Commissione Tributaria Provinciale di Aosta sezione I sentenza n. 28 depositata il 8 luglio 2019
Assistenza e difesa – Agenzia Entrate Riscossione – Costituzione – Avvocato del libero foro – Senza delibera motivata sul singolo caso – Non sussiste
FATTO
Con ricorso n. 115/2018, depositato il 25 luglio 2018, N.F. (avv.to M.C. di Torino) ha impugnato, chiedendone l’annullamento, alcune cartelle (in epigrafe dettagliate e tutte asseritamente notificate il 12 febbraio 2008) fra quelle portate dall’intimazione di pagamento n. (omissis) notificatagli il 23 marzo 2018 dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione Aosta (in prosieguo: A.) per la complessiva somma di euro 798.176,83.
Precisa il contribuente come il provvedimento qui sub iudice rechi cartelle non coperte da atti interruttivi del decorso della prescrizione, di talché il relativo credito – una volta superata l’incertezza in ordine alla avvenuta, regolare notifica, il cui chiarimento, pure qui invocato, incomberebbe alla P.A. tramite esibizione degli originali – risulterebbe prescritto. Ciò anche alla luce di precedente sentenza della locale CTP n. 66/2017 del 6 novembre 2017.
La pretesa erariale colliderebbe infatti con il termine prescrizionale ordinario di cinque anni applicabile nella specie, vertendosi in tema di mancata opposizione al titolo esecutivo, per ciò stesso resosi inappellabile: vicenda che non comporta la conversione del suddetto termine (cosiddetto breve) in quello, raddoppiato, di cui all’art. 2953 c.c. (norma speciale, ergo inestensibile), che postula l’esistenza di un titolo giudiziale definitivo. Così come insegna il diritto vivente, raccolto intorno al magistero di Cass., S.U., n. 23397/2016.
Ne conseguirebbe la non rivendicabilità di “tutti gli arretrati, relativi al 2013 e quelli precedenti (2012, 2011, 2010 ecc.)”.
Consequenziali le conclusioni, con reclamo delle spese di lite, da distrarsi a favore del patrono suddetto ai sensi dell’art. 93 c.p.c.
Ha replicato l’A. in persona del responsabile del contenzioso regionale della Direzione regionale Piemonte Valle d’Aosta, costituendosi con il ministero dell’avv.to L.P. (anch’egli del Foro di Torino), incaricato tramite procura generale rilasciata a mezzo rogito notarile del 3 dicembre 2018. La quale A. nel respingere ogni avverso assunto e nel chiedere una consentanea pronuncia, produce all’uopo i referti della notifica sub iudice, datata 19 febbraio 2008 (pag. 2 della memoria, indicazione successivamente corretta in “12 febbraio”, v. pag. 8) e a suo dire “ritualmente eseguita alla società I. snc di F. D. – società di cui il contribuente è socio illimitatamente responsabile – presso la residenza dello stesso in P. [in uno con] gli estratti di ruolo”. Precisa l’estensore trattarsi “di un deposito effettuato in data 11.02.2008 presso la casa comunale del luogo di residenza del signor F.N. [sic] quale coobbligato della Italdecor snc di F. con invio della raccomandata informativa n. (omissis) dell’avvenuto deposito e firma per ricezione dell’avviso di ricevimento in data 19.02.2008 da parte dello stesso F.N. [sic]”.
