COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE COSENZA – Sentenza 11 gennaio 2017, n. 84
Accertamento – ICI – Immobile – Comproprietari – Abitazione principale
Con ricorso, notificato il 07.04.2015 al Comune di (…) e spedito alla segreteria di questa Commissione il 30.04.2015, (…), da (…), personalmente impugnava l’avviso di accertamento ICI2010, provv. n° 81110, prot. n° 17494/0113, dell’importo complessivo di € 145,00, emesso dal Comune di (…) in data 11.12.2014 e dallo stesso notificato in data 09.02.2015, per insufficiente versamento dell’imposta relativamente all’appartamento sito in (…).
Premetteva che era comproprietario, con la moglie, di un appartamento (mansarda) posto al piano 4°, scala A) del fabbricato sito in (…) alla via (…); che la moglie era proprietaria altresì dell’appartamento sito al piano 3°, scala A) dello stesso fabbricato; che gli appartamenti erano uniti da una scala interna ed erano entrambi adibiti ad abitazione principale della famiglia; che conseguentemente aveva presentato la dichiarazione ICI per l’anno 2010, nella quale indicava tale dimora quale abitazione principale.
Eccepiva il difetto di motivazione dell’atto impugnato in quanto non veniva data alcuna spiegazione del mancato riconoscimento, come abitazione principale, dell’immobile di cui era comproprietario – sempre che questa fosse stata la ragione dell’accertamento.
Sosteneva:
1. che l’accertamento si poneva in contrasto con gli accertamenti svolti dall’attuale funzionario dell’Ufficio Tributi del Comune che, fin dall’anno 1998, aveva indicato come unico cespite i due appartamenti (int. 12 e 17), giusta documentazione che allegava, tanto è che, ai fini TARSU, gli appartamenti erano considerati un’unica utenza per mq.146;
2. che nessun rilievo aveva la circostanza che gli immobili fossero distinti catastalmente e che una stanza, nell’appartamento al 3° piano, fosse adibita ad uso studio, in quanto ciò che contava, ai fini ICI, era l’effettivo utilizzo delle distinte unità immobiliari come abitazione principale, così come aveva sostenuto la giurisprudenza di legittimità che citava, sempre che il derivato complesso abitativo non trascendesse la categoria catastale delle unità che lo componevano;
3. che l’atto impugnato non indicava le cause e i presupposti giuridici posti a base dell’accertamento, che era completamente opposto alle risultanze del preventivo accertamento svolto dallo stesso ufficio, ovvero dagli stessi funzionari, per cui non gli aveva consentito di capire e di conoscere l’iter logicogiuridico seguito dall’Ufficio.
Chiedeva l’annullamento dell’atto impugnato – per difetto di motivazione e perché l’immobile, per il quale era stato richiesto il pagamento dell’ICI, era stato utilizzato quale abitazione principale – nonché il rimborso delle spese sostenute.
Nelle successive memorie, depositate il 31.07.2015, il ricorrente precisava che, nelle more del giudizio, erano state depositale:
a. in data 05.05.2015, la sentenza n° 2559/05/2015 della sezione V di questa Commissione, con la quale era stato accolto il ricorso di altro contribuente per fattispecie identica, come da documentazione che allegava;
b. in data 14.05.2015 le sentenze n° 2717/02/2015 e n° 2719/02/2015 (di cui allegava copia), della sezione II della stessa Commissione, relative ai ricorsi da lui presentati avverso gli accertamenti ICI rispettivamente per gli anni 2008 e 2009, che erano stati rigettati in quanto l’unificazione, dal punto di vista catastale, dei due appartamenti avrebbe potuto portare ad una variazione della categoria catastale, passando dalla categoria A3 (abitazione di tipo economico) alla categoria A1 (abitazione di tipo signorile), esclusa dalle agevolazioni per la prima casa, ed inoltre perché l’appartamento, oggetto di accertamento fiscale, era adibito a studio legale.
