COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE di NAPOLI – Ordinanza 22 novembre 2021, n. 3
Tributi – Imposta municipale propria (IMU) – Agevolazioni per l’abitazione principale – Requisiti – Dimora abituale e residenza anagrafica del possessore e del suo nucleo familiare – Applicazione dell’esenzione dall’imposta per l’abitazione adibita a dimora principale del nucleo familiare nel caso in cui uno dei componenti sia residente anagraficamente e dimori in un immobile ubicato in un altro Comune – Omessa previsione. – Decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, art. 13, comma 2.
I. – La controversia
I.1.- Il sig. M.M. ha impugnato gli avvisi notificati il 27 novembre 2020, con i quali il Comune di Napoli ha rettificato l’IMU 2015/2018 della sua abitazione principale in Napoli.
Il contribuente, assumendo di possedere i requisiti di legge e provandoli documentalmente, ha rivendicato il diritto all’esenzione dall’IMU sul presupposto che il suo unico immobile costituisse la residenza anagrafica e la dimora abituale dell’intero nucleo familiare.
I.2.- Il Comune di Napoli – premesso che, per «abitazione principale», deve intendersi l’unica unità immobiliare in cui «il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente» (art. 13, comma 2, del decreto-legge n. 201/2011; circolare n. 3 del 2012 del Dipartimento delle politiche fiscali e, ex multis, «la recente ordinanza n. 20130/2020 del 24 settembre 2020») – ha negato il diritto all’esenzione perché «il nucleo familiare non risiede interamente in via … atteso che la coniuge del ricorrente … risulta aver trasferito la propria residenza nel Comune di Scanno (AQ) sin dal 2012 (cfr All. 02)».
Da tale premessa fattuale ha desunto che «ciò solo, determina, ai sensi della normativa vigente e degli orientamenti giurisprudenziali sopra richiamati, la non applicabilità all’immobile oggetto di contestazione ( SCA/16/293/101 ) delle agevolazioni previste per le abitazioni».
II. – Oggetto dello scrutinio di costituzionalità – fonti normative – indirizzi giurisprudenziali
II.1. – La controversia attiene alle conseguenze applicative dell’art. 13, comma 2, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214) che – negando l’esenzione IMU per l’abitazione principale del ricorrente a causa della residenza anagrafica e dimora di un componente del nucleo familiare in un altro comune – determina plurime violazioni di parametri costituzionali [applicazione della regola della parità sostanziale a parità di condizioni (art. 3);
parità dei diritti dei lavoratori costretti a lavorare fuori della sede familiare (articoli 1, 3, 4 e 35); diritto alla parità dei contribuenti coniugati rispetto a partner di fatto (3, 29 e 31);
tassazione in base alla capacità contributiva e progressività impositiva (art. 53); famiglia quale società naturale (art. 29);
aspettativa rispetto alle provvidenze per la formazione della famiglia e adempimento dei compiti relativi (art. 31); tutela del risparmio (art. 47)].
II.2. – La denunciata norma statuisce che «L’imposta municipale propria ha per presupposto il possesso di immobili … L’imposta municipale propria non si applica al possesso dell’abitazione principale e delle pertinenze della stessa, ad eccezione di quelle classificate nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9, per le quali continuano ad applicarsi l’aliquota di cui al comma 7 e la detrazione di cui al comma 10. Per abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente. Nel caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale, le agevolazioni per l’abitazione principale e per le relative pertinenze in relazione al nucleo familiare si applicano per un solo immobile». Tale testo, in parte qua, risulta invariato negli anni (2015-2018) oggetto della controversia.
L’iniziale interpretazione dell’amministrazione finanziaria (contenuta nella circolare del Dipartimento delle finanze n. 3/F del 2012) era nel senso che l’omissione di una previsione espressa dell’agevolazione in presenza di residenza e dimora di un componente in immobile ubicato in un comune diverso non ne costituisse negazione ma, al contrario, implicita conferma, senza il limite quantitativo di applicabilità riferito ai soli immobili endo-comunali.
Alla pluriennale lettura citata si è contrapposto il diverso orientamento della Corte di cassazione, attualmente consolidato, che, sulla base della lettera della norma, esclude l’esenzione per il solo fatto che un componente della famiglia risieda in altro comune.
II.3. – L’interpretazione della Cassazione (Cassazione n. 4166 del 2020; n. 20130 del 2020 e n. 17408 del 2021) – che correttamente ha ritenuto la norma speciale di esenzione dall’onere tributario insuscettibile di applicazione (analogica o estensiva) a fattispecie non espressamente contemplate dalla tassativa tipologia specificamente prevista (art. 14 delle disposizioni preliminari del codice civile) -induce il sospetto di incostituzionalità della stessa.