Ciò premesso, la difesa dell’Ufficio sostiene nell’ordine:
– essere stato assolto, con la produzione dell’avviso di ricevimento, l’onere di prova del perfezionamento della procedura di notifica, senza che si rendesse necessaria – ex art. 26 D.P.R. n. 600/’73 – la sottoscrizione dell’originale da parte del consegnatario;
– non essere tenuta la mano pubblica ad esibire gli originali delle cartelle in assenza di un disconoscimento formale del loro contenuto e stante la genericità, della richiestale evocato al riguardo l’art. 2719 c.c.);
– essersi ormai, e consequenzialmente, reso incontestabile il merito della pretesa rivendicata, data la accennata ritualità della notifica e data altresì “l’intervenuta stabilizzazione del titolo stragiudiziale”;
– comunque, e a tutto concedere, essere intervenuti vari atti interruttivi (elenco a pagg. 6/7 della memoria, seguito in allegato da tabella chiarificatrice), insieme con varie vicende della procedura concorsuale aventi il medesimo effetto ex combinato disposto degli artt. 2943 e 2945, secondo e terzo comma, c.c.;
– essere di poi, e per ciò stesso, maturata la conversione della prescrizione da breve a decennale ex art. 2953 c.c. (in ogni caso, di fatto né l’una né l’altra, spendibile nella circostanza, dove però vigerebbe istituzionalmente, la seconda delle due, dal momento che si contende su crediti di natura erariale).
All’udienza pubblica del 24 gennaio 2019 il collegio ha deliberato l’ordinanza n. 3/2019, depositata il successivo 30 gennaio, del seguente tenore letterale:
“… Ravvisata la sussistenza di un difetto (peraltro rimediabile, nel giudizio di merito, tramite applicazione dell’art. 182, secondo comma, c.p.c.) nella costituzione dell’Agenzia delle entrate-Riscossione, in guanto la procura ad litem rilasciata il 30 agosto 2018 all’avv.to L.P. e versata agli atti, sopra meglio descritta e ulteriormente individuata con i seguenti estremi: “Oggetto: Pratica Agenda Legale 5201840; ricorrente F.N.”, non risulta al momento corredata dei due documenti (1: “l’atto organizzativo generale del nuovo ente [leggi Agenzia delle entrate-Riscossione] contenente gli specifici criteri legittimanti il ricorso ad avvocati del libero Foro”; 2: “la specifica e motivata deliberazione del nuovo ente che indichi (così da renderle controllabili da parte degli organi di vigilanza) le ragioni che, nella concretezza del caso, giustificherebbero tale ricorso in alternativa alla regola generale dell’assistenza da parte dell’Avvocatura dello Stato”) che recenti pronunce della Suprema Corte (sentenza n. 28684/2018 e ordinanza n. 28741/2018, entrambe nel dichiarato solco di Cass., S.U., n. 24876/2017) indicano come indispensabili in vista della tutela di superiori esigenze di contenimento delle spese pubbliche e in uno con – altro documento ritenuto necessario agli odierni fini – 3: l’atto recante la dimostrazione dell’avvenuta scelta del patrocinatore “secondo i parametri selettivi di affidamento di cui al D.Lgs. n. 50/2016 (Codice dei contratti pubblici)”. Dato atto che, nel corso dell’udienza pubblica, rivelatasi interlocutoria, del 24 gennaio 2018, la difesa, del ricorrente ha dichiarato di non essere stata in grado di reperire nel fascicolo di causa il materiale che nominalmente vi doveva risultare giacente, per cui questo giudice ha segnalato l’opportunità di ulteriori verifiche; assegna alle parti – ciascuna nell’ambito della propria sfera di competenza e dei propri interessi processuali e sostanziali – il comune termine perentorio di novanta giorni dalla data di emanazione della presente ordinanza per espletare le incombenze di cui sopra, produrre la documentazione sollecitata e depositare una memoria conclusionale che riassuma i rispettivi esiti”.
