COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE DI GENOVA – Ordinanza 22 gennaio 2019
Imposte e tasse – IRPEF – Redditi di partecipazione a società semplici, in nome collettivo e in accomandita semplice – Imputazione al socio “indipendentemente dalla percezione” – Art. 5, Decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi)
Svolgimento del processo
Con l’avviso di cui in epigrafe emesso in data 6 settembre 2017 l’Agenzia delle entrate di Genova accertò nei confronti della società A. di D. M. & C. S.a.s. nonché dei soci M.C. e D.N.M. per il 2012 un reddito di impresa (ai fini delle II.DD.) ed un valore della produzione (ai fini IRAP) pari ad euro 79.515,00 nonché l’avvenuta effettuazione di operazioni imponibili (ai fini IVA) pari ad euro 98.817,00. Liquidò le conseguenti maggiori imposte ed irrogò una sanzione pecuniaria di euro 38.360,80.
Considerò l’Ufficio che la società, esercente attività di ristorazione in Z., pur risultando attiva dal marzo del 2006 non aveva presentato alcuna dichiarazione dei redditi per l’anno in esame; né aveva fornito risposta alcuna alla richiesta di chiarimenti rivoltale nella fase preaccertativa; né alcuno dei di lei esponenti si era presentato per attivare un contraddittorio.
E rilevò che la stessa: continuava a svolgere attività imprenditoriale (come comprovato dalla presenza di una posizione contributiva INPS, da utenze per forniture idrica, telefonica ed elettrica e dai dati dello spesometro);
nel maggio del 2010 aveva ceduto a terzi un ramo di azienda conseguendo una plusvalenza di euro 22.998,00; nell’aprile del 2011 aveva stipulato un contratto di affitto di azienda pel canone annuo di euro 12.000.
Sulla scorta di tali premesse – che tutte militavano in favore di una attività economica in regolare svolgimento – l’Ufficio determinò in via induttiva il reddito di impresa e le operazioni societarie fiscalmente rilevanti, accertando l’imponibile per trasparenza anche nei confronti dei soci, pervenendo alle risultanze di cui innanzi.
Avverso tale avviso propose ricorso in questa sede M.C., socio accomandante, eccependone preliminarmente la nullità sul rilievo che il documento non risultava sottoscritto dal capo dell’ufficio, come previsto dalla legge, bensì dal dott. P.B.; funzionario delegato dei cui poteri nulla era dato conoscere.
Nel merito – e con riferimento all’IRAP ed all’IVA – eccepì il proprio difetto di legittimazione passiva nella considerazione che detti tributi, costituendo un debito proprio della società, erano estranei alla propria qualità di socio accomandante, responsabile tra l’altro nei limiti della quota conferita. In ogni caso – aggiunse – l’Ufficio avrebbe dovuto preventivamente escutere il patrimonio societario valendo, ai sensi degli articoli 2304 e 2315 del codice civile, il principio della responsabilità dei soci solo in via sussidiaria; prova che l’Agenzia non aveva fornito.
Con riferimento, poi, al maggior reddito accertato ai fini IRPEF e relative addizionali, informò che ben prima dell’annualità in controversia egli era stato tenuto all’oscuro dell’andamento societario da parte del socio accomandatario che aveva sistematicamente omesso di fornirgli qualsiasi informazione in merito allo svolgimento degli affari sociali; e ciò nonostante egli avesse prestato garanzia fideiussoria e tentato a più riprese, anche mediante il ricorso ad un procedimento di urgenza ex art. 700 del codice di procedura civile, di ottenere le dovute informazioni. Né egli era in possesso di alcuna notizia circa la regolarità nella presentazione delle dichiarazioni annuali, nei versamenti, nelle esposizioni debitorie della società e nelle relative disponibilità, delle quali mai aveva beneficiato.
