COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE di Bolzano – Sentenza n. 23 sez. 1 del 1 marzo 2017
TRIBUTI – PROCESSO TRIBUTARIO – IMPUGNABILITA’ DEL DINIEGO DI DISAPPLICAZIONE DI NORME ANTIELUSIVE
FATTO
1) Con ricorsi, depositati in data 13 nvoembre 2014 ed in data 16 novembre 2015, la A. P. s.r.l., ha chiesto la declaratoria di illegittimità e, per l’effetto, l’annullamento del rigetto delle istanze di interpello disapplicativo presentato ai sensi dell’art. 37 bis, comma 8, del D.P.R. n. 600/73 e dell’art. 30 della legge n. 724/1994, riguardante la normativa sulle società non operative, notificati rispettivamente in data 11 settembre 2014 e 28 settembre 2015.
Tali provvedimenti di diniego si riferivano agli anni d’imposta 2013 e 2014.
2) La Commissione Tributaria di primo grado, dopo aver disposto la riunione delle vertenze, ha accolto con sentenza n. 64/2016, pronunciata il 15 aprile 2016 e depositata il 2 maggio 2016, i ricorsi, statuendo che il diniego in oggetto è provvedimento autonomamente impugnabile e ritenendo che la società contribuente ha dimostrato che non è struttura societaria che costituisca un mero centro di imputazione di costi per i beni destinati all’utilizzo da parte di soci o familiari, senza collegamento diretto con l’attività esercitata, ma una società pienamente operativa che, a causa degli investimenti e delle faccende giudiziarie, non era stato in grado di superare il test di operatività.
3) L’Agenzia delle Entrate di Bolzano ha proposto l’appello in esame segnalando in primis gli ultimi dirimenti interventi legislativi di cui al D.Lgs. 156/2015, che, in definitiva, rafforzano e legittimano ulteriormente la tesi dell’Ufficio della non impugnabilità dei provvedimenti in esame perché il titolo I del D.Lgs. n. 156/2015 contiene disposizioni in materia di “Revisione della disciplina degli interpelli”, con le quali il legislatore delegato ha provveduto al riordino ed alla razionalizzazione delle disposizioni che regolano le diverse tipologie di interpello previste nell’ ordinamento fiscale.
Deduce che l’art. 6, primo comma, dispone che “Le risposte alle istanze di interpello di cui all’art. 11 della L. 27 luglio 2000, n. 212 … non sono impugnabili, salvo le risposte alle istanze presentate ai sensi del comma 2 del medesimo articolo Il (c.d. interpello disapplicativo), avverso le quali può essere proposto ricorso unitamente all’atto impositivo”. Infatti, le risposte dell’Agenzia delle Entrate agli interpelli hanno natura di atti amministrativi non provvedimentali e per questo motivo sono atti non impugnabili.
Nel merito ritiene confusa e lacunosa la descrizione dei fatti di causa ed anche l’applicazione delle norme di diritto: in particolare, non è chiara l’affermazione per cui “Nel caso in esame, la società A. P. s.r.l., ad avviso di questa Commissione Tributaria, ha documentato in modo idoneo di non essere una “società di comodo”, ma di non aver raggiunto il volume minimo di affare di cui all’art. 30 comma l della legge n. 724/1994 relativamente al triennio 2009-2011 (oggetto dell’istanza di interpello in esame) per la presenza di situazioni oggettive che hanno reso impossibile il raggiungimento del volume minimo di ricavi o di reddito previsto dalla legge. “.
Il primo giudice non compie, di fatto, alcun esame sulla sussistenza di situazioni oggettive tali da rendere giustificabile la disapplicazione della disciplina antielusiva sulle società di comodo; non enuncia, se non solo in via assai generica, quali siano gli elementi che hanno avuto valenza decisiva ai fini dell’accoglimento del ricorso. Il Giudice, così tacendo, accoglie acriticamente le affermazioni di parte ignorando tuttavia che, anche in sede contenziosa la società si è limitata ad allegare, a riprova delle asserite trattative avviate, unicamente una propria e-mail ad un – non meglio identificato dott. E., un’offerta per l’affitto dell’immobile. La società ha sostenuto in atti, inoltre, di aver concluso la vendita degli appartamenti nell’aprile 2015, ed allega all’istanza un contratto di compravendita di data 30/04/2015, chiarendo come tale sia l’ultimo contratto sottoscritto in riferimento a tale immobile. Nulla viene, invece, detto in riferimento al ristorante di proprietà, sito nel comune di Nalles. Non viene, infatti, colto il punto focale della richiesta di disapplicazione, ossia la puntuale indicazione dei motivi che, con riferimento alla disciplina in esame, devono rivestire carattere di oggettività e di riferibilità all’anno d’imposta per cui la disapplicazione viene richiesta.