Sosteneva, relativamente alla possibile variazione catastale a seguito dell’unificazione degli immobili, richiamata nelle sentenze di cui al precedente punto b):
– che l’unificazione catastale degli appartamenti non avrebbe mai potuto trasformare l’immobile dalla categoria A3 alla categoria A1: infatti altro condomino del secondo piano della stessa scala aveva provveduto ad unificare catastalmente due appartamenti sullo stesso pianerottolo – tra loro confinanti e di sua proprietà- e non si era verificata alcuna variazione della categoria catastale A3, come da documentazione che allegava;
– che dal 1987 gli appartamenti, di proprietà sua e della moglie, erano stati accorpati per mezzo di una scala interna e che nessun altro intervento era stato effettuato; pertanto era solo aumentato il numero dei vani, ma non vi era stato né miglioramento delle rifiniture, esterne ed interne, né cambiamento dei materiali impiegati, né modifica degli impianti tecnologici, che erano rimasti quelli indispensabili, previsti per le abitazioni economiche;
– che, tra l’altro, l’immobile non era ubicato in zone di pregio – caratteristica fondamentale per l’individuazione delle abitazioni signorili (A1), ma nelle vicinanze della stazione ferroviaria di (…) come da planimetria che allegava, lontano dal centro della città.
Relativamente alla circostanza che l’immobile fosse destinato a studio legale, richiamata nelle stesse sentenze, sosteneva:
– che l’unica stanza adibita a studio era posta nell’immobile ubicato al piano terzo (di proprietà esclusiva della moglie) e non in quello ubicato al piano quarto, di cui egli era comproprietario con la moglie e del quale si discuteva;
– che in tale immobile, posto al IV piano, si era verificato un incendio nel 2014 e dal rapporto del Corpo di Polizia Intercomunale e dei Vigili del Fuoco risultava appartamento abitato dal suo nucleo e di semplice abitazione;
– che comunque l’adibizione a studio legale di una sola stanza non avrebbe potuto determinato l’inapplicabilità dell’agevolazione per l’abitazione principale, in quanto la legge non prevedeva tale incompatibilità se l’immobile fosse rimasto prevalentemente destinato ad abitazione principale, come nella fattispecie;
– che il proprio figlio, avv. (…), non utilizzava quotidianamente e stabilmente la stanza posta al 3° piano quale studio: infatti solo dal 2009 era iscritto all’ordine degli avvocati di (…) e conservava per tale motivo la domiciliazione legale presso l’abitazione dei genitori, mentre in realtà svolgeva l’attività prevalentemente a (…) in provincia di (…), come risultava dal curriculum vitae del medesimo, che allegava.
Precisava poi che, in materia di ICI, prima dell’abrogazione dell’art. 11 del D.Lgs 504/1992, il Comune doveva trasmettere all’UTE, competente per la determinazione della rendita catastale, copia delle dichiarazioni degli immobili indicati nel comma 4 dell’art. 5 dello stesso D.Lgs, anche relative a variazioni permanenti, al fine dell’adeguamento della rendita, come era avvenuto per il condomino che aveva accorpato i due immobili.
Nelle controdeduzioni, depositate il 26.09.2016, il Comune di (…) chiedeva preliminarmente di verificare la tempestività dell’impugnazione e della costituzione in giudizio del ricorrente, ai sensi degli art. 21 e 22 del D.Lgs 546/1992.
Nel merito richiamava le sentenze n° 2717 e n° 2719, entrambe del 2015, di questa Commissione, con le quali erano stati rigettati i ricorsi proposti dal ricorrente per l’ICI relativa rispettivamente all’anno 2008 ed all’anno 2009.
Sosteneva che, da sempre, l’immobile di proprietà esclusiva della moglie era stato considerato abitazione principale del nucleo familiare del ricorrente, mentre per l’immobile in comproprietà avevano pagato l’imposta entrambi i coniugi.
