COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE CAMPOBASSO – Sentenza 19 luglio 2013, n. 120
Contributo unificato per ricorsi cumulativi
Svolgimento del processo
A.R. rappresentato e difeso dall’Avv. (…), ha proposto ricorso avverso un invito al pagamento della somma di € 780,00, notificatogli dall’Ufficio di Segreteria di questa Commissione Tributaria, per insufficiente pagamento del contributo unificato da esso contribuente corrisposto in relazione ad un procedimento avente ad oggetto n.30 cartelle recanti intimazioni di pagamento per un importo totale di €. 6.554,66, cartelle che avevano generato anche una procedura di fermo di autoveicolo ed altra procedura di pignoramento presso terzi dello stipendio di esso ricorrente.
Il R., premesso che aveva presentato un unico ricorso per tutte le 30 cartelle (precisando che le cartelle concerneneti la materia tributaria sono solo 24 e non 28 come preteso dalla Segreteria di questa CPT, poiché n.4 di esse hanno riferimento a canone acqua), ha rilevato di avere effettuato una unica iscrizione a ruolo per un unico procedimento, versando pertanto il contributo unificato di € 60,00 rapportato al valore dichiarato della lite pari ad € 3.832,83.
Ha quindi censurato l’invito al pagamento notificatogli deducendo: 1) che esso invito è frutto di una illegittima interpretazione della legge relativamente al valore della lite tributaria in caso di ricorso cumulativo, interpretazione effettuata dal Ministero dell’Economia e Finanze nella Direttiva n.2/DGT del 14/12/2012 con la quale si è ritenuto che in caso di ricorso cumulativo oggettivo (ovvero ricorso unico contro più atti relativi allo stesso contribuente) “Il calcolo del contributo unificato debba essere effettuato con riferimento ai valori dei singoli atti e non sulla somma di detti valori “. Detta interpretazione è da ritenere illegittima poiché il contributo ai sensi dell’art. 13, comma 6. DPR 115/2002, va determinato secondo il “valore della controversia “, valore questo che, ex art. 12, comma 5, Dlgs. 546/92 , deve essere calcolato in base al tributo (con esclusione di sanzioni ed interessi) onde ciò che rileva è non già il valore del singolo atto impugnato, bensì il valore della lite, valore che, ex art. 10 c.p.c., è dato dalla somma delle domande, ovvero dei tributi indicati nei vari atti cumulativamente impugnati. Aggiunge che l’interpretazione effettuata dal MEF, alla quale si è adeguato l’ente impositore, presenta evidenti profili di contrasto anche con gli artt.3 e 24 della Costituzione, oltre a contrastare con la ratio del ricorso cumulativo; 2) che l’invito di pagamento opposto è da ritenere illegittimo anche perché esso ha riferimento oltre che alle cartelle contenenti le intimazioni anche alle procedure di fermo di autoveicolo e di pignoramento dello stipendio, procedure per determinare il valore delle quali, anche secondo la detta Direttiva 2/DGT, al fine di quantificare il contributo unificato devesi avere riguardo esclusivamente ai crediti tributari, al netto di sanzioni ed accessori, per i quali viene effettuata la richiesta. Il ricorrente ha quindi chiesto che, previa immediata sospensione dell’esecuzione, sia annullato l’opposto invito con vittoria delle spese del giudizio da distrarsi in favore del difensore antistatario. Instauratosi il contraddittorio si è costituito l’Ufficio di Segreteria di questa Commissione che pregiudizialmente ha eccepito la inammissibilità del ricorso poiché proposto avverso atto non impugnabile.
Ha evidenziato, sul punto, che l’invito notificato al ricorrente non contiene una ben definita pretesa tributaria né produce effetti immediati nella sfera patrimoniale dello stesso ma, cosi come del resto i cd. inviti bonari al pagamento, costituisce un mero invito per far conoscere al contribuente il parere dell’Ufficio circa l’importo del contributo unificato da versare.
