COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE DI MILANO – Ordinanza 02 luglio 2019

Tributi – Indeducibilità dell’IMU dalle imposte erariali sui redditi e dall’IRAP – Decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, art. 14, co. 1 “nella sua formulazione originaria”

1. Giudizio e fattispecie concreta.

La S.r.l. T., rappresentata e difesa dagli avvocati G.E.V. e F.D.T. di Milano, ha proposto ricorso a questa commissione, registrato al n. 6229/18, avverso il rifiuto tacito della Agenzia delle entrate – D.P. II di Milano – di rimborsare, come richiestole con istanza del 31 ottobre 2016, IRES per l’anno 2012.

 La società ricorrente, attiva nel settore immobiliare (acquisto, vendita, locazione, leasing, costruzione, ristrutturazione) e proprietaria di diverse unità immobiliari, aveva, nell’anno 2012, partecipato con altra società controllata al consolidato fiscale in qualità di consolidante, trasferendo reddito per oltre 2.000.000 di euro, con un’eccedenza per IRES e ritenute alla fonte di circa 50.000 euro, mentre la società consolidata (S.p.a. E. Group) aveva esposto perdite per circa 215.000 euro.

 L’IRES dovuta dalla ricorrente era di euro 462.686,00 al netto delle eccedenze, dei quali versati 108.105 in acconto e 342.938 a saldo.

Nel medesimo anno erano stati versati euro 582.923,00 complessivi per IMU cadente su immobili propri.

Derivandone un credito di euro 160.303,83, ne era stato richiesto il rimborso.

Sostiene la ricorrente il proprio diritto alla deduzione dell’IMU versata, che ha dato luogo all’importo chiesto a rimborso, in virtù di quanto disposto dall’art. 99 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, pur considerando che il legislatore, con l’art. 14, comma 1, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, istitutivo dell’IMU, ha considerato indeducibile, ai fini delle imposte dirette dovute dalle imprese, tale imposta, per poi «tornare sui propri passi» con la legge n. 147 del 2013 (finanziaria 2014), stabilendone la deducibilità.

La ricorrente conclude chiedendo che sia riconosciuto il diritto al rimborso e che la Agenzia delle entrate sia condannata al pagamento.

In via subordinata, la ricorrente ha chiesto che sia sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 1, del decreto legislativo n. 23/2011, nel testo originario applicabile ratione temporis, segnatamente per l’anno di imposta 2012, ponendo l’attenzione sul contrasto di detta disposizione con i principi di cui agli articoli 3, 41 e 53 della Costituzione.

2. Disposizione oggetto della questione e rilevanza della questione.

La disposizione di cui all’art. 14, comma 1, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 nella sua formulazione originaria («1. L’imposta municipale propria è indeducibile dalle imposte erariali sui redditi e dall’imposta regionale sulle attività produttive»), i) pone il divieto di ammettere l’IMU in deduzione dalle imposte erariali sui redditi, in deroga all’art. 99, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 («Le imposte sui redditi e quelle per le quali è prevista la rivalsa, anche facoltativa, non sono ammesse in deduzione. Le altre imposte sono deducibili nell’esercizio in cui avviene il pagamento»), ii) si applica ratione temporis al periodo di imposta a cui si  riferisce la richiesta di rimborso nel caso in esame, iii) la sua applicazione conduce inevitabilmente al rigetto della richiesta e del ricorso poiché inibisce il rimborso.

 Ne deriva la rilevanza della questione di legittimità avente ad oggetto tale disposizione, poiché essa deve necessariamente essere applicata nel presente giudizio e soltanto l’accertata illegittimità costituzionale consente di eliminare l’eccezione alla regola generale della deducibilità, riconducendo pienamente anche l’IMU alla disciplina prevista dall’art. 99, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n. 917/1986.

In altri termini, solo l’accoglimento della presente questione di legittimità può consentire a questa commissione di concedere il rimborso richiesto dalla ricorrente.

3. Parametri costituzionali e non manifesta infondatezza della questione.

3.1. La disposizione di cui all’art. 14, comma 1, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 nella sua formulazione originaria («1. L’imposta municipale propria è indeducibile dalle imposte erariali sui redditi e dall’imposta regionale sulle attività produttive») contrasta con il principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 della Costituzione.

In base a detto principio, il presupposto di imposta, anche se individuato discrezionalmente dal legislatore, deve sempre riferirsi a «indici concretamente rilevatori di ricchezza» (Corte costituzionale, sentenze n. 16 del 2002; n. 229 del 1999; n. 143 del 1982); il tributo deve dunque colpire un presupposto economico effettivo. In applicazione di tale principio, la tassazione diretta che grava sulle società deve essere commisurata al reddito netto effettivo, calcolato al netto delle spese inerenti alla produzione del reddito stesso. E dunque i costi e gli oneri sostenuti, ove presentino i requisiti di inerenza, certezza e di oggettiva determinabilità, devono necessariamente poter essere dedotti dalle entrate lorde; proprio ciò che invece non è consentito in applicazione della norma impugnata.