Ad evasione del provvedimento or ora ripreso, le difese versavano agli atti, alla comune data del 29 aprile 2019, le rispettive memorie conclusionali autorizzate, con le quali:
A) quanto al contribuente:
ripercorsa per sommi capi la giurisprudenza intervenuta sul punto preliminare della legittimità o meno del mandato difensivo dell’A. si rileva non essere stati né indicati né rinvenuti nel fascicolo gli atti abilitativi postulati come necessari dal diritto vivente si sottolinea (argomento qui reiterato con l’avallo, fra l’altro, di Cass. n. 7775/2014) come fin dalla prima udienza sia stata formalizzata l’eccezione relativa alla conformità all’originale ex artt. 2719 c.c. e 214 c.p.c. del più volte individuato documento (“non prodotto ma richiamato dalla [avversa] difesa”) e confutata la genuinità della sottoscrizione apposta sulla cartolina di ricevimento della raccomandata (momento necessario, si legge, anche in vista della eventuale proposizione della querela di falso); si ribadisce che, a prescindere dal fatto che molti dei crediti portati dalle cartelle di pagamento indicate nell’intimazione “si rivelavano già prescritti alla data della asserita (e contestata) notifica del 12 febbraio 2008”, in disparte ciò e stante la descritta inutilizzabilità probatoria della notifica, tutti indiscriminatamente i debiti devono considerarsi prescritti; si osserva inoltre come, dalla lettura della altrui comparsa, almeno due referti di notifica sarebbero viziati perché privi dell’indicazione dei soggetti di riferimento e delle mansioni da loro svolte in seno alla società, posto che, dei due F., solo uno (il D.) era legale rappresentante, e la sottoscrizione apposta sarebbe ictu oculi difforme da quella a lui con sicurezza riconducibile, mentre alcune altre cartoline riportano la dicitura “trasferito”; nel merito, se da un lato si ricorda come la CTR Valle d’Aosta (n. 29/2018) abbia rigettato l’appello promosso dall’A. nei confronti della mentovata sentenza di primo grado (n. 66/2017), riguardante i medesimi titoli, all’epoca attivati contro il D. con la conseguenza che qualsivoglia azione esecuzione si configurerebbe contra legem perché officiata sine titulo, dall’altro si evoca Cass., S.U., n. 23397/2016, intervenuta a dirimere il conflitto interpretativo sorto intorno alla portata dell’art. 2953 c.c. e risolto con l’affermazione del principio per cui “alla cartella non opposta resta applicabile il termine di prescrizione breve del credito azionato e non quello decennale relativo al giudicato”.
Consequenziali le conclusioni, comprendenti la distrazione di spese e onorari ai sensi dell’art. 93 c.p.c.
B) quanto all’A.
prodotto “preliminarmente il referto della rituale notifica del 12.2.2008, ritualmente eseguita alla società Italdecor snc di F. (doc. 8-bis, già doc. 2 nella memoria di costituzione difensiva)”, è analizzata, con cospicua citazione di precedenti (v. pagg. 7/17 delle note conclusive) (1), la disciplina vigente in subiecta materia, a partire da quell’art. 1, comma 8, decreto-legge n. 193/2016 la cui lettura – lì, sembra doversi arguire, il perno del ragionamento offerto – ove rapportata ad uno scenario che in astratto può comprendere tre tipologie “alternative e concorrenti” abilitanti al patrocinio dell’agente di riscossione (leggi: tramite l’Avvocatura dello Stato / tramite professionisti del libero Foro / tramite maestranze dipendenti dell’apparato), si atteggia a norma speciale rispetto al dettato dell’art. 43, commi terzo e quarto, R.D. n. 1611/1933 (in forza del quale la prima delle tre modalità può esplicarsi “su base convenzionale, ovverosia dietro stipula di apposita convenzione tra A. e l’Avvocatura Generale dello Stato”, convenzione – del 22 giugno 2016 – che esclude espressamente, dalla prima delle tre forme di avvalimento, le liti pendenti innanzi ai giudici tributari di merito), con l’effetto di imperniarsi unicamente: a) sugli specifici criteri definiti negli atti di carattere generale e b) sul rispetto della regolamentazione ad hoc contenuta nel D.Lgs. n. 50/2016, escludendo viceversa l’obbligo di c) una preventiva, apposita e motivata delibera da sottoporre “in casi speciali” agli organi di vigilanza.