Precisava:
– che, in data 17.06.2009, il ricorrente aveva presentato la dichiarazione ICI per l’anno 2008, di cui allegava copia, nella quale dichiarava che l’immobile in comproprietà con la moglie era adibito ad abitazione principale, senza precisare che era altra unità immobiliare di fatto utilizzata quale abitazione principale del nucleo familiare.
– che, se così fosse stato, anche la moglie avrebbe dovuto considerare tale immobile come abitazione principale ed applicare sullo stesso l’esenzione, mentre la stessa aveva continuato a pagare su tale immobile l’imposta prevista per i fabbricati diversi dall’abitazione principale, né aveva mai chiesto alcun rimborso delle imposte pagate;
– che indebitamente il ricorrente aveva goduto dell’esenzione per l’immobile de quo, in quanto l’agevolazione per l’abitazione principale poteva essere concessa solo per una casa;
– che le agevolazioni fiscali erano disposizioni eccezionali e quindi non erano estensibili a fattispecie diverse da quelle contemplate dal legislatore e non potevano essere oggetto di interpretazione analogica o estensiva;
– che la stessa giurisprudenza citata dal ricorrente prevedeva l’applicazione delle agevolazioni de quo a diverse unità immobiliari, se contemporaneamente utilizzate come abitazione principale, a condizione, però, che il derivato complesso abitativo non trascendesse la categoria catastale delle unità che lo componevano;
– che, pertanto, poiché le modifiche apportate al complesso abitativo non potevano essere valutate dall’ente impositore, era indispensabile l’accatastamento unitario e quindi nella fattispecie il ricorrente non poteva godere delle agevolazioni per l’abitazione principale, ai sensi dell’art.1 comma 3 del D.L. 93/2008;
– che in tal senso si era espressa anche l’Agenzia delle Entrate nella risoluzione n° 6 del 7.5.2002;
– che i contrasti interpretativi tra giurisprudenza e prassi erano stati superati con l’art. 13 del D.L. 201/2011, comma 2, in cui era stato precisato che, per abitazione principale, si intendeva l’immobile iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nella quale il possessore e il suo nucleo familiare dimoravano abitualmente e risiedevano anagraficamente, come era stato precisato al ricorrente nella nota n°18151/1 del 29.11.2012;
– che allo stato non risultava effettuato alcun accatastamento e che il ricorrente, dopo l’entrata in vigore dell’IMU, aveva pagato l’imposta dovuta per i fabbricati diversi dall’abitazione principale, così come aveva sempre fatto la moglie;
– che l’immobile, per il quale si chiedeva l’esenzione, era adibito a studio legale dell’avv. (…), come dichiarato dallo stesso nel curriculum vitae, che allegava.
Chiedeva il rigetto del ricorso con vittoria di spese.
All’udienza odierna le parti insistono sui propri atti e il delegato del ricorrente deposita la sentenza n° 2559/5/2015 di questa Commissione – peraltro già in atti, perché allegata alle memorie illustrative -, nonché la risoluzione del Ministero delle Finanze prot.2/723 del 19.11.1993.
Motivi della decisione
La Commissione, accertata la tempestività del ricorso e della costituzione in giudizio del ricorrente, osserva preliminarmente che l’art. 24 del D.Lgs 546/1992, a differenza di quanto previsto dal previgente art. 19 bis del DPR 636/1972, che consentiva di integrare i motivi del ricorso fino alla data di comunicazione dell’avviso di fissazione dell’udienza, subordina l’integrazione dei motivi alla ricorrenza di specifici presupposti di fatto e precisamente al deposito di documenti non conosciuti ad opera delle altre parti o per ordine della Commissione(In tal senso costantemente anche la giurisprudenza. Tra le altre Cassazione Civile sez. V, ordinanza n° 20433/2011 e sentenze n° 19337/2011, n° 12442/2011, n° 1327/2007 e n° 18802/2006).
Nella fattispecie le sentenze di questa Commissione, richiamate dal ricorrente nelle memorie aggiunte e depositate successivamente alla proposizione del ricorso, non rientrano tra i suddetti presupposti di fatto che consentono l’integrazione dei motivi del ricorso.