4) La società contribuente eccepisce In primis la tardività dell’appello perché la sentenza era stata notificata il 31 maggio 2016 mentre l’appello è stato proposto solo in data 29 agosto 2016; quindi abbondantemente dopo i sessanta giorni. Sostiene l ‘impugnabilità dei provvedimenti anche in presenza della normativa di cui al D.Lgs. n. 156/2015, art. 6, stante anche la mancanza di retroattività della norma richiamata dall’Ufficio ed emanata dopo la scadenza dei termini di impugnazione del provvedimento.
Nel merito chiede che venga confermata la sentenza di primo grado aggiungendo che la situazione oggettiva, costituita dagli inadempimenti di terzi nell’esecuzione del contratto di affitto (intempestivo pagamento dei canoni e mancata prestazione della garanzia fideiussoria) che ha richiesto l’intervento del Tribunale di Rovereto, ha determinato il mancato superamento del test di operatività, avendo avuto come conseguenza la contrazione dei ricavi del periodo di osservazione.
All’udienza pubblica del 10 febbraio 2017, sentiti i difensori delle parti, la vertenza è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
5) L’eccezione della società contribuente In relazione alla tardività dell’appello è infondata.
Infatti, la sentenza di primo grado era stata notificata il 31 maggio 2016 e, quindi, il termine di 60 giorni per la proposizione dell’appello scadeva il 30 luglio 2016, che era un sabato. Ai sensi dell’art. 155, comma 5, c.p.c. tale termine finale è prorogato di diritto al primo giorno seguente non festivo, nel caso di specie al l agosto 2016. Trovando la sospensione dei termini processuali durante il periodo feriale (dal 1° agosto al 31 agosto), disposta dalla L. 7 ottobre 1969 n. 742, applicazione anche per le controversie in materia tributaria ed essendo l’appello stato depositato il 28 agosto 2016 non si riscontra la tardività eccepita.
6) In relazione all’impugnabilità del rigetto delle istanze di interpello disapplicativo, presentate ai sensi dell’art. 37 bis, comma 8, del D.P.R. 600/73 e dell’art. 30 della legge n. 724/1994, oggetto dell’esame dell’appello in atti, si richiama la sentenza di questa Commissione Tributaria n. 24/2016, pronunciata il 21 marzo 2016 e depositata il 25 marzo 2016, con la quale è stato deciso identico appello. Non si rivengono motivi di discostarsi da tale decisione.
Come, infatti, riconosciuto dalla più moderna giurisprudenza di legittimità (vedasi la sentenza n. 17010 di data 05.10.2012 della Sezione V della Corte di Cassazione, richiamata da ultimo dall’ordinanza della stessa n. 20394 di data 20 novembre 2012), in tema di contenzioso tributario, l’elencazione degli atti impugnabili contenuta nell’art. 19 D.Lgs. n. 546/1992 ha, sì, natura tassativa, ma non preclude la facoltà di Impugnare anche altri atti, ove con gli stessi l’Amministrazione porti a conoscenza del contribuente una ben specifica pretesa tributaria, esplicitandone le ragioni fattuali e giuridiche, siccome è possibile un’interpretazione estensiva delle disposizioni in materia, nel rispetto delle norme costituzionali di tutela del contribuente di cui agli artt. 24 e 53 Cost. e di buon andamento dell’amministrazione di cui all’art. 97 Cost. ed in considerazione dell’allargamento della giurisdizione tributaria operato con la legge n. 448/200 .
Ne discende, pertanto, che al contribuente debba venire riconosciuta la facoltà di impugnare il diniego del Direttore Provinciale delle Entrate di disapplicazione di norme antielusive ex art. 37 bis, comma 8, D.P.R. n. 600/1973, per cui è causa, atteso che, se anche lo stesso non è atto rientrante nelle tipologie di quelli elencati nell’art. 19 della legge n. 546/1992, rappresenta comunque provvedimento con cui l’Amministrazione ha portato a conoscenza del contribuente il proprio convincimento in ordine ad un determinato rapporto tributario.
Il contribuente ha la facoltà, non l’onere, di Impugnare il diniego del Direttore Regionale delle Entrate di disapplicazione di norme antielusive, atteso che lo stesso non è atto rientrante nelle tipologie elencate dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, ma provvedimento con cui l’Amministrazione porta a conoscenza del contribuente, pur senza efficacia vincolante per questi, il proprio convincimento in ordine ad un determinato rapporto tributario (Cass. Sez. V. 28 maggio 2014 n. 11929).
Per il caso di specie rileva neanche il disposto dell’art. 6 del D.Lgs. 24 settembre 2015 n. 156 perché anche i giudici di legittimità (Cass. Sez. V, sent. n. 17576 del 10 dicembre 2002). hanno chiarito che la materia dell’efficacia temporale delle leggi tributarie è oggi regolata dallo statuto del contribuente in quanto l’art. 3, al primo comma, stabilisce inequivocabilmente, che – salvo i casi eccezionali in cui è ammessa l’emanazione di norme interpretative “le disposizioni tributarie non hanno effetti retroattivi.”