Ha inoltre aggiunto che se si ritenesse impugnabile l’invito al pagamento sarebbe pregiudicato l’interesse dello stesso contribuente poiché si consoliderebbe la pretesa tributaria e sarebbe esclusa la possibilità di impugnare i successivi atti di riscossione se non per vizi propri. Nel merito l’ente impositore contesta l’assunto del ricorrente deducendo che, come correttamente si afferma nella citata Direttiva n.2/2012 MEF, il calcolo del contributo unificato (d’ora innanzi C.U.) deve essere effettuato con riferimento ai valori dei singoli atti poiché, ai sensi dell’art. 14, comma 3 bis, del DPR 115/2002 (Testo Unico delle Spese di Giustizia), il valore della lite deve essere determinato secondo il disposto dell’art. 12, comma 5, del Dlgs. 546/92 e quindi con riferimento all’importo del tributo al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogate con l’atto impugnato. Precisa che l’interpretazione corretta della disposizione, sia sul piano letterale che logico, induce a ritenere che il calcolo del C.U. deve essere effettuato con riferimento ai singoli atti e non sulla loro somma. Questo perché, da un punto di vista letterale, il cit. comma 5 fa riferimento all’ imporlo del tributo in correlazione con l’alto impugnato mentre invece solo con riferimento agli atti di irrogazione delle sanzioni vi è il riferimento al termine somma. Aggiunge che anche processualmente ogni atto viene valutato e deciso singolarmente.
Quanto alla interpretazione logico sistematica osserva che la parametrazione effettuata dal legislatore ai diversi scaglioni di valore della lite è funzionale alla corretta ripartizione degli oneri processuali: al crescere del valore della lite corrisponde un maggiore importo del C.U. A sostegno della sua tesi aggiunge che se la determinazione dell’entità del contributo unificato fosse lasciata alla discrezionalità del contribuente di impugnare gli atti impositivi singolarmente o cumulativamente si verificherebbero situazioni di elusività ed irragionevolezza che l’ordinamento non può tollerare.
Assume, ancora, che l’adozione del criterio della somma dei contributi per il ricorso cumulativo potrebbe creare disparità di trattamento (con violazione del principio di uguaglianza di cui all’art.3 Cost.) per l’ipotesi di vari atti notificati tutti coevamente, o comunque in tempi ravvicinati, in modo da consentire di proporre nei termini il ricorso cumulativo e l’ipotesi di atti notificati in tempi diversi e comunque tali da non consentire di proporre un unico ricorso cumulativo nel rispetto dei termini previsti per ciascuno degli atti opposti.
Sostiene, infine, che nel processo tributario non può trovare applicazione l’art. 10 c.p.c., che pone il principio della somma delle domande proposte nello stesso processo nei confronti dello stesso soggetto al fine di determinare il valore della causa, e questo perché nel processo tributario il valore della lite deve essere determinato in base alla norma speciale di cui all’art. 12. comma 5. Dlgs 546/92 che prevede come parametro di riferimento l’atto impositivo oggetto di impugnativa il cui valore è determinato o, quantomeno, determinabile e non può essere rimesso alla discrezionalità del ricorrente.
Osserva, quindi, che il valore della lite ha diversa finalità nel giudizio civile rispetto al giudizio tributario poiché nel primo ai fini del C.U. rileva il valore della domanda al netto degli interessi.
Mentre ai fini della competenza per valore del giudice rileva il valore della domanda più gli interessi, onde la non applicabilità delle regole poste per il processo civile al processo tributario.
Relativamente, infine, all’ulteriore motivo di doglianza del ricorrente, ne eccepisce la palese infondatezza, facendo rilevare che dal ricorso originariamente proposto si desume agevolmente che oggetto di impugnazione furono solo le cartelle contenenti intimazioni di pagamento e non di certo i provvedimenti di fermo di autoveicolo o di pignoramento dello stipendio.
