Commissione Tributaria Provinciale di Milano sezione XVI sentenza n. 1625 depositata il 9 aprile 2019
Cessione a esportatore abituale – Comportamento diligente del cedente – Richiesta informazioni al cessionario – Illegittimità avviso di accertamento
Fatto
Con ricorso RGR 3192/18 N.H. SPA, rappresentato e difeso dal dott. L.F., propone opposizione avverso avvisi di accertamento IVA anni 2013/14/15 per un valore complessivo di € 4.857.222,00.
L’ufficio ha contestato indebita emissione di fatture nei confronti della Y.T. srl, soggetto principale attorno al quale ruotava una frode carosello, ritenute non imponibili ai sensi dell’art. 8 c. 1 lett. c DPR 633/72 (art. 8 – Cessioni all’esportazione (Dpr 633/72). Ha quindi accertato importi in evasione ed ha irrogato sanzioni per l’importo citato in precedenza, ritenendo ideologicamente false le dichiarazioni d’intento ricevute dal cliente.
Eccepisce quindi:
1) Violazione dell’onere della prova circa la presunta consapevole partecipazione da parte della N.H. alla frode posta in essere dalla Y.T. srl.
2) Escludibilità nei fatti delle responsabilità ascritte alla N.H. che sostiene di essere stata sempre contribuente esemplare.
Conclude quindi chiedendo l’annullamento degli atti impugnati.
La questione era già stata oggetto di udienza cautelare di sospensione in data 17 settembre, con la concessione della sospensiva.
Si costituisce già in fase cautelare l’ufficio che contesta quanto dedotto, ritenendo ampiamente provato e non contestato da controparte l’esistenza della frode da parte di Y.T. E, visti gli evidenti benefici, conseguiti dalla N.H., ritiene che questa ne abbia consapevolmente fruito. Chiede quindi il rigetto del ricorso.
Motivi della decisione
Va preliminarmente rilevata l’ammissibilità del ricorso, che risulta essere tempestivo, stante la sua regolare proposizione ed instaurazione del contraddittorio nei confronti dell’Ente impositore, che aveva provveduto alla formulazione dell’atto impugnato, la cui tipologia rientra tra quelle soggette a questa giurisdizione tributaria.
Va osservato quindi, nel merito dell’opposizione, che l’avviso impugnato trae origine e fondamento da verifica dell’Ufficio delle Dogane di Napoli 2 e da PVC dell’Agenzia delle Dogane di Monopoli, posti in essere nei confronti della Y.T. s.r.l., con sede in Frattamaggiore (NA). Detta società aveva emesso dichiarazioni di intento a favore della odierna ricorrente per gli anni 2013, 2014 e 2015. E nel corso del controllo, stando a quanto verificato dall’Ufficio delle Dogane NA 2, era risultata priva dei requisiti di legge. Era infatti risultato che la Y.T. s.r.l. aveva posto in essere commercio di prodotti provenienti dalla N.H. senza avere i requisiti di “esportatore abituale”, categoria imprenditoriale prevista dalle disposizioni dell’articolo 8, comma 1 del D.P.R. n. 633/1972, che conferisce la facoltà, previa iscrizione al Registro VIES (VAT Information Exchange System), di acquistare beni e/o servizi in esenzione IVA verso i propri fornitori, nell’ambito di un plafond costituito nell’anno solare precedente.
Tale Organismo internazionale nasce con la finalità di stabilire un flusso di dati attraverso le frontiere interne, attraverso un sistema altamente informatizzato che consente alle aziende di verificare con l’opportuna rapidità i dati sui propri clienti esteri e/o operanti con l’estero, facilitando altresì l’azione di controllo da parte delle amministrazioni nazionali.