Quanto innanzi – considerò – doveva essere tenuto in considerazione non solo con riguardo all’impossibilità a difendersi e contestare nel merito la pretesa fiscale, ma anche con riguardo all’assenza di un presupposto impositivo riferibile alla sua persona; poiché egli, non avendo avuto alcuna possibilità di fruire dei redditi eventualmente prodotti, non aveva avuto alcuna capacità di disporne e quindi di possederli così come previsto dall’art. 1, con riferimento all’art. 5, TUIR. Le anzidette considerazioni – concluse – valevano anche ad escludere ogni profilo di colpevolezza (da attribuirsi semmai al socio accomandatario); onde illegittima si appalesava la propria condanna al pagamento di sanzioni ad essa correlate. L’Ufficio, nel costituirsi, contestò le opposte pretese delle quali chiese il rigetto denunciandone l’infondatezza.
Premessa l’inammissibilità del ricorso, proposto da un socio accomandante privo di ogni legittimazione attiva in relazione ad un avviso di accertamento societario, notificato al socio solo per trasparenza ai sensi dell’art. 5 TUIR, rilevò che in base a tale disposizione i redditi societari erano imputati a ciascun socio «indipendentemente dalla percezione»; e quindi anche al ricorrente che rivestiva la qualità di socio accomandante.
Poiché la notifica dell’avviso societario al C., effettuata in applicazione di tale principio, aveva avuto l’unico fine di informare i soggetti rivestenti la qualità di socio della pretesa tributaria attivata nei confronti della società, doveva per ciò solo dichiararsi cessata la materia del contendere. Quanto, poi, alla sottoscrizione dell’avviso, il funzionario firmatario dott. Paolo Benasso apparteneva alla terza area funzionale ed aveva sottoscritto l’atto per effetto della delega conferitagli dal capo dell’Ufficio: atto del quale provvide a depositare evidenza documentale.
Sospesa l’esecutività dell’atto impugnato questa Commissione, con ordinanza del 6 giugno 2018, dispose l’integrazione del contraddittorio nei confronti del socio accomandatario M. D. e della società A. di D. M. & C. S.a.s. sussistendo l’ipotesi di litisconsorzio necessario tra società e soci, mandando al ricorrente di provvedervi per l’udienza del 7 novembre 2018.
Nessuna delle parti chiamate ritenne di costituirsi. All’udienza il ricorrente informò che presso la CTP di Milano pendeva altro ricorso che egli aveva proposto nei confronti di altro avviso di accertamento, questa volta emesso nei propri confronti e per redditi personali, conseguente all’avviso societario qui impugnato. Stante la fase cautelare nella quale quel procedimento si trovava ed i possibili riflessi – anche ai fini litisconsortili – di quel ricorso, chiese – ed ottenne – il rinvio del presente giudizio in attesa delle determinazioni della CTP milanese.
Con successiva memoria 21 dicembre 2018 il ricorrente informò che quella CTP, definendo il giudizio, ritenuto che il ricorso costituiva null’altro che un doppione del presente, aveva ravvisato una ipotesi di litispendenza disponendo la cancellazione della causa dal ruolo.
All’udienza odierna, uditi i rappresentanti delle parti, la presente vertenza è stata trattenuta in decisione e definita come da dispositivo.
Motivi della decisione
1. – Premesso che nessuna influenza può rivestire nel presente giudizio la questione decisa dalla CTP milanese (stante l’assicurata integrità del contraddittorio tra società e soci relativamente all’accertamento qui impugnato) la questione relativa alla sottoscrizione dell’avviso da parte di un soggetto diverso dal capo dell’Ufficio impositore – cui nell’ordine logico delle questioni sottoposte all’esame del Collegio va concessa priorità di esame – è infondata atteso che risulta prodotta dalla resistente idonea documentazione (non contestata dal ricorrente) comprovante l’esistenza di una valida delega in favore del soggetto sottoscrittore.
Dalla documentazione versata in atti (ordini di servizio; tabella allegata con indicazione dei tipi di atto e di competenza per valore e materia attribuiti ai capi dei vari team, con indicazione dei nominativi dei rispettivi esponenti) risulta che il direttore provinciale dell’epoca aveva delegato per una serie di atti aventi rilevanza esterna alcuni funzionari appositamente individuati ed altri individuabili in base alla funzione svolta ed alla importanza economica dell’atto; provvedendo inoltre ad esplicitare i nominativi dei rispettivi titolari (per quanto qui interessa il dott. P.B. firmatario dell’avviso, risulta indicato quale capo area I.).