Dichiara, quindi di opporsi alla richiesta di sospensione del provvedimento opposto facendo rilevare che trattasi di atto per il quale non è affatto prevista l’esecuzione, onde nessun effetto pregiudizievole può derivare al ricorrente.
Conclude quindi chiedendo dichiararsi inammissibile o, in subordine, nel merito, rigettarsi il ricorso, con vittoria delle spese di questo giudizio.
Nella odierna udienza questa Commissione ha dichiarato inammissibile l’istanza di sospensione attesa la natura non esecutiva del provvedimento opposto, quindi, su concorde richiesta delle parti che hanno instato perché il processo venisse definito nel merito, sentita la relazione del relatore e le difese delle parti, ha deciso come da dispositivo.
Motivi della decisione
La pregiudiziale eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla difesa dell’Ente impositore è infondata e deve essere rigettata.
Non è dubbio, invero, che nella concreta fattispecie l’ente impositore emise, nei confronti del contribuente, un ed. invito bonario al pagamento nel quale era indicato, in via preventiva e nelle vie brevi, il maggiore importo ritenuto dovuto, in luogo di quello inferiore versato, per il contributo unificato al fine di consentirgli l’adempimento ed evitare un contenzioso, avvertendolo che in caso di mancato pagamento sarebbe stata promossa la riscossione coattiva con addebito degli interessi e della sanzione. Tanto in applicazione dell’art.248 del DPR 115/2002 (T.U. Spese di Giustizia- d’ora innanzi TUSG) Ora è pur vero che la elencazione degli atti impugnabili indicati nell’art. 19 del Dlgs n.546/92 ha natura tassativa, sì che la loro omessa impugnazione comporta la cristallizzazione della pretesa tributaria in essi contenuta, ma ciò non significa affatto che l’impugnazione di atti, come quello de quo, diversi da quelli indicati dal predetto art. 19 sia in ogni caso da ritenere inammissibile.
Invero da tempo si è consolidato autorevole insegnamento giurisprudenziale, dal quale questo Collegio non ravvisa validi motivi per discostarsi, secondo il quale l’indicazione tassativa degli atti impugnabili, di cui al citato art. 19, è suscettibile di interpretazione estensiva in ossequio ai principi del diritto di difesa e della capacità contributiva del contribuente (artt.24 e 53 Cost.) e di buon andamento della pubblica amministrazione (art.97 Cost.) nonché per effetto dell’allargamento della giurisdizione tributaria operato con la legge n.448 del 2001.
Più precisamente è stata riconosciuta la facoltà, per il contribuente, di ricorrere al giudice tributario avverso tutti gli atti adottati dall’ente impositore che, con l’esplicitazione delle concrete ragioni (fattuali e giuridiche) che li sorreggono, porti, comunque, a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, senza necessità di attendere che la stessa, ove non sia raggiunto lo scopo dello spontaneo adempimento cui è naturalmente preordinata, si vesta della forma autoritativa di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili dall’art. 19 cit. Tanto perché già al momento della ricezione della notizia il contribuente ha interesse, ex art. 100 c.p.c, a chiarire, con pronuncia idonea ad acquisire effetti non più modificabili, la sua posizione in ordine alla stessa e, quindi, ad invocare una tutela giurisdizionale di controllo della legittimità sostanziale della pretesa impositiva (e/o dei connessi accessori vantati dall’ente impositore).
E’ stato altresì chiarito che l’esercizio della facoltà di impugnazione, da parte del contribuente, di un atto non espressamente indicato dall’art. 19 cit. non determina, in ogni caso, la non impugnabilità (e cioè la cristallizzazione) di quella pretesa, che va successivamente reiterata in uno degli atti tipici previsti dallo stesso art. 19 (Cass. 21045/2007 – S.U. 10672/2009 – Cass 27385/2008- 4513/2009- 285 e 14373/2010-8033, 10987 e 16100 del 2011 – 17010/2012).