Orbene, pur dovendosi escludere una responsabilità da parte dell’A.F. per il ritardo immesso nella verifica in capo alla Y.T. che opportunamente si direbbe auspicabile intervenisse prima dell’iscrizione del soggetto esportatore al VIES, va altresì rilevato, in tali casi, che la prassi prevede una mera produzione documentale. E’ indubbio però che la qualifica di esportatore abituale riviene anche dall’iscrizione nel registro speciale di tale rilevante Organismo internazionale, proprio con l’intento di fornire alle aziende di produzione, con la rapidità che l’odierno mercato richiede, i dati fondamentali inerenti l’attività di un potenziale cliente operante su mercati esteri. Ebbene, come detto in precedenza, sarebbe auspicabile che le verifiche da parte dell’A.F. giungessero quanto meno all’indomani della richiesta di iscrizione, in modo da adottare una prevenzione più accurata contro il verificarsi di sempre possibili, e sempre più ricorrenti, attività frodatorie in campo IVA comunitaria, stante l’agevolazione prevista dall’art. 8 DPR 633/72. E va altresì rilevato che dai documenti forniti dalla Y.T. alla N.H. – dichiarazione anno 2012 – risultava per tabulas la qualifica, che l’ufficio ha successivamente contestato, di “esportatore abituale” in capo alla Y.T., essendo evidenziato, nel documento fiscale ricevuto, l’esistenza di plafond accumulato da quest’ultima, per l’anno 2012.
Ebbene, dalla documentazione in atti, risultano inoltre elementi sufficienti a suffragare in buona parte le eccezioni proposte dalla ricorrente. Ed infatti, nel corpo dell’allegato 1) al ricorso – PROCESSO VERBALE DI CONSTATAZIONE – redatto a cura dell’Agenzia delle Dogane di Monopoli, si legge che il primo contatto fra la ricorrente e la Y.T., fondamentale al fine di comprendere come fosse nato il rapporto commerciale, fu iniziato da quest’ultima a mezzo di e-mail datata 29 ottobre 2013 – ore 17,24, con la quale la ditta, allora aspirante cliente, si qualificava e presentava brevemente e chiedeva all’interlocutrice, probabile venditrice, quali fossero i documenti da questa ritenuti necessari al fine di stabilire un rapporto commerciale. I Funzionari verbalizzanti palesano le loro perplessità, che ritengono sarebbero dovute insorgere anche nella N.H. (ravvisando quindi un difetto comportamentale), circa il fatto che il contatto fosse avvenuto attraverso una normale casella di posta elettronica, probabilmente ritenendo che, a maggior garanzia, questo si sarebbe dovuto mezzo posta certificata. Ebbene, non esistendo una normativa in tale senso, è il caso di considerare che la prassi corrente, in questi casi, non è quella di introdurre una proposta di collaborazione commerciale a mezzo posta certificata, così come non si è mai verificato un primo contatto, in caso di corrispondenza epistolare commerciale a mezzo posta, per il tramite di una raccomandata AR, equiparata alla PEC, riservata solitamente ad altra tipologia epistolare. Al contrario, sempre con riferimento ai rapporti epistolari comuni, il primo approccio è, di solito, effettuato attraverso una semplice lettera commerciale inviata per posta ordinaria, a volte corredata da brochure od altri supporti cartacei atti a presentare l’azienda che si propone. Non si può pertanto ritenere tale circostanza come pregnante al fine di valutare un comportamento superficiale, nella valutazione dell’ipotetico cliente, da parte della ricorrente, la quale, in persona di una sua funzionaria a tanto incaricata, al contrario, rispondeva nell’arco di un’ora (18,31) richiedendo l’invio della dichiarazione anno 2012, completa di ricevuta di presentazione all’Agenzia delle Entrate, dalla quale risultasse il plafond maturato in quella annualità, al fine dell’applicazione dell’art. 8 DPR 633/72. A fronte di tale richiesta, in capo a due giorni, in data 31 ottobre 2013, la Y.T. inviava quanto richiesto. Nella stessa giornata, l’incaricata della N.H., premettendo la necessità dell’invio, da parte della Y.T., di lettera di intento prima di ciascun acquisto, richiedeva l’invio di certificazione della Camera di Commercio, che la Y.T. pedissequamente inviava di lì a poco. Del medesimo ordinario tenore risultano essere le corrispondenze successive, intervallate da contatti telefonici e dalla emissione di fatture, a fronte delle quali corrispondevano effettive, verificate non contestate, vendite all’estero regolarmente pagate. Al termine dell’esame della corrispondenza, i Funzionari verbalizzanti, al capo 4) del verbale, deducono che la N.H. avrebbe realizzato un evidente interesse economico, incrementando considerevolmente le vendite, “con effetti positivi sulla credibilità/solvibilità bancaria, atteso che la Y.T. srl, oltre a garantire un grande volume di ordini, si è dimostrato sin da subito un ottimo pagatore, in grado di regolare le transazioni in tempi brevissimi (cfr. mastrini cliente in Allegato II), con effetti positivi sugli indici di liquidità della N.H. Spa oltre che sul fatturato”. Su questo punto, il Collegio non ritiene possano rilevarsi indizi che lascino supporre una sostanziale scorrettezza, od anche leggerezza, nella conduzione della relazione d’affari da parte della ricorrente, la quale, nell’esercizio della propria legittima attività di produzione, appare abbia effettivamente aumentato le vendite estere (non contestate dall’ufficio accertatore né dai verbalizzanti), quindi il fatturato, quindi la solvibilità, quindi la liquidità.
