società ha dichiarato:
– nel 2005, una perdita di esercizio di € 47.892 a fronte di un volume d’affari di € 1.422.254,00;
– nel 2006 ha dichiarato nessun reddito imponibile a fronte di un volume di affari di € 2.877.026,00;
– nel 2007 ha dichiarato nessun reddito imponibile, a fronte di un volume d’affari di € 3.068.000,00;
– nel 2008 ha dichiarato un reddito imponibile di € 35.282 a fronte di un volume d’affari di € 3.193.887,00;
– nel 2009 ha dichiarato un reddito imponibile di € 63.781,00 a fronte di un volume d’affari di € 4.090.053,00;
– nel 2010 ha dichiarato un reddito imponibile di € 17.737,00 a fronte di un volume di affari di € 4.480.015,00;
– nel 2011 ha dichiarato un reddito imponibile di € 46.625,00 a fronte di un volume di affari di € 3.025.745,00 ( ed al quadro RF un risultato da conto economico di – 4.630,00 e ricavi effettivi per € 3.947.561,00).
Inoltre, nell’anno 2007 la società ha 5 dipendenti che dichiarano un reddito maggiore del loro datore di lavoro; mentre nel 2010 i dipendenti sono passati a 47 e nel 2011 a 37. Orbene, dall’esame delle doglianze di parte e delle controdeduzioni dell’Ufficio il Collegio rileva che in deroga al criterio dell’accertamento analitico, il reddito d’impresa può essere determinato in via induttiva (cioè extracontabilmente) ovvero in via analitico-induttiva.
La prima via, disciplinata dall’art. 39, comma 2, DPR n. 600/73 viene applicata dall’Ufficio ogni volta ci sia una contabilità inattendibile.
In questo caso l’Ufficio può prescindere in tutto o in parte dalle risultanze delle scritture contabili ed accertare induttivamente il maggior reddito utilizzando presunzioni anche non dotate dei requisiti della gravità, precisione e concordanza.
La seconda via, disciplinata dall’art. 39, comma 1, lett. d) stesso DPR, (è il metodo applicato dall’Ufficio nel caso di specie), viene posto in essere quando le presunzioni hanno i requisiti della gravità, precisione e concordanza pur in presenza di una contabilità attendibile.
In proposito, la Cassaz.(sent. n. 13915/2009) precisa che in presenza di scritture contabili formalmente corrette, queste non escludono la legittimità dell’accertamento analitico-induttivo del reddito d’impresa, ai sensi dell’art. 39, comma 1, lett. d) DPOR n. 600/73, qualora la contabilità stessa possa considerarsi complessivamente inattendibile in quanto confliggente con i criteri della ragionevolezza e del comune buon senso.
In tali casi è, pertanto, consentito all’Ufficio dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere, sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, maggiori ricavi o minori costi, con conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente (vedi anche: Cassaz. 1711/2007; 26130/2007).
Inoltre, la stessa Cassazione(sent. n. 24436/2008) statuisce che ” in tema di accertamento delle imposte, anche in presenza di una contabilità formalmente regolare, come nella specie, è consentito procedere alla rettifica della dichiarazione del redditi, senza riscontro analitico della documentazione, secondo il metodo cosiddetto “induttivo” di cui all’art. 39, comma 1, lett. d), DPR n. 600/73, purché l’accertamento in rettifica risulti fondato su presunzioni assistite dai requisiti previsti dall’art. 2729 c.c. e desunte da dati di comune esperienza, oltre che da concreti e significativi elementi offerti dalle singole fattispecie e la circostanza che una impresa commerciale dichiari, ai fini dell’imposta sul reddito, per più anni di seguito rilevanti perdite, nonché una ampia divaricazione tra costi e ricavi, costituisce una condotta commerciale anomala, di per sé sufficiente a giustificare da parte dell’erario una rettifica della dichiarazione, a meno che il contribuente non dimostri concretamente la effettiva sussistenza delle perdite dichiarate”
Queste ultime due sentenze della Cassazione annotate si attagliano perfettamente al caso in esame, per cui il Collegio le fa proprie condividendone le statuizioni che vengono applicate al caso in esame.
Cosi valutata, la terza eccezione in esame è pur essa infondata.
Quindi, il Collegio passa ad esaminare la eccezione di cui al punto sub 4) (difetto di motivazione) con la quale i ricorrenti si dolgono del fatto che l’Ufficio abbia accertato il maggior reddito sulla base di una semplice dichiarazione di un terzo senza tener conto delle scritture contabili.