L’indeducibilità totale o parziale, infatti, è ammissibile soltanto con riguardo a costi che presentano elementi di incertezza nell’inerenza o nella determinazione, o ancora qualora sia fondato il pericolo che la deduzione di tali costi rischi di coprire l’elusione o l’evasione fiscale; e così, come rilevato in dottrina, «non può mai essere, quindi, dichiarato indeducibile, neanche parzialmente, il costo di un fattore ordinario, certo ed essenziale per la produzione del reddito […], pena la sicura violazione (almeno) del principio di capacità contributiva, dovendo sempre sussistere una ragione, ovvero un rapporto, fra novella ricchezza e prelievo impositivo».

Per le società, la spesa per il pagamento dell’IMU deve essere considerata un costo inerente alla produzione del reddito.

Tale esborso, infatti, deriva dagli immobili strumentali della società stessa; inoltre esso è un costo certo, la cui misura è determinata d’imperio dalla legge, senza alcuno spazio discrezionale lasciato all’imprenditore.

 L’art. 14, comma 1, del decreto legislativo n. 23/2011 – nel testo applicabile al presente giudizio – nega in toto la deducibilità dell’IMU dalle imposte sui redditi; in questo modo, la base imponibile IRES non è depurata da una spesa sostenuta per produrre il reddito stesso. La base imponibile IRES viene così a comporsi di una ricchezza soltanto virtuale, che corrisponde alla mancata deduzione di un costo certo e inerente, qual è quello dell’imposta municipale unica.

Per effetto della norma impugnata, pertanto, l’IRES non colpisce più il reddito netto prodotto dall’impresa, ma colpisce una grandezza diversa, cioè il reddito al lordo delle imposte indeducibili: tale reddito almeno in parte non rappresenta e tantomeno non esprime una forza economica concreta. E dunque la tassazione ai fini delle imposte dirette va a gravare su un reddito d’impresa in parte fittizio, in contrasto con il principio di capacità contributiva.

3.2. La disposizione di cui all’art. 14, comma 1, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 nella sua formulazione originaria contrasta con il divieto di doppia imposizione di cui all’art. 53 della Costituzione.

A causa dell’applicazione di tale disposizione, la società è costretta a pagare, di fatto, due volte un’imposta sulla base del medesimo presupposto: la proprietà del bene immobile, infatti, da un lato determina l’obbligo di versare l’IMU, dall’altro determina l’impossibilità di dedurre tale costo, che dunque concorre a formare la base imponibile sulla quale è liquidata l’imposta sui redditi. Si tratta dunque di una violazione del principio del divieto di doppia imposizione, principio costantemente affermato dalle disposizioni legislative – da ultimo ribadito dalla legge n. 42/2009 all’art. 2, primo comma, lettera o) – ma soprattutto estrinsecazione del più alto principio costituzionale di capacità contributiva di cui all’art. 53 della Costituzione.

Secondo la dottrina, infatti, il divieto di doppia imposizione esprime «un indirizzo vincolante anche, e in primis, per il legislatore, che, se pure gode di un’ampia discrezionalità nella selezione dei fatti indice di capacità contributiva, deve poi essere coerente nel disegnare le fattispecie imponibili, evitando che uno stesso tributo colpisca più volte una medesima manifestazione di ricchezza».

Tra l’altro, la doppia o plurima imposizione tributaria si pone in contrasto con l’art. 53 della Costituzione anche perché essa può condurre all’esaurimento della capacità contributiva, o comunque può costituire un carico eccessivo che supera il limite massimo tollerabile per il prelievo tributario. E dunque, nel caso di specie, la mancata deducibilità dell’IMU conduce di fatto a un fenomeno di doppia imposizione che non è consentito dalle norme costituzionali.

3.3. La disposizione di cui all’art. 14, comma 1, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 nella sua formulazione originaria contrasta con il principio di ragionevolezza ex articoli 3 e 53 della Costituzione.

L’IRES, in base all’art. 75, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, «si applica sul reddito complessivo netto».

L’art. 14, comma 1, del decreto legislativo n. 23/2011 non si concilia però con tale previsione.

Non può, invero, essere considerato netto un reddito da cui non si possono dedurre i costi sostenuti per il pagamento dell’IMU.

E, dunque, tale irragionevole scelta del legislatore non solo viola il principio di capacità contributiva, ma si pone altresì in contrasto con il più generale principio di ragionevolezza, poiché la disciplina normativa che riguarda l’imponibile (per cui non è consentita la deducibilità dell’IMU) non è coerente con la struttura stessa del presupposto dell’imposta (che è, come ricordato, il «reddito complessivo netto»).