Si rivela pertanto del tutto erroneo l’assunto dell’ente impositore secondo il quale la non impugnabilità degli atti non indicati nell’art. 19 predetto sarebbe nell’interesse dello stesso contribuente.
Nel merito il ricorso è fondato e deve essere accolto.
Come è ben noto con l’art.37 del D.L. 06 luglio 2011 n.98 fu innovato, per il processo tributario, l’obbligo di assolvere l’imposta di bollo (€ 14,62 per ogni quattro pagine di ciascun atto processuale e per il mandato) con l’istituzione del contributo unificato il quale, commisurato al valore della causa, viene corrisposto nel momento in cui viene instaurato il giudizio per ciascun grado e consente di coprire la spesa per tutti gli atti che sono posti in essere in quel grado, comprese le richieste fatte dalle parti di copie autentiche di atti e provvedimenti.
Con il predetto art.37 fu modificato l’art.9 del TUSG disponendosi che ‘E’ dovuto il contributo unificato di iscrizione a ruolo, per ciascun grado di giudizio, nel processo civile, compresa la procedura concorsuale e di volontaria giurisdizione, nel processo amministrativo e nel processo tributario, secondo gli importi previsti dall’articolo 13 e salvo quanto previsto dall’articolo 10″.
Per quanto concerne specificamente il processo tributario il comma 6 quater dell’art. 13 del TUSG (aggiunto dal D.L. 98/2011 ) dispone che ‘Per i ricorsi principale ed incidentale proposti avanti le Commissioni tributarie provinciali e regionali è dovuto il contributo unificato nei seguenti importi:
a) euro 30 per controversie di valore fino a euro 2.582.28:
b) euro 60 per controversie di valore superiore a euro 2.582,28 e fino a euro 5.000;
c) euro 120 per controversie di valore superiore ad euro 5.000 e fino a euro 25.000;
d) euro 250 per controversie di valore superiore ad euro 25.000 e fino a euro 75.000;
e) euro 500 per controversie di valore superiore a euro 75.000 e fino a euro 200.000;
f) euro 1.500per controversie di valore superiore a euro 200.000″.
Il comma tre bis dell’art 14 TUSG (comma anche esso aggiunto dal D.L. 98/2011) dispone che “Nei processi tributari il valore della lite, determinato ai sensi del comma 5 dell’art. 12 del decreto legislativo 31 dicembre 1992 n.546, e successive modificazioni, deve risultare da apposita dichiarazione resa dalla parte nelle conclusioni del ricorso, anche nell’ipotesi di prenotazione a debito “-
A sua volta il comma 5 dell’art. 12 Dlgs n.546/92 al quale rinvia il citato comma tre bis dell’art 14 TUSG chiarisce che “Per valore della lite si intende l’importo del tributo al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogate con l’atto impugnalo; in caso di controversie relative esclusivamente alle irrogazioni di sanzioni, il valore è costituito dalla somma di queste “.
Dal combinato disposto delle norme sopra indicate risulta chiaramente che il contributo unificato nel processo tributario deve essere corrisposto secondo importi predeterminati commisurati al valore della lite e che il valore della lite va desunto dall’importo del contributo (escluse sanzioni ed interessi) o, in caso di irrogazione di sole sanzioni, dalla somma delle stesse.
Orbene, mentre nessun dubbio si pone per il caso che sia proposto ricorso contro un unico provvedimento dell’A.F., dovendosi in tal caso evidentemente, ai fini della determinazione del valore della lite, avere riferimento all’entità del tributo o della somma dei tributi (al netto di sanzioni ed interessi) indicati in esso o, in caso di irrogazione di sola sanzione, o di sole sanzioni, avere riferimento alla sanzione o alla somma di esse, il problema si pone per il caso, come quello de quo di ricorso cumulativo, ovvero di un unico ricorso con il quale il contribuente impugna più provvedimenti emessi dall’A.F. che lo riguardano.