Nel contempo, però, proseguono gli stessi, l’Ufficio non ha dimostrato e motivato l’accertamento nella parte in cui non spiega le valutazioni di reddito alla luce della documentazione prodotta dalla società in sede di ispezione, né ha fornito i necessari principi di ragionevolezza del calcolo in base alla valutazione delle prove addotte.
Qualora si faccia esclusivo riferimento a presunzioni, statuisce la Cassazione (sent. n. 2411/2006) vanno indicati gli ulteriori elementi che confortino l’utilizzo delle stesse e permettono di ritenere prive di pregio le argomentazioni addotte dal contribuente… non potendo ammettere che il reddito venga determinato in modo automatico a prescindere da quella che è la capacità contributiva del soggetto sottoposto a verifica.
Infine, sempre secondo le parti, l’Ufficio poiché non ha considerato i documenti prodotti dalla società e non ha motivato l’avviso in ordine al valore probatorio della documentazione prodotta, si è messo nella condizione di vedere un suo atto viziato per difetto di motivazione.
Dal canto suo l’Ufficio controdeduce alla eccezione ritenendola infondata atteso che l’avviso notificato alla società è motivato in quanto evidenzia i motivi per i quali vi è stata la quantificazione dei maggiori ricavi.
Inoltre , afferma che l’assenza di contraddittorio non può essere causa di eccezione in quanto nell’assumere le presunzioni gravi, precise e concordanti di cui all’art. 39, comma 1, lett. d) prefato, esso non è tenuto a considerare necessariamente le motivazioni addotte dal contribuente al fine di giustificare la capacità contributiva, a nulla rilevando nella determinazione del reddito di impresa il possesso di redditi esenti, di redditi assoggettai a ritenuta alla fonte e quant’altro.
Per quanto, poi, riguarda l’eccezione che l’Ufficio non avrebbe tenuto conto nella motivazione dell’atto di quanto esposto e documentato dalla società, l’Ufficio medesimo rappresenta che la parte, a seguito della notifica dell’avviso di accertamento ha presentato istanza di accertamento con adesione chiedendo, di fatto, l’integrale annullamento dell’atto e proponendo le medesime contestazioni presentate avverso l’accertamento per l’anno 2006.
In quella sede l’Ufficio ha comunicato di non potere accogliere l’istanza.
Anche questa eccezione, pur nelle sue varie articolazioni, non può trovare ospitalità presso questo Collegio.
Infatti, premesso che l’Ufficio è facultato a utilizzare l’uno o l’altro metodo, sulla base degli elementi forniti dalla legge e innanzi richiamati, il Collegio rileva che le metodologie applicate dall’Ufficio non pongono quest’ultimo al di sopra della legge avendo esso, comunque, l’obbligo di rispettare i canoni che ogni metodologia comporta.
Nel caso di specie, non sembra a questo Collegio che l’Ufficio non si sia attenuto a quanto stabilito dalla legge; caso mai sono le parti ricorrenti che non l’hanno applicato nel modo più appropriato.
Pertanto, poiché le controdeduzioni dell’Ufficio sono puntuali, il Collegio le richiamata ritenendole qui trascritte.
Alla luce delle suesposte considerazioni, atteso che le presunzioni su cui si fonda l’atto opposto sono sicuramente da considerare gravi, precise e concordanti in quanto fondate su elementi forniti da un sanitario esperto in materia, confermate dall’ISTAT, corroborate dalle condotta apparentemente antieconomica della società che, nonostante i redditi imponibili siano bassi, assume molti dipendenti i quali dichiarano un reddito maggiore del loro datore di lavoro( circostanza, questa, non contestata in sede dibattimentale dalla società), il Collegio ritiene che tutte queste presunzioni siano sufficientemente idonee ad avallare l’atto opposto il cui accertamento, per motivi prudenziali, si rettifica nella misura che riviene a seguito dell’applicazione della percentuale del 54,7%, così come rilevata dall’ISTAT.
Sussistono giuste motivazioni per dichiarare compensate le spese.
Conseguenzialmente, il nuovo maggiore accertamento determinato a carico della società a seguito dall’applicazione della percentuale detta, è da attribuire ai soci, secondo legge, in proporzione alle rispettive quote di partecipazione.
P.Q.M.
A parziale rettifica dell’avviso di accertamento notificato alla società, dispone che la pretesa contenuta in quest’ultimo sia rapportata alla percentuale di resa del 54,7% e non a quella calcolata del 55%. Interessi e sanzioni seguono come per legge.
Inoltre, considerato che detto maggiore accertamento si riverbera, per legge, sui soci ricorrenti, dispone che a carico di ciascuno di essi, in proporzione alle rispettive quote societarie, sia calcolata la nuova debenza tenendo conto dell’accertamento societario rettificato. Interessi e sanzioni seguono come per legge.
Spese compensate.
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