E la giurisprudenza della S.C. ha ritenuto valido un avviso di accertamento che rechi la sottoscrizione di altro impiegato della carriera direttiva delegato dal capo dell’ufficio, incombendo all’A.F. di dimostrare, in caso di contestazione, l’esercizio del potere sostitutivo da parte del sottoscrittore o la presenza della delega del titolare; obbligo per quanto innanzi convenientemente assolto.
2. – E’ principio reiterato e pacifico che, in materia tributaria, l’unitarietà dell’accertamento che è alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi delle società di persone e dei soci delle stesse e la conseguente automatica imputazione dei redditi a ciascun socio, proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili ed indipendentemente dalla percezione degli stessi, comporta che il ricorso tributario proposto, anche avverso un solo avviso di rettifica, da uno dei soci o dalla società riguarda inscindibilmente sia la società che tutti i soci (salvo che si prospettino questioni personali), sicché tutti questi soggetti devono essere parte dello stesso procedimento e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni soltanto di essi; e ciò in quanto la stessa non ha ad oggetto una singola posizione debitoria del (o dei) ricorrenti, bensì gli elementi comuni della fattispecie costitutiva dell’obbligazione dedotta nell’atto autoritativo impugnato, con conseguente configurabilità di un caso di litisconsorzio necessario originario. Conseguentemente, il ricorso proposto anche da uno soltanto dei soggetti interessati impone l’integrazione del contraddittorio ai sensi del decreto legislativo n. 546 del 1992, art. 14 ed il giudizio celebrato senza la partecipazione di tutti i litisconsorti necessari è affetto da nullità assoluta, rilevabile in ogni stato e grado del procedimento, anche di ufficio (cfr. SS.UU. n. 14815/2008; Cassazione n. 25300/2014; Cassazione n. 23096/2012).
Sulla scorta di tale giurisprudenza ed in base al principio dell’unitarietà dell’accertamento è vano eccepire il difetto di legittimazione attiva in capo al C., socio accomandante della società attinta dall’avviso di accertamento e quindi legittimamente titolato (ed interessato) ad agire e contraddire sulla pretesa fiscale che lo riguarda, sia quale contribuente tout court sia uti socius.
Parimenti infondata è la pretesa dell’Ufficio di ottenere una declaratoria di cessazione della materia del contendere come espressamente richiesto nelle conclusioni rassegnate nelle controdeduzioni. La cessazione, presupponendo l’esistenza di un sopravvenuto mutamento della situazione dedotta in giudizio di cui le parti dovrebbero darsi reciproco atto, tale da fa venir meno la ragion d’essere della lite, è chiaramente esclusa dalla permanenza della volontà del ricorrente di ottenere una pronuncia sulla propria domanda.
3. – La giurisprudenza della S.C. ha da tempo chiarito che «il beneficio d’escussione previsto dall’art. 2304 del codice civile ha efficacia limitatamente alla fase esecutiva, nel senso che il creditore sociale non può procedere coattivamente a carico del socio se non dopo avere agito infruttuosamente sui beni della società; ma non impedisce allo stesso creditore d’agire in sede di cognizione per munirsi di uno specifico titolo esecutivo nei confronti del socio, sia per poter iscrivere ipoteca giudiziale sugli immobili di quest’ultimo, sia per poter agire in via esecutiva contro il medesimo, senza ulteriori indugi, una volta che il patrimonio sociale risulti incapiente o insufficiente al soddisfacimento del suo credito» (cfr. Cassazione 16 giugno 2016, n. 12494; Cassazione n. 13183/1999; Cassazione n. 1040/2009; Cassazione n. 28146/2013). Nello specifico l’Agenzia si è correttamente mossa nel perimetro di tale principio poiché, tramite l’avviso di accertamento, si è limitata a rendere nota sia alla società che ai soci la propria intenzione di munirsi di un titolo – sempre che regga nel successivo contenzioso – tale da consentirle di agire in una fase successiva in executivis, laddove troverà applicazione il principio in questa sede impropriamente invocato.