Le argomentazioni addotte dal ricorrente nelle memorie aggiunte non possono però ritenersi motivi nuovi, ma esplicitazioni dei motivi addotti nel ricorso e quindi sono ammissibili, sebbene il ricorrente abbia fatto riferimento alle motivazioni delle sentenze citate che, tra l’altro, non sono definitive perché appellate, come è risultato da accertamenti effettuati presso la segreteria di questa Commissione.
Inoltre, comunque, le memorie non sono determinanti per la decisione di questa Commissione, appalesandosi sufficienti le eccezioni sollevate nel ricorso e le controdeduzioni del Comune, per le argomentazioni che saranno esplicitate.
Passando all’esame del ricorso, osserva la Commissione chè non sussiste l’eccepito difetto di motivazione dell’avviso di accertamento impugnato.
Lo stesso contiene infatti tutti gli elementi – tra cui i dati analitici degli immobili, il calcolo degli interessi, l’imposta dovuta e quella pagata – che hanno consentito ampia difesa in giudizio del ricorrente e quindi l’instaurazione del contraddittorio.
Tra l’altro, nella fattispecie, l’accertamento presuppone la dichiarazione ICI ed il versamento dell’imposta da parte del ricorrente – ritenuto parziale dal Comune- per cui il ricorrente medesimo non poteva non conoscere l’iter logico giuridico seguito dall’Ente impositore.
Per il resto invece il ricorso è fondato e va accolto.
Ai sensi dell’art. 1 del D.L. 93/2008, convertito in legge con modificazioni, dall’art. 1, comma 1 della L. 126/2008 e vigente fino al 31.12.2011 (perché abrogato, a decorrere dal 01.01.2012, dall’art. 13 comma 14 lettera a) del D.L. 201/2011, convertito con modificazioni dalla L. 214/2001, come modificato dall’art. 4 comma 5 del D.L. 16/2012,convertito con modificazioni dalla L. 44/2012), a decorrere dall’anno 2008 l’unità immobiliare adibita ad abitazione principale del soggetto passivo è esente dall’imposta ICI.
Il comma 2 dello stesso articolo precisa che, per abitazione principale, è da intendersi quella considerata tale dal D.Lgs 504/1992, ad eccezione di quelle appartenenti alle categorie catastali A1, A8 e A/9 (abitazioni di tipo signorile; abitazioni in villini; castelli, palazzi di eminenti pregi artistici ed architettonici), per le quali continua ad applicarsi la detrazione prevista dal medesimo D.Lgs 504/1992.
Ai sensi del comma 2 dell’art. 8 del D.Lgs 504/1992, per abitazione principale si intende quella in cui il contribuente, che la possiede a titolo di proprietà, usufrutto o altro diritto reale, e i suoi familiari dimorano abitualmente.
Tale articolo non fa riferimento al numero delle unità immobiliari, ma unicamente alla destinazione delle stesse a dimora abituale del contribuente e dei suoi familiari.
Conseguentemente, sia ai fini della detrazione (D.Lgs 504/1992) che ai fini dell’esenzione ICI (D.L. 93/2008), il concetto di abitazione principale non è legato a quello previsto dall’art. 2 comma 1 lettera a) del D.Lgs 504/1992 – in quanto l’art. 8 non fa alcun richiamo allo stesso; quindi non è limitato ad una sola unità, come identificata in catasto, e ciò che conta è l’effettiva utilizzazione, come abitazione principale, dell’immobile complessivamente considerato, a prescindere dal numero delle unità catastali.
Pertanto anche due appartamenti contigui, sebbene riportati quali unità immobiliari distinte in catasto ed appartenenti separatamente a ciascuno dei coniugi, purché adibiti ad abitazione principale del nucleo familiare, hanno diritto alla detrazione ex D.L. 504/1992 e successivamente all’esenzione, ex D.L. 93/2008 (In tal senso costantemente anche la giurisprudenza. Tra le altre Cassazione, sez. Tributaria, sentenze n° 25902/2008, n° 25729/2009, n° 25731/2009, n° 12269/2010, n° 3393/2010, n° 3397/2010; ord. n° 12050/2010 e n° 15198/2014).