La Cassazione, nelle richiamate sentenze, consolidando il proprio orientamento in ordine alla natura di stretta interpretazione delle norme agevolative (tra le molte, in tema di ICI, più di recente, cfr. Cassazione n. 23833 del 2017; Cassazione n. 3011 del 2017), conforme a quello della Consulta (Corte costituzionale n. 242 del 2017), dopo aver rilevato le differenze tra la normativa IMU e quella della preesistente ICI, ha statuito:
che il dato letterale impone, come ineludibile condizione dell’esenzione, che l’intero nucleo familiare abbia la residenza principale nello stesso immobile;
che la norma ha lo scopo di evitare elusioni, ad esempio di coniugi non separati che, avendo nello stesso comune distinte abitazioni principali, possano fruire di una duplice esenzione;
che, nell’ipotesi di residenze plurime dei familiari nello stesso comune, l’aliquota e la detrazione debbano essere comunque uniche;
che il caso di coniugi non separati con residenze in comuni diversi, non essendo stato espressamente contemplato tra quelli oggetto di agevolazione, non può beneficiare dell’esenzione (Cassazione n. 1708 del 2021).
Sulla scorta di tali premesse la Corte ha testualmente chiarito che, nell’ipotesi in cui «due coniugi non separati legalmente abbiano la propria abitazione in due differenti immobili, il nucleo familiare (inteso come unità distinta ed automa rispetto ai suoi singoli componenti) resta unico, ed unica, pertanto, potrà essere anche l’abitazione principale ad esso riferibile, con la conseguenza che il contribuente, il quale dimori in un immobile di cui sia proprietario (o titolare di altro diritto reale), non avrà alcun diritto all’agevolazione se tale immobile non costituisca anche dimora abituale dei suoi familiari, non realizzandosi in quel luogo il presupposto della “abitazione principale” del suo nucleo familiare.
Ciò in applicazione della lettera e della rado della norma, che è quella di impedire che la fittizia assunzione della dimora o della residenza in altro luogo da parte di uno dei coniugi crei la possibilità per il medesimo nucleo familiare di godere due volte dei benefici per l’abitazione principale».
Secondo tale orientamento (parzialmente contraddittorio con la dichiarata finalità antielusiva della norma) la vera ragione ostativa al riconoscimento dell’agevolazione non risiederebbe neppure nel rischio di una doppia esenzione, ma nella oggettiva scissione del nucleo familiare a causa della residenza extra-comunale di uno dei suoi componenti.
La Corte, infatti, ha precisato che «un’unità immobiliare può essere riconosciuta abitazione principale solo se costituisca la dimora abituale non solo del ricorrente, ma anche dei suoi familiari, non potendo sorgere il diritto alla detrazione nell’ipotesi in cui tale requisito sia riscontrabile solo nel ricorrente ed invece difetti nei familiari (Cassazione, sez. 6-5, 21 giugno 2017, n. 15444, Rv. 645041 -01; Cassazione, sez. 5, 15 giugno 2010, n. 14389, Rv. 613715 – 01). In definitiva, l’abitazione principale è solo quella ove il proprietario e la sua famiglia abbiano fissato: 1) la residenza (accertabile tramite i registri dell’anagrafe); 2) la dimora abituale (ossia il luogo dove la famiglia abita la maggior parte dell’anno)».
III. – Rilevanza della questione
L’applicazione dell’art. 13, comma 2, del decreto-legge n. 201/2011, convertito nella legge 22 dicembre 2011, n. 214 in sede di decisione del ricorso oggetto della controversia tributaria, implica la rilevanza della questione in considerazione della sussistenza di un effettivo e concreto rapporto di strumentalità fra la definizione del giudizio principale e la risoluzione della questione di legittimità costituzionale (Corte costituzionale n. 282 del 1998).
La questione proposta ha ad oggetto la norma applicabile dal rimettente (Corte costituzionale n. 10 del 1979) e l’eventuale sentenza di accoglimento della Corte spiegherebbe una influenza decisiva nel processo tributario, provocando un cambiamento del quadro applicativo assunto dalla Commissione (Corte costituzionale n. 390 del 1996).
Il contribuente, infatti, pur avendo pienamente dimostrato la sussistenza di tutti i presupposti di legge (unicità dell’immobile, classificazione, tipologia accatastamento, residenza anagrafica e dimora abituale del nucleo familiare);
pur risultando pacifica l’inesistenza di altre esenzioni, sia per espressa dichiarazione del ricorrente, sia per non essere stata mossa al riguardo alcuna eccezione dall’Ente impositore che ne sarebbe stato processualmente onerato dall’art. 2697, secondo comma, del codice civile;
pur avendo, quindi, astrattamente diritto all’esenzione dall’IMU per il cespite, sulla base di una normativa che fosse rispettosa dei parametri costituzionali;
si è visto irrazionalmente negare l’agevolazione esclusivamente per il fattore geografico (obiettivamente privo di rilevanza fiscale) della residenza del coniuge (o di un altro componente del suo nucleo familiare) in un comune diverso dal proprio («ciò solo, determina, ai sensi della normativa vigente e degli orientamenti giurisprudenziali sopra richiamati, la non applicabilità all’immobile oggetto di contestazione (SCA/16/293/101) delle agevolazioni previste per le abitazioni»).