E’ ben noto che il processo tributario, come disciplinato dal Dlgs n.546/92, non contiene alcuna disposizione in ordine al cumulo dei ricorsi prevedendo unicamente, all’art. 14. l’ipotesi del litisconsorzio necessario (se l’oggetto del ricorso riguarda più soggetti) e all’art.29 la riunione, ad opera del Presidente della sezione, dei ricorsi che hanno lo stesso oggetto o sono tra loro connessi.
Tale essendo il contesto normativo non sembra potersi dubitare che per la disciplina del ricorso cumulativo debba trovare applicazione l’art. 1 comma 2 del D.lgs n.546/92 che rinvia alle norme del codice di procedura civile per “quanto non disposto dal decreto e nei limiti della loro compatibilità con le norme dello stesso “.
Invero da tempo la giurisprudenza di legittimità (v. Cass.171/91- 7359/2002- 19666/2004 -10578/2010 – S.U. 3692/2009) ha ritenuto ammissibile nel processo tributario la proposizione di un unico ricorso cumulativo avverso più atti di accertamento, dovendosi ritenere applicabile, nel predetto processo, l’art. 104 c.p.c. che consente la proposizione contro la stessa parte, e quindi la trattazione unitaria, di una pluralità di domande anche non connesse tra loro, con risultato analogo a quello ottenuto nel caso di riunione di processi anche solo soggettivamente connessi (art.29 Dlgs 546/92)..
Invero il predetto art. 104 c.p.c. dispone che “Contro la stessa parte possono proporsi nel medesimo processo più domande anche non altrimenti connesse, purché sia osservata la norma dell’articolo 10 secondo comma” ovvero nel rispetto del principio, posto dall’art. 10, secondo comma, c.p.c., secondo il quale “le domande proposte nello stesso processo contro la medesima persona si sommano tra loro”.
La ratio di dette disposizioni è evidentemente quella, presente in ogni tipo di processo, incluso quello tributario, dell’economia processuale, della concentrazione e della celerità, attesi i tempi notoriamente lunghi dei giudizi.
Sia la dottrina che la giurisprudenza tributaria hanno da tempo ammesso la possibilità del ricorso cumulativo nel processo tributario facendo rilevare che detta disciplina della riunione dei processi dettata dall’art.29 Dlgs. 546/92, pur non potendosi omettere di rilevare che l’art.29 assegna il potere di riunire i processi al giudice, mentre l’art. 104 c.p.c. assegna alla parte la possibilità del ricorso cumulativo (nel processo civile, ad es. presentando un unico atto di opposizione contro più decreti ingiuntivi). Si è addirittura rilevato che la possibilità del ricorso cumulativo è molto più agevole nel processo tributario, nel quale non vi sono limiti alla competenza per valore del Giudice, mentre nel processo civile l’attore (o opponente) può esercitare il potere di riunire più domande (o più atti di opposizione) solo nel rispetto dei limiti della competenza per valore del giudice.
Assume, però, la difesa dell’ente impositore che il calcolo del contributo unificato nel processo tributario dovrebbe essere effettuato con riferimento ai valori dei singoli atti impugnati e che tanto si dovrebbe desumere all’interpretazione letterale e logico sistematica del comma 5 dell’art. 12 DIgs. 546/92 che individua il valore della lite nell’importo del tributo al netto di interessi e sanzioni irrogate con l’atto impugnato. Precisa che sul piano letterale rileva la locuzione importo del tributo al singolare in relazione con l’atto impugnato mentre solo con riferimento alle sanzioni la norma usa il termine somma. Quanto alla interpretazione logico-sistematica rileva che il C U. ha natura tributaria con la conseguente inammissibilità di affidare alla discrezionalità del contribuente la determinazione dell’ammontare dello stesso in relazione ai provvedimenti da impugnare. La detta interpretazione, che è conforme alla Direttiva n.2/DGT del MEF, non è però condivisibile Invero a parte la irrilevanza del riferimento del termine somma solo alle sanzioni e non al tributo riferimento agevolmente spiegabile poiché il comma 5 dell’art. 12 DIgs 546/92 solo con riferimento alle sanzioni usa il plurale (e la circostanza anzi sta a significare che il criterio della somma vale anche quando più siano i tributi), la corretta esegesi delle norme sopra indicate induce a ritenere che nel ricorso cumulativo il C.U. deve essere commisurato non già alla somma dei C.U. che dovrebbero essere corrisposti se i singoli atti fossero impugnati separatamente, ma unicamente al valore della lite determinato sommando i tributi contenuti nei singoli atti impugnati (con esclusione delle sanzioni, interessi ed accessori) oppure sommando le sole sanzioni nell’ipotesi di atti contenenti solo sanzioni.