4. – Detto questo va affrontata la questione relativa alla imputazione per trasparenza al ricorrente dei redditi societari in applicazione dell’art. 5 del TUIR.
In base a detta disposizione i redditi – tra l’altro – delle società in accomandita semplice residenti nel territorio dello Stato sono imputati a ciascun socio «indipendentemente dalla percezione proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili».
Il ricorrente ha ricollegato tale disposizione al principio generale di cui all’art. 1 TUIR: in base al quale il presupposto dell’imposta sulle persone fisiche è il possesso di redditi in danaro o in natura. La parola possesso dovrebbe essere intesa come materiale disponibilità di fruirne (ovvero come capacità di disporne); ed applicarsi anche ai redditi delle società in accomandita semplice i quali dovrebbero imputarsi al socio sempre che lo stesso abbia una effettiva possibilità di utilizzarli.
Nella fattispecie – ha obiettato – mai era stato posto a conoscenza dell’attività sociale di fatto svolta esclusivamente dal socio accomandatario D.. Più volte egli aveva tentato di ottenere informazioni sull’andamento sociale senza alcun risultato. Stante l’assoluta inerzia dell’accomandatario egli aveva adito anche le vie legali avviando un procedimento ex art. 700 del codice di procedura civile nanti il Tribunale di Chiavari conclusosi con un ordine rivolto dal Tribunale al D. di esibire i libri contabili e la documentazione fiscale afferente i suoi rapporti con gli istituti di credito.
Dal testo dell’ordinanza – ha aggiunto – emergeva, in particolare, la sussistenza di «elementi che avvalorano la tesi di una situazione debitoria non felice della società; situazione certo alquanto pericolosa per il socio accomandante e pure fideiussore per le obbligazioni sociali, posto nell’impossibilità di ricostruire la situazione patrimoniale della compagine sociale». Neppure a detto provvedimento il socio accomandatario aveva ottemperato. Non essendo stato messo a parte della documentazione richiesta – conclude – egli continuava a restare del tutto all’oscuro della reale soluzione della società anche con riferimento alla regolarità della presentazione delle dichiarazioni annuali della medesima e circa i relativi versamenti; e quindi era privo di qualsiasi informazione riguardo all’esposizione debitoria della società nei confronti dell’erario, ai redditi eventualmente prodotti e alle relative disponibilità liquide, del tutto sconosciute delle quali mai aveva beneficiato.
Della sussistenza di dette circostanze ostative alla fruizione del reddito societario ritiene la Commissione esser stata fornita dal ricorrente idonea prova. Poiché l’impossibilità di disporre di utilità economiche costituisce un fatto negativo, il C. ha fornito tranquillante dimostrazione di fatti positivi atti a dimostrare la propria infruttuosa attività volta ad ottenerli tramite il ricorso all’A.G. in via di urgenza ed il testo del provvedimento del giudice della cautela, ricognitivo della indisponibilità del socio accomandatario a fornire all’accomandante le notizie (e le utilità economiche) che quest’ultimo avrebbe avuto pieno diritto di ottenere (e conseguire).
Se quindi può ritenersi dimostrato che il ricorrente non solo non ha avuto notizia alcuna sull’andamento societario, ma neppure ha percepito – per lo meno allo stato – reddito alcuno derivante dalla propria partecipazione societaria, deve riconoscersi che l’unico ostacolo all’accoglimento della domanda relativa all’imputazione per trasparenza ai fini delle II.DD. sia costituito dall’art. 5 anzidetto; che, invece, lo assoggetta a tributo sui redditi societari indipendentemente dalla percezione.