In materia tributaria, il legislatore gode di una discrezionalità ampia nel fissare il presupposto d’imposta; tuttavia, nell’individuazione dei singoli elementi che concorrono alla formazione della base imponibile tale discrezionalità si restringe in modo considerevole, perché è tenuto a configurare una base imponibile che sia ragionevole e coerente rispetto al presupposto prescelto.

Si tratta del resto di una declinazione del principio generale di ragionevolezza di cui all’art. 3, comma primo, della Costituzione, in base al quale quando il legislatore individua una finalità da perseguire, questa deve essere poi sviluppata in modo coerente dallo stesso (v., per tutte, Corte costituzionale, sentenza n. 89 del 1996).

 Tornando al caso in esame, la disciplina in base a cui si configura la base imponibile dell’IRES dovrebbe essere tale da colpire il «reddito complessivo netto».

Invece l’art. 14, comma 1, del decreto legislativo n. 23/2011 esclude – nel testo applicabile nel presente giudizio – o limita a una percentuale fissa – nel testo come successivamente modificato – la deducibilità di un costo qual è il pagamento dell’IMU; disposizioni di questo tipo derogano rispetto al presupposto d’imposta individuato dalla legge e, in assenza di una valida giustificazione, determinano la violazione della ragionevolezza della disciplina del tributo imposta dagli articoli 3 e 53 della Costituzione.

3.4. La disposizione di cui all’art. 14, comma 1, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 nella sua formulazione originaria contrasta con il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione e con la libertà di iniziativa economica privata, tutelata dall’art. 41 della Costituzione.

La disposizione censurata si pone, inoltre, in contrasto con il principio di eguaglianza formale sotto un diverso profilo.

La mancata deducibilità, infatti, ha un impatto sul piano della cd. equità orizzontale (i soggetti che hanno la stessa capacità contributiva devono essere tassati in modo eguale) perché irragionevolmente sottopone a maggiore tassazione la società che si serve di immobili strumentali di proprietà rispetto a quella che invece utilizza immobili strumentali che non sono di sua proprietà: quest’ultima può infatti dedurre tutti i costi e gli oneri relativi agli immobili, mentre la società che utilizza immobili di proprietà non può, in tutto (per il 2012) o in parte (per gli anni successivi), dedurre l’onere tributario che grava sugli stessi. A tal proposito si specifica che non è la natura di onere tributario a giustificare tale differenza in relazione al regime della deducibilità.

Infatti, la TASI è deducibile dal conduttore e dal proprietario; e si tratta di un’imposta che ha un presupposto pressochè identico a quello dell’IMU (il possesso o la detenzione di immobili), con cui pure condivide le regole di determinazione della base imponibile.

L’indeducibilità, soprattutto se totale, conduce a un’ingiustificata disparità di trattamento tra società che, a parità di reddito netto, sono state assoggettate nel 2012 ad un diverso carico fiscale soltanto per la diversa incidenza del tributo indeducibile: la misura dell’IRES 2012 è dipesa, tra l’altro, dal presupposto di un diverso tributo e soltanto per quelle società che erano proprietarie di immobili strumentali; così, coeteris paribus, risultava maggiormente colpita la società che ha dovuto corrispondere l’IMU e non invece altri tipi di spese. E tale disparità di trattamento non appare giustificata da differenze qualitative apprezzabili del costo in esame rispetto alla generalità dei costi deducibili, così ponendosi in contrasto con l’art. 3, primo comma, della Costituzione.

Tale irragionevole disparità di trattamento penalizza, inoltre, le società che hanno scelto – anche in tempi risalenti – di investire parte del proprio capitale o dei propri utili nell’acquisto di immobili strumentali, così rendendo migliori da un punto di vista fiscale altre scelte di investimento degli utili e senza che vi sia un motivo ragionevole.

Non c’è infatti ragione per gravare le società che hanno investito negli immobili strumentali di un carico fiscale maggiore rispetto a quelle che hanno, invece, deciso di non dare agli utili la medesima destinazione (e possono beneficiare, inoltre, della deducibilità delle spese sostenute per l’eventuale locazione di immobili funzionali).

La disposizione censurata, pertanto, discriminando le società in ragione di scelte di investimento senza che vi sia un valido motivo, si pone in contrasto anche con la libertà di iniziativa economica privata, tutelata dall’art. 41 della Costituzione.

P.Q.M.

Visto l’art. 2, comma terzo, della legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 1, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 nella sua formulazione originaria («1. L’imposta municipale propria è indeducibile dalle imposte erariali sui redditi e dall’imposta regionale sulle attività produttive») per contrasto, nei termini indicati in motivazione, con gli articoli 3, 53 e 41 della Costituzione.

Dispone:

la sospensione del procedimento;

la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;

la notificazione della presente ordinanza, a cura della cancelleria, al Presidente del Consiglio dei ministri;

 la comunicazione della stessa al Presidente della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica;

 la notificazione alle parti.