L’interpretazione dell’A.F., che sembra ritenere applicabile, per la determinazione del valore della controversia nel ricorso cumulativo, il criterio della somma degli importi richiesti solo nell’ipotesi che i vari atti abbiano ad oggetto unicamente sanzioni, comporterebbe l’irrazionale conclusione che per la determinazione dell’entità del CU. dovuto per il ricorso cumulativo nel processo tributario dovrebbe farsi ricorso a criteri differenti variabili secondo l’oggetto dell’atto impugnato ( il criterio della somma delle sanzioni per gli atti contenenti solo sanzioni e il criterio della somma dei CU. relativi ai singoli atti per quelli contenenti tributi), operando così una differenziazione che non è ravvisabile né nella lettera né nella ratio della legge.
Invece, come si è in precedenza rilevato, il contributo unificato dovuto per il ricorso cumulativo nel processo tributario deve essere calcolato (ex art. 13, comma 6 bis TUSG) quale che sia l’oggetto degli atti impugnati, tributi o solo sanzioni, per scaglioni secondo il valore della controversia. Detto valore, ai sensi dell’art. 14. comma 3 bis, TUSG (che usa il termine lite, sinonimo di controversia) è costituito, secondo le indicazioni poste dal comma 5 dell’art. 12 del DIgs. 546/92, dalla somma dei vari tributi (al netto di sanzioni, interessi ed accessori) oppure, in caso di atti contenenti solo sanzioni, dalla somma delle sanzioni.
Conclusivamente quello che rileva è il valore della controversia e non certo il valore del singolo atto contenente il tributo, e il valore della lite, in caso di ricorso cumulativo, ovvero di ricorso proposto avverso più provvedimenti, è dato dalla somma dei vari tributi (o delle varie uniche sanzioni) contenuti nei provvedimenti impugnati.
La conclusione è fin troppo evidente ove si ricordi che la disciplina del ricorso cumulativo nel processo tributario, nella carenza di alcuna disposizione specifica, è posta, come sopra premesso, dall’art. 104 c.p.c. (per il quale opera il generico rinvio disposto dall’art. 1 DIgs. 546/92) e che il predetto art. 104 impone l’osservanza dell’art. 10, secondo comma c.p.c. secondo il quale il valore della causa, in caso di pluralità di domande proposte nello stesso processo contro la medesima parte, è determinato dalla somma di esse.