Detta disposizione – e segnatamente detta espressione – a giudizio della Commissione presenta varie criticità a livello costituzionale. In particolare l’art. 5, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986 si pone in contrasto:
a) con l’art. 3 della Costituzione per la disparità di trattamento che si viene a determinare tra coloro che, in quanto soci di società di persone, pur non avendo conseguito alcun reddito, sono soggetti ad imposizione rispetto agli altri soggetti egualmente privi di reddito che ne sono invece esclusi;
b) con l’art. 24 della Costituzione, sotto il profilo del diritto alla prova in giudizio, per essere il socio delle società di persone impossibilitato a dimostrare di non aver conseguito alcun reddito;
c) con l’art. 53 della Costituzione in quanto il contribuente non percettore di reddito viene sottoposto ad imposizione in aperta violazione del principio di capacità contributiva;
d) con l’art. 113 della Costituzione in quanto per alcune categorie di atti fiscali (quelli aventi ad oggetto accertamenti nei confronti di società a base personale) verrebbe di fatto esclusa la tutela giurisdizionale ai soci che non avessero conseguito alcun reddito di partecipazione a differenza di altri soci i quali, parimenti non percettori ma relativamente ad altre categorie di atti (quelle aventi ad oggetto accertamenti nei confronti di società di capitali), tale esclusione non avrebbero.
Né varrebbe addurre che il reddito, non conseguito nell’anno di imputazione, potrebbe essere dal socio percepito successivamente in dipendenza di azioni giudiziarie che lo stesso potesse intraprendere, poiché siffatta interpretazione non solo altererebbe il regime impositivo dell’anno di riferimento portando a conseguenze incongrue (ad esempio il soddisfacimento del credito ottenuto molti anni dopo l’annualità di competenza non potrebbe più incidere su un accertamento emesso anni innanzi per intervenuta decadenza), non solo potrebbe essere contraddetto da giudizi favorevoli al contribuente, peraltro non incidenti sull’accertamento (il socio, ad esempio, ottenuto un titolo ricognitivo del proprio credito, non potrebbe più recuperare fiscalmente quanto versato per effetto della decadenza nella ripetizione ex art. 21 del decreto legislativo n. 546/1992) ma pure si tradurrebbe in un inammissibile solve et repete imponendo al socio di pagare sempre e comunque il tributo senza possibilità di proporre difese, per poi consentirgli di recuperare – forse e comunque poi -quanto versato.
Evidente è la differenza di trattamento fra il contribuente che sia in grado di pagare immediatamente l’intero tributo ed il contribuente che non abbia mezzi sufficienti per effettuare il pagamento, né possa procurarseli agevolmente ricorrendo al credito, fra l’altro perché, anche in caso di vittoria in giudizio, non otterrebbe il rimborso delle somme versate se non con ritardo. Al primo sarebbe consentito, proprio in conseguenza delle sue condizioni economiche, di chiedere giustizia e di ottenerla ove possa provare nel tempo di aver avuto ragione; al secondo questa facoltà sarebbe resa difficile e talvolta impossibile, non solo di fatto, ma anche in base al diritto, in forza di un presupposto impositivo stabilito dalla legge e consistente nell’onere del versamento di una somma eventualmente assai ingente.
Dette considerazioni, come è noto, sono state poste a base del riconoscimento dell’incostituzionalità dell’istituto del solve et repete (v. Corte costituzionale n. 21/1961).
5. – La questione – che riguarda solo le imposte dirette accertate nei confronti sia della società che del socio ricorrente; impregiudicata ogni questione per l’IRAP e l’IVA – appare rilevante ai fini del decidere perché il giudizio nei confronti del C. non potrebbe che concludersi negativamente a seguito della presunzione assoluta di attribuzione al socio dei redditi societari ancorché non percepiti; né appare manifestamente infondata alla luce delle considerazioni sopra svolte.
Né la norma può essere interpretata secundum constitutionem stante le inequivoche espressioni utilizzate dal legislatore, non spiegabili in altra maniera se non forzando al di là del lecito il dato testuale.
Si impone quindi la rimessione degli atti alla Corte costituzionale con conseguente sospensione del presente procedimento sino all’esito del giudizio di costituzionalità.
P.Q.M.
visto l’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la risoluzione della questione di costituzionalità dell’art. 5 del TUIR approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 limitatamente alle parole «indipendentemente dalla percezione», per contrasto con gli articoli 3, 24, 53 e 113 Cost.;
Sospende il giudizio in corso;
Ordina che a cura della segreteria la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa, nonché al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai presidenti delle due Camere del Parlamento.
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