Né, in verità, appare qualificabile come mancante o carente di diligenza il comportamento della società ricorrente, nella gestione del rapporto, con la società acquirente, dal momento che la N.H. appare abbia acquisito tutti gli elementi documentali atti a garantire il contratto che stava per formalizzare, con le vendite poste in essere, richiedendo di documentare l’iscrizione commerciale della propria interlocutrice commerciale, la regolarità delle sue dichiarazioni fiscali, l’esistenza del plafond, non rientrando nelle proprie peculiarità la facoltà di effettuare controlli, ispezioni e/o perquisizioni, che attengono esclusivamente alla sfera delle attribuzioni di attività di verifica e controllo da parte di Organismi dello Stato.
I verificatori, al capo 5 “Conclusioni” del pvc, concludono quindi che “Per tutto quanto sinora esposto, si ritiene che la N.H. Spa non solo fosse edotta della fittizietà delle dichiarazioni di intenti della Y.T. Srl, ma fosse anche consapevole della frode, da cui traeva ingenti vantaggi commerciali e fiscali.”. Sul punto, il Collegio non ritiene di concordare, poiché, come detto, non appaiono sussistere elementi di superficialità o scorrettezza da parte della ricorrente nel perseguire i propri fini commerciali. In particolare, priva di fondamento l’affermazione secondo la quale la N.H. fosse a conoscenza della “fittizietà delle dichiarazioni di intenti della Srl”, in considerazione del fatto che, a parere del Collegio, non è possibile collegare i comportamenti fraudolenti posti in essere dalla Y.T. con una presunta rilevabile fittizietà delle dichiarazioni di intenti, visto che a queste, al contrario, sono corrisposte le conseguenti vendite estere, regolarmente pagate dagli acquirenti finali. Anche sotto questo profilo quindi, non potendosi ravvisare una reale fittizietà, per ciò che attiene gli aspetti che la N.H. aveva interesse di curare, non si ritiene condivisibile quanto dedotto dall’Amministrazione. Va altresì osservato nel merito di tale questione che, la pretesa fittizietà delle lettere d’intenti, che preludono alle vendite, presupporrebbe una inesistenza oggettiva delle operazioni imponibili, il che comporterebbe automatica contestazione in tal senso, che non risulta formulata nei confronti della N.H., avendo l’Amministrazione limitato i propri approfondimenti nei confronti della società acquirente Y.T., dimostratasi solo successivamente priva dei requisiti di legge quale esportatore abituale, sebbene la non contestata effettiva operatività nel settore delle vendite internazionali.
Da quanto fin qui dedotto e argomentato, il ricorso deve essere accolto, pur procedendo in deroga al principio di soccombenza provvedendo alla integrale compensazione delle spese tra le parti, potendosi ravvisare giusti motivi nella complessità della materia in trattazione.
P.Q.M.
La Commissione, definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso. Spese compensate.
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