La contraria interpretazione sostenuta dalla difesa dell’A.F. che in caso di ricorso cumulativo intenderebbe rapportare il calcolo del contributo al valore dei singoli atti e non al valore complessivo della lite contrasta non solo con il dato letterale dell’art.9 TUSG, in base al quale il C.U. è dovuto per ciascun grado di giudizio e non per ciascun atto impugnato, ma anche con il testuale disposto dell’art. 10 c.p.c. (le domande…si sommano tra loro) che, come già rilevato, si applica anche al processo tributario. ..:- “Del resto che il valore della lite (al quale come si è detto deve essere commisurato l’entità del CU.) sia costituito dalla somma dei tributi (al netto di interessi, sanzioni ed accessori) oggetto degli atti impugnati (o dalla somma delle sanzioni in caso di atti contenenti solo sanzioni) e non dalla somma dei CU dovuti per ciascuno degli atti impugnati risulta dallo stesso provvedimento impugnato in cui il -valore della lite verificato dagli atti processuali (28 atti impugnati)” è indicato in € 3.622.31. ovvero nella somma dei vari tributi indicati nelle 28 cartelle impugnate (somma peraltro diversa da quella di € 3.832,83 indicata come valore della lite dichiarato dal contribuente). Appare pertanto veramente singolare che l’ente impositore dopo avere egli stesso determinato il valore della lite in base alla somma dei tributi indicati negli atti cumulativamente impugnati, pretenda poi che il CU debba essere corrisposto in ammontare pari alla somma dei contributi dovuti per ciascuno degli atti impugnati con l’unico ricorso cumulativo, in palese violazione delle norme di cui agli artt. 13, comma 6 bis e 14, comma 3 bis, del TUSG.
Né in contrario potrebbe osservarsi che il principio della somma delle domande ai fini della determinazione del valore della causa non si applica nell’ipotesi di riunione dei processi ex art.29 D.lgs 546/92.
Invero nel caso di riunione dei processi disposta dal giudice si versa in ipotesi in cui il CU è stato già versato dal contribuente e spesso si verifica che, anche per diversità dei termini di impugnazione dei vari atti, il cumulo nemmeno sarebbe stato possibile.
Nemmeno, inoltre, è dato ignorare l’autorevole insegnamento secondo il quale il principio del cumulo, secondo il quale il valore della causa si determina sommando le diverse domande formulate con l’atto introduttivo, non si applica quando esse domande sono state proposte con separati giudizi successivamente riuniti poiché “in tal caso ciascuno dei singoli procedimenti mantiene la propria individualità nonostante l’intervenuta riunione e la competenza per valore deve essere stabilita verificando il valore di ciascuna domanda” (Cass. Sez.V – 4960/2003).
Assume sul punto la resistente che, attesa la natura impugnatoria del processo tributario, ai fini della determinazione della competenza per valore dovrebbe aversi riferimento non alla domanda di parte, ma all’atto impositivo oggetto di impugnativa il cui valore è determinato o quantomeno determinabile e non dipende dalla discrezionalità del ricorrente.
L’assunto, tuttavia non prova alcunché, sia perché è fin troppo evidente che se plurimi sono gli atti impugnati il valore non può che essere desunto dalla somma degli importi richiesti come tributi, sia perché anche il processo civile può avere natura impugnatoria, ipotesi che si verifica quando il soggetto che agisce (attore in senso formale, ma convenuto in senso sostanziale) presenta un unico ricorso in opposizione avverso plurimi decreti ingiuntivi, essendo in tal caso la domanda determinata senza alcuna discrezionalità di chi presenta opposizione e dovendo comunque trovare applicazione il principio della somma delle domande di cui all’art. 10 c.p.c.
Nemmeno, infine, appare condivisibile l’ulteriore argomentazione che la resistente adduce a sostegno della sua tesi, ovvero della ritenuta disparità di trattamento (con violazione dell’art. 3 Cost.) che si potrebbe verificare tra il contribuente che sia posto in grado di proporre ricorso cumulativo (avendo ricevuto in tempi ravvicinati i vari atti impositivi) con conseguente versamento di un solo C.U. e quello che tale facoltà non possa esercitare (ricorsi notificati in tempi tali da non consentire la proposizione di un unico ricorso) e che pertanto debba corrispondere più C.U. complessivamente maggiori.
La dedotta violazione del principio costituzionale è in realtà solo apparente, poiché nell’esempio proposto è evidente che solo nel primo caso sussistono i presupposti richiesti dalla legge per proporre il ricorso cumulativo che la legge stessa incentiva per i motivi di semplificazione dei procedimenti sopra indicati.