In altre parole, la recente disamina della Suprema Corte, focalizzata sul precedente delle S.U. riguardante le università statali (n. 24876/2017), sarebbe erronea – e non soltanto agli occhi dell’Avvocatura dello Stato (cfr. il parere reso nel dicembre 2018, di poi trasfuso nella delibera del Comitato di gestione dell’A. del 17 dicembre 2018) – in particolare perché recherebbe un’intima contraddizione con lo stesso ventilato dictum di riferimento (che, dal canto suo, postulerebbe l’adozione di una distinta, preventiva delibera “pena il difetto di ius postulandi in capo al difensore [leggi: del libero Foro] per evidenti ragioni di razionalizzazione della spesa pubblica”), la cui pedissequa traslazione, oltre a vulnerare il diritto alla difesa, si rivelerebbe “ultronea, incongrua ed assolutamente inconferente” con le disposizioni del decreto-legge n. 193/2016 in un ambito dove la convenzione con l’Avvocatura dello Stato ha già, e in via definitiva, tipizzato i casi di interesse.
Anche qui conclusioni consequenziali, volte nell’ordine: al riconoscimento della validità della costituzione in giudizio così come operata; alla reiezione del ricorso; nonché, in via subordinata, alla prescrizione di un termine per la regolarizzazione della costituzione in giudizio dell’ente convenuto.
All’udienza del 2 luglio 2019 le difese, ascoltata la relazione e dichiaratala fedele alle loro prospettazioni, hanno entrambe richiamato gli atti in precedenza versati.
La controversia è stata assunta a decisione, inizialmente a riserva di poi sciolta in data 8 luglio 2019.
DIRITTO
I. Occorre in primo luogo scrutinare la validità o meno della costituzione in giudizio dell’A.
Validità che il collegio ritiene faccia difetto alla luce dell’indirizzo (recente ma fermo, nonché esaurientemente motivato) della Suprema Corte (ordinanza sez. V, 9 novembre 2018 n. 28741, nel solco tracciato dalle SS.UU. con sentenza 20 ottobre 2017 n. 24876: felice modello, quest’ultima, utilizzabile in virtù della vocazione e del respiro più ampi rispetto al tema trattato, le università statali; e coeva ad altra pronuncia di identico sentire, Cass., sez. V, 9 novembre 2018 n. 28684). Indirizzo al quale i giudicanti ritengono dover aderire con convinzione.
L’ordinanza in parola ha messo in risalto le modalità che, uniche, abilitano l’A. a una corretta costituzione giudiziale, escludendo recisamente l’adizione di professionalità forensi esterne quale strumento diffuso e – in quanto scevro da una scrupolosa personalizzazione per il tramite di una puntuale, preventiva motivazione ad hoc – indiscriminatamente generalizzato a prassi. All’opposto, il ricorso a prestazioni esterne all’apparato (leggi: dipendenti delegati) – maestranze, quelle di quest’ultimo, abilitate alla stregua dell’art. 1, comma 8, ultimo periodo, decreto-legge 22 ottobre 2016 n. 193, convertito dalla legge 1° dicembre 2016 n. 225 (2) – si appalesa contra legem, viola cioè una norma imperativa inaggirabile, laddove non siano assolte le condizioni di cui immediatamente infra (con l’inquietante corollario per cui ogni deviazione dal paradigma-base è foriera di responsabilità contabili e amministrative). Trattasi infatti di opzione residuale e non concorrente, variante straordinaria che – proprio perché tale, esposta com’è ad una relazione di regola-eccezione, ergo di subalternità condizionata – va circondata di particolari cautele a salvaguardia dell’interesse protetto, consistente nel risparmio di (non irrisorie) risorse finanziarie pubbliche. Cautele che non possono che esplicitarsi in una rigorosa sequenza di atti i quali, nell’attestare la serietà (qualitativa, sul versante delle competenze possedute; e quantitativa, su versante dell’onerosità) della scelta del patrocinio tramite professionisti del libero Foro, la rendano, (oltre che circoscritta nella discrezionalità, del tutto trasparente agli occhi degli Organismi istituzionalmente preposti al controllo nonché, tramite loro, a quelli della collettività sovrana.