Viene pure precisato che questa disposizione deve essere interpretata ed applicata alla luce di quanto affermato nell’art. l della stessa legge, che ha inteso attribuire alle proprie disposizioni il valore di “principi generali dell’ordinamento tributario”.
Tale D.Lgs. n. 156/2015 non è neanche norma di interpretazione autentica. Ne consegue che, essendo norma non retroattiva e non vigente all’epoca di emissione del provvedimento impugnato, non è applicabile nel caso di specie.
7) Sgomberato il campo dalle eccezioni pregiudiziali il Collegio può passare all’esame nel merito dell’appello, che risulta infondato.
8) Il Collegio concorda con l’Ufficio che in materia di società di comodo, i parametri previsti dall’art. 30 della legge n. 724 del 1994, nel testo risultante dalle modifiche apportate dall’art. 35 del D.L. n. 223 del 2006, convertito nella legge n. 248 del 2006, sono fondati sulla correlazione tra il valore di determinati beni patrimoniali ed un livello minimo di ricavi e proventi, il cui mancato raggiungimento costituisce elemento sintomatico della natura non operativa della società, spettando, poi, al contribuente fornire la prova contraria e dimostrare l’esistenza di situazioni oggettive e straordinarie, specifiche ed indipendenti dalla sua volontà, che abbiano impedito il raggiungimento della soglia di operatività e di reddito minimo presunto.
Però, nel caso di specie la società contribuente ha dimostrato in atti che per gli anni d’imposta in questione persistevano le situazioni oggettive e straordinarie che hanno impedito il raggiungimento della soglia di operatività e del reddito minimo presunto.
Infatti, è dimostrato, come ha giustamente rilevato la Commissione Tributaria di primo grado, che la vertenza davanti al Tribunale di Rovereto, bensì che nella quale non era parte la società contribuente, ha generato ripercussioni che hanno comportato la contrazione dei ricavi del periodo di osservazione, come può essere desunto dalla contabilità depositata.
Anche in relazione all’attività immobiliare a Trieste l’appellata ha dimostrato le difficoltà oggettive che SI sono riverberato a seguito della crisi generale a livello nazionale del mercato immobiliare e che hanno reso assai difficile il collocamento sul mercato delle unità immobiliari realizzate in sede di ristrutturazione, visto anche che, neanche la Pubblica Amministrazione, perché soggetti ai vincoli storico-artistici, mostrava alcun interesse a far valer il diritto di prelazione.
Il comma 4 bis dell’art. 30 della legge n. 724/1994 dispone:
“In presenza di oggettive situazioni di carattere straordinario che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e dei proventi nonché del reddito determinati ai sensi del presente articolo, ovvero non hanno consentito di effettuare le operazioni rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto di cui al comma 4, la società interessata può richiedere la disapplicazione delle relative disposizioni antielusive ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 37 bis, comma 8”.
Attraverso tale disciplina (poi più volte ulteriormente modificata) si intende, in effetti, disincentivare il fenomeno dell’uso improprio dello strumento societario, utilizzato come involucro per raggiungere scopi, anche di risparmio fiscale, diversi – quale l’amministrazione dei patrimoni personali dei soci – da quelli previsti dal legislatore per tale istituto (cosiddette società senza impresa, o di mero godimento, dunque “di comodo”).
Nel caso di specie, quindi, valutando non le singole operazioni della società appellata rilevanti ai fini del raggiungimento dello scopo sociale rispettivamente del livello minimo di ricavi e proventi, ma, il complesso dell’attività svolta negli anni di riferimento non si rinvengono le presunzioni di inoperatività del soggetto perché era impedito da cause oggettive non dipendenti dalla libera scelta della strategia imprenditoriale ovvero dell’uso improprio dello strumento societario che hanno impedito raggiungere determinati risultati reddituali minimi richiesti dalla normativa in esame; visto anche che la A. P. s.r.l. ha per oggetto non un’unica attività, tipico per le società di comodo, ma la costruzione, l’acquisto, la vendita, la gestione e la locazione di beni immobili in genere e quelli destinati a pubblici esercizi, in particolare, per la quale ultima destinazione svolgerà, altresì, direttamente od indirettamente la gestione; attività effettivamente attivate.
In relazione alle spese, infine, questo Collegio rileva che la complessità della valutazione e dell’inquadramento giuridico dei fatti oggetto di causa comporti di ritenere sussistenti quelle “gravi ed eccezionali ragioni” che la legge richiede a giustificazione della integrale compensazione delle spese di lite.
P.Q.M.
La Commissione Tributaria di secondo grado di Bolzano
respinge l’appello dell’Agenzia delle Entrate. Spese compensate.
Così deciso in Bolzano il 10 febbraio 2017
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