Del resto l’invio al contribuente di vari atti impositivi avviene ad opera della A.F. che. proprio nel rispetto del principio costituzionale di buona amministrazione di cui all’art.97 Cost. e di quelli di collaborazione e buona fede da tenere con il contribuente (art. 10 L. n.212/2000), dovrebbe agevolare (con riferimento ai tempi di notifica) la proposizione del ricorso cumulativo per vari atti destinati al medesimo contribuente.
Va invece rilevato, in senso contrario, che proprio l’illegittima interpretazione proposta dal Ministero potrebbe provocare violazione dei principi di uguaglianza e della capacità contributiva (artt. 3 e 53 Cost.).
Può infatti farsi l’ipotesi di due processi tributari relativi ad atti con pari ammontare di tributi: il primo avente ad oggetto un solo atto ed un unico tributo di € 150.000 e il secondo avente ad oggetto tre atti ciascuno recante un tributo di € 50.000. Nel primo caso, secondo la tesi dell’A.F. il contribuente dovrebbe corrispondere un C.U. pari ad € 500, mentre nel secondo, pur avendo proposto un solo ricorso cumulativo, il contributo dovrebbe essere pari ad € 750.
E’ di tutta evidenza che se questa fosse la corretta interpretazione della legge, sarebbe violato sia il principio della capacità contributiva (il secondo contribuente subirebbe maggiore onere contributivo pur dovendo corrispondere una somma identica a quella del primo -viol. art.53) nonché il principio di uguaglianza (in presenza di identico costo processuale, trattandosi di un unico processo, il secondo contribuente, che pur potendo promuovere tre processi ha ridotto al minimo il costo della giustizia e semplificato l’iter processuale, dovrebbe corrispondere un tributo maggiore di quello dovuto dal primo- violazione dell’art.3 Cost).
Tanto non senza rilevare, inoltre, che l’interpretazione dell’A.F. comporterebbe una ingiustificata discriminazione tra processi giurisdizionali poiché per quello civile (al quale si conforma di massima quello tributario) e per quello amministrativo il C.U. sarebbe commisurato al valore della lite mentre per quello tributario il C.U. dovrebbe essere commisurato al valore dei singoli atti contestualmente impugnati.
Giova in proposito ricordare che il giudice delle leggi in più occasioni ha ricordato che se di una norma sono possibili diverse interpretazioni (ma non è nemmeno il caso di cui si discute attesa la palese illegittimità dell’interpretazione sostenuta dall’A.F.)) deve sempre essere privilegiata l’interpretazione che sia costituzionalmente orientata.
Pertanto anche sotto il profilo dell’interpretazione della legge in conformità dei principi costituzionali, deve ritenersi illegittima la tesi dell’A.F.
Per le esposte considerazioni il ricorso deve essere accolto e per l’effetto deve essere annullato l’opposto provvedimento dell’A.F. dovendo il contributo unificato essere calcolato in base al valore della lite, valore costituito dalla somma dei tributi (al netto di interessi, sanzioni ed altri accessori) richiesti con le cartelle di pagamento opposte.
La novità della questione, la inesistenza di precedenti giurisprudenziali specifici e la circostanza che l’ente impositore ha ritenuto di doversi attenere alla interpretazione fornita dal MEF, costituiscono gravi ed eccezionali ragioni che, ex art.92, 2 comma, c.p.c, inducono alla compensazione integrale delle spese processuali tra le parti.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso e per l’effetto annulla il provvedimento opposto e dispone che il calcolo del contributo unificato nel procedimento n. 51/13, definito da questa Commissione con sentenza in data 18/6/2013, sia effettuato in base al valore della controversia determinato dalla somma dei tributi indicati nelle varie cartelle di pagamento impugnate, al netto di interessi, sanzioni ed accessori.
Dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del presente giudizio.
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