I documenti evidenziati come necessari sono nell’ordine:
1) l’atto organizzativo generale dell’A. che abbia stabilito, in via ancora astratta, se e quando l’opera dell’Avvocatura sia surrogabile dal ricorso a un libero professionista (i cosiddetti “specifici criteri legittimanti” l’affidamento a una forma di tutela esterna di cui ai commi 5 e 8 dell’art. 1 decreto-legge n. 193/2016) (3);
2) la deliberazione specifica recante, in uno con la risoluzione dell’ente di accettare lo scontro giudiziale, la nomina ad hoc, riguardante quella tale vertenza già insorta (o – come pure può avvenire – ad insorgere nel breve), con sottolineatura delle peculiarità che, nel caso di interesse, all’adizione alternativa inducano.
Il secondo dei due provvedimenti non può, inoltre, dirsi svincolato dai lacci predisposti dall’art. 4 (Principi relativi all’affidamento di contratti pubblici esclusi) Codice dei contratti (D.Lgs. 18 aprile 2016 n. 50), che reca: “L’affidamento dei contratti pubblici aventi ad oggetto lavori, servizi e forniture, dei contratti attivi, esclusi, in tutto o in parte, dall’ambito di applicazione oggettiva del presente codice, avviene nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, pubblicità, tutela dell’ambiente ed efficienza energetica” (a completamento del cerchio, si richiamano le situazioni edittali che escludono l’applicabilità del citato art. 4, come fissate nel successivo art. 17 – Esclusioni specifiche per contratti di appalto e concessione di servizi: fattispecie nel cui novero non rientra l’attività per cui è causa).
Documenti, i due menzionati, la cui mancanza (nell’effettiva adozione, ovvero – il che è lo stesso in sede processuale – nella produzione o quanto meno nell’esibizione al giudice) si rivela letale, atteso che travolge nel nulla tutte le operazioni compiute e azzera l’intera documentazione, afferente i fatti, eventualmente versata (da Cass. n. 28684/2018 cit.: “[L’A.] ha l’onere, pena la nullità del mandato difensivo e dell’atto di costituzione su di esso basato, di indicare ed allegare le fonti del potere di rappresentanza ed assistenza“). Misura, occorre aggiungere a chiusura del cerchio, consentita al giudice (recte: da lui doverosamente spendibile) ex officio, anche a prescindere da una specifica eccezione sollevata dalla parte privata, trattandosi di questione attinente la rappresentanza processuale di uno dei litiganti e il corretto incardinamento del contenzioso.
Preme al riguardo sottolineare un aspetto saliente. In corso di istruttoria, questo giudice, mosso dalla premura di assicurare la più estesa partecipazione al confronto dialettico, ha ammesso – di contro a ciò che pacificamente deve avvenire nel giudizio di legittimità (cfr. Cass., S.U., 27 aprile 2018 n. 10266) – l’applicabilità di una norma, l’art. 182 c.p.c. (4), il cui utilizzo è, non senza ragioni, negato dalla tesi rigoristica (e per la verità forse eccessivamente formalistica) andata prevalendo nella giurisprudenza di merito (per tutti, cfr. Commissione tributaria regionale della Lombardia, sez. I, 13 novembre 2018 n. 4870, poggiante sulla chiara rubrica dello stesso [art. 182 c.p.c. – “Assistenza tecnica”] che ne limita l’applicabilità alle parti processuali che possono avvalersi dell’assistenza tecnica, facoltà esclusa, nei giudizi di merito, all’Agenzia delle entrate-Riscossione”).
In ogni caso e in buona sostanza: la parte convenuta, beneficiaria di una vantaggiosa possibilità di recupero, non l’ha sfruttata, omettendo di effettuare le produzioni/esibizioni espressamente sollecitatele; e sollecitatele entro un demarcato termine qualificato come “perentorio”, di talché la constatata omissione non può – per precetto anche qui insuperabile – essere recuperata né attraverso proroghe (ipotesi ormai tramontata, essendo trascorso il termine accordato: cfr. Cass., sez. II, 19 gennaio 2005 n. 1064) né attraverso la concessione di un termine ulteriore (cfr., sul punto, Corte costituzionale 5 luglio 1973 n. 106); ciò, considerata la funzione del predetto termine, orientato a imprimere certezza e stabilità al rapporto (cfr. Corte costituzionale 7 febbraio 2000 n. 40).