Nel caso dell’esenzione è però necessario che il derivato complesso abitativo non trascenda la categoria catastale delle unità che lo compongono e quindi nella fattispecie è necessario che non acquisisca la categoria di appartamento di tipo signorile (Al), per la quale non è prevista l’esenzione, ma continua ad applicarsi la detrazione, posto che comunque mai potrebbe acquisire le altre categorie catastali A8 e A9, per le quali è anche esclusa l’esenzione suddetta.
Il ricorrente ha dato ampiamente prova, nel ricorso, che l’unità immobiliare sita al 4° piano della scala A) del fabbricato sito in (…) alla via (…) di (…), di cui è comproprietario con la moglie, sin dal 1998 è unita con una scala interna all’unità immobiliare sita al piano 3° della stessa scala A), di proprietà esclusiva della moglie, come risulta sia dalla relazione del tecnico in data 10.4.1987, in cui sono elencati i lavori da effettuare per tale accorpamento, con le relative planimetrie, sia dalla scheda di rilevazione dei cespiti soggetti ai tributi comunali, compilata in data 24.07.1998 e sottoscritta dal rappresentante del Comune di (…), unitamente al ricorrente.
E’ certo poi che i lavori eseguiti siano consistiti nella creazione della scala interna e in alcune minime modifiche, riportate nella suddetta scheda tecnica, anche per mancanza di prova contraria da parte del Comune.
Nella fattispecie le due unità immobiliari appartengono alla categoria “A3” e certamente, a seguito del loro accorpamento, tenuto conto dei lavori effettuati, il derivato complesso abitativo non ha potuto acquisire le pregevoli caratteristiche architettoniche previste per la categoria A1, che escluderebbe il diritto all’esenzione ICI.
Infatti le caratteristiche, cui occorre far riferimento per la categoria “A1”, sono quelle previste per gli immobili “di lusso” dal D.M. 2.8.69.
Inoltre la circolare n° 5 del 14.02.1992 del Ministero delle Finanze-Direzione Generale del Catasto e dei Servizi Tecnici Erariali (note a pag. 4) nonché la nota C1/1022/94 del Ministero delle Finanze- Direzione Centrale del Catasto e dei Servizi Geotopocartografici e della Conservazione dei RR.II. precisano che gli immobili appartenenti alla categoria “A1” devono possedere pregevoli proprietà strutturali e si intendono per essi le unità immobiliari appartenenti a fabbricati ubicati in zone di pregio, con caratteristiche costruttive, tecnologiche e di rifinitura di livello superiore a quello dei fabbricati di tipo residenziale (corrispondenti alla categoria A2).
Al contrario la categoria A3 – abitazioni di tipo economico – è attribuita invece agli immobili con caratteristiche di economia, sia per i materiali impiegati che per le rifiniture.
Tra l’altro il ricorrente, nelle memorie illustrative, ha anche dato prova che due unità operative di proprietà di altro condomino della stessa scala, situate al piano 2°, sono state accorpate catastalmente e la nuova unità immobiliare, derivante da tale accorpamento, ha conservato la categoria catastale “A3”.
E’ incontestato poi, per mancanza di prova contraria da parte del Comune, che la stanza adibita a studio, da parte del figlio del ricorrente, – come da quest’ultimo dichiarato nel ricorso – è ubicata al 3° piano dell’appartamento, cioè nell’unità immobiliare di proprietà esclusiva di sua moglie e quindi non nell’appartamento di cui si discute, posto al 4° piano e relativamente al quale è stato disconosciuto il diritto all’esenzione, perché spettante, a detta del Comune, solo all’immobile ubicato al 3° piano, adibito ad abitazione principale.