Dalla gravità degli immediati risvolti del difetto (nullità del mandato e, inesistenza della costituzione dell’A.), ulteriormente appesantita dal mancato riscontro all’invito del giudice, deriva l’estrema gravità delle conseguenze (invalidità e inutilizzabilità di tutto il materiale prodotto: documenti, memorie, controdeduzioni).
II. Le conseguenze del riscontro operato sono intuitive: non essendo il difensore elettivo dell’A. munito di jus postulandi, nulla di quanto da lui affermato o prodotto è qui utilizzabile (cfr., e plurimis, Cass., sez. III, 14 ottobre 2011 n. 21296).
Per converso, deve concludersi che l’intero assetto difensivo allestito dalla difesa del contribuente – gli argomenti svolti, i fatti dedotti, il materiale allegato – è sfuggito a idonea controprova e va ritenuto provato ai sensi dell’art. 115 c.p.c. Più in dettaglio, emerge che:
– la notifica effettuata dalla P.A. è (va ritenuta) irregolare, causa – a tacer d’altro – l’omessa esibizione degli originali;
– i gabellati atti interruttivi del decorso della prescrizione non sono mai andati a segno.
Senza dire della totale infondatezza, ai sensi dell’art. 2953 c.c., della tesi che vuole il termine breve di prescrizione (di tre o cinque anni) convertirsi automaticamente in altro più lungo senza che sia stata licenziata una pronuncia giurisdizionale ad hoc.
III. Il gravame va pertanto interamente accolto.
Spese compensate, ma unicamente perché la ragione decisiva che ha portato all’odierno verdetto (v. sopra, sub I) è stata frutto esclusivo dello sforzo del collegio, essendosi limitata la difesa del F. a farne cenno – a traino – nella memoria sollecitata iussu iudicis.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso. Spese compensate.
(1) La giurisprudenza richiamata riguarda quasi esclusivamente problematiche di lavoro trattate dall’AGO. L’unica pronuncia resa in materia tributaria esaminata per esteso (CTR Piemonte n. 520/6/19) risulta depositata nell’aprile 2019, a distanza di più di undici mesi dalla deliberazione (luglio 2018, intuitivamente anteriore alla pubblicazione, nel novembre successivo, di Cass. n. 28741/2018 cui si fa rinvio nel testo).
(2) Disposizione del seguente tenore: “Per il patrocinio nei giudizi davanti alle Commissioni tributarie continua ad applicarsi l’art. 11, comma 2, del D.Lgs. n. 546/1992”, il quale a sua volta dispone che “L’ufficio … dell’agente della riscossione, nei cui confronti è proposto il ricorso, sta in giudizio direttamente o mediante la struttura territoriale sovraordinata”.
(3) L’art. 1, comma 5, decreto-legge n. 193/2016 contempla fra l’altro le modalità di approvazione dello statuto dell’Agenzia delle entrate-Riscossione (“con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del ministro dell’economia e delle finanze”), statuto che “disciplina le funzioni e le competenze degli organi”, fra i quali spicca il comitato di gestione, che a sua volta “su proposta del presidente, delibera le modifiche allo statuto e agli atti di carattere generale che disciplinano l’organizzazione e il funzionamento dell’ente”.
(4) Art. 182 c.p.c.: “1. Il giudice istruttore verifica d’ufficio la regolarità della costituzione delle parti e, quando occorre, le imita a completare o a mettere in regola gli atti e i documenti che riconosce difettosi. 2. Quando rileva un difetto di rappresentanza, di assistenza o di autorizzazione ovvero un vizio che determina la nullità della procura al difensore, il giudice assegna alle parti un termine perentorio per la costituzione della persona alla quale spetta la rappresentanza o l’assistenza, per il rilascio delle necessarie autorizzazioni, ovvero per il rilascio della procura alle liti o per la rinnovazione della stessa. L’osservanza del termine sana i vizi, e gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono fin dal momento della prima notificazione”.
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