Tra l’altro nel curriculum vitae del figlio del ricorrente, allegato da entrambe le parti, è stato indicato che il suo studio legale è ubicato in via (…), ma senza specificazione del piano; invece nella documentazione, allegata dal ricorrente alle memorie illustrative, viene confermata l’inesistenza della stanza adibita a studio legale nell’appartamento sito al 4° piano dell’immobile de quo, come sostenuto dal ricorrente: infatti nel rapporto dei Vigili del Fuoco, intervenuti a causa dell’incendio scoppiato in tale appartamento il 23.12.2013, è indicato che l’appartamento de quo è di semplice abitazione e, nella nota prot. N° 182-1/2014 del 21.01.2014 del Corpo di Polizia Intercomunale di (…), (…), intervenuti a seguito di richiesta telefonica dei Vigili del Fuoco, è riportato che l’appartamento è abitato dal nucleo familiare del ricorrente.
Inoltre, in ogni caso, anche se nell’appartamento posto al 4° piano, di cui si discute, fosse stata ubicata la stanza adibita a studio del figlio, tale circostanza non avrebbe escluso il diritto all’esenzione ICI, perché comunque l’appartamento è prevalentemente adibito ad abitazione principale, come sostenuto anche dal Ministero delle Finanze nella risoluzione prot. n° 2/723 del 19.11.1993 per la detrazione ICI – relativamente a fattispecie in cui era stata data in affitto una camera dell’appartamento adibito ad abitazione principale, depositata in udienza dal ricorrente.
Il ricorrente ha poi dichiarato di aver presentato al Comune di (…) la dichiarazione ICI – di cui il Comune medesimo ha fornito prova, nella quale ha indicato quale abitazione principale, a decorrere dal 2008, l’appartamento di cui era comproprietario con la moglie e di cui si discute, mentre non ha alcun rilievo l’eccezione del Comune relativa alla mancata indicazione, nella stessa dichiarazione, che anche l’appartamento di proprietà della moglie fosse abitazione principale.
Tale dichiarazione avrebbe dovuto eventualmente essere effettuata dalla moglie del ricorrente, proprietaria, totalmente o in parte, di entrambi gli appartamenti; in ogni caso, la mancata indicazione dell’abitazione principale, nella dichiarazione ICI, non comporta il diniego della relativa agevolazione od esenzione, considerato che anche la dichiarazione ICI è una manifestazione di scienza, che può essere modificata in ogni momento ed anche in sede processuale (in tal senso, tra le altre, Cass. sez. Trib, sentenza n° 13151/2010).
Effettivamente la tesi di questa Commissione, conforme all’orientamento costante della Corte di Cassazione, è in contrasto con l’orientamento ministeriale, così come sostenuto nelle controdeduzioni dal Comune di (…).
Tale orientamento non può però certamente vincolare la decisione del giudice, ne ha alcun rilievo, nella fattispecie, la nuova normativa relativa all’IMU, introdotta a decorrere dal 01.01.2012 dall’art. 13, comma 2 del D.L 201/2011, richiamata dal Comune di (…) a sostegno della sua tesi, perché norma successiva e relativa ad altra imposta, che ha sostituito l’ICI.
Tra l’altro proprio la circostanza che la nuova normativa relativa all’IMU abbia espressamente sancito che, per abitazione principale si intende l’immobile iscritto o ascrivibile nel catasto, avvalora la tesi giurisprudenziale, condivisa da questa Commissione, secondo cui per l’ICI, in mancanza di espressa definizione in tal senso, l’abitazione principale può essere costituita anche da più unità catastali.
Nella fattispecie sono inconferenti, infine, le eccezioni avanzate dal Comune relativamente al comportamento del ricorrente per il pagamento dell’IMU a decorrere dal 2012, nonché al comportamento della moglie.
Il ricorso va accolto per le motivazioni suddette.
Si compensano le spese, tenuto conto della parziale reciproca soccombenza nonché della difficoltà della materia, dovuta anche al diverso orientamento ministeriale.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso n° 2700/15, proposto da compensate.