IV. – Ammissibilità dello scrutinio di costituzionalità (impraticabilità di una interpretazione costituzionalmente orientata – insussistenza di intervento sostitutivo del potere legislativo)
IV.1. – La Commissione è consapevole del principio che «le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime perché è possibile darne interpretazioni incostituzionali (e qualche giudice ritenga di darne), ma perché è impossibile darne interpretazioni costituzionali» (ex multis, Corte costituzionale n. 356 del 1966 riprodotto da n. 319 del 2000) ma, nella fattispecie, l’interpretazione adeguatrice, (inutilmente tentata dall’amministrazione finanziaria con la richiamata circolare), è preclusa:
dall’univoco tenore letterale della disposizione che costituendo, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza costituzionale (cfr. ex multis Corte costituzionale n. 78 del 2012, n. 240 del 2014), il limite insuperabile nell’adeguamento interpretativo, deve cedere il passo al sindacato di legittimità costituzionale (Corte costituzionale n. 26 del 2010; n. 219 del 2008);
dalla specialità di ogni norma agevolativa (come quella oggetto della controversia) che ne esclude l’applicabilità a fattispecie non specificamente previste (Corte costituzionale n. 292 del 1987; n. 174 del 2001);
dalla presenza di un «diritto vivente» espresso dall’organo istituzionalmente titolare della funzione nomofilattica, che ha adottato, sebbene in un numero ancora ridotto di pronunce (Cassazione n. 4166 del 2020, n. 20130 del 2020 e n. 17408 del 2021), un «univoco indirizzo interpretativo» (Corte costituzionale n. 326 del 1994; n. 187 del 1996) in senso ad essa contrario.
La stabilità e reiterazione di tale interpretazione, l’inesistenza di contrasti giurisprudenziali, la sostanziale identità di contenuto delle decisioni e la funzione nomofilattica dell’organo decidente corroborano la formazione di un «diritto vivente» nel quale debba essere sussunta l’esegesi citata. Per quanto l’ordinamento non costringa il giudice di merito a conformarsi agli orientamenti della Cassazione (salvo che nel giudizio di rinvio), la norma risultante dal «diritto vivente» va sottoposta a scrutinio di costituzionalità, giacché è «difficilmente ipotizzabile una modifica del sistema senza l’intervento del legislatore» o della Corte costituzionale (Corte costituzionale n. 350 del 1997). La giurisprudenza costituzionale, peraltro, ha ravvisato l’esistenza di un «diritto vivente» perfino al cospetto di una sola sentenza di una sezione semplice della Corte di cassazione, avallata dalla dottrina e dalla giurisprudenza di merito (Corte costituzionale n. 369 del 1996).
Nella fattispecie, tale «diritto vivente» è peraltro stato riconosciuto dal legislatore, nell’ambito dell’interrogazione n. 5-06286 («Esenzione dell’IMU per la prima casa per componenti di nuclei familiari residenti in immobili diversi») svolta durante i lavori della VI Commissione permanente finanze della Camera in data 23 maggio 2021, e dal Governo, attesa la risposta a tale interrogazione della sottosegretaria di Stato all’economia ed alle finanze, la quale ha affermato che «Il Dipartimento delle Finanze non può che prendere atto dell’orientamento espresso dalla Corte di cassazione, alla quale è affidato in ultima istanza, nel nostro ordinamento giuridico, il compito dì fornire l’interpretazione della legge. Tanto premesso … gli uffici dell’amministrazione finanziaria sono disponibili, ove sussistesse la volontà politica, a predisporre una norma che introduca chiarezza».
L’illegittimità costituzionale della norma, insomma, consegue all’impossibilità di interpretare, diversamente dall’esclusione del beneficio fiscale, la parte dell’art. 13, comma 2, del decreto-legge n. 201/2011 che non prevede l’esenzione IMU per l’abitazione principale, anche nel caso in cui i componenti del nucleo familiare siano residenti e dimorino in immobili ubicati fuori del territorio comunale.
IV.2. – La censura di incostituzionalità, inoltre, non investendo una «political question» sostitutiva dell’attività legislativa è, ad avviso della Commissione, ammissibile in quanto volta a colmare una evidente «regola mancante» del sistema ordinamentale, ravvisabile appunto nella lacuna/omissione di disciplina della specifica fattispecie.
L’ordinamento, con la disciplina dell’esenzione IMU, pur avendo previsto il diritto all’esenzione, lo ha fatto in modo incompleto in quanto ha omesso di normare la situazione prospettata, identica nei suoi presupposti formali e sostanziali a quella disciplinata, e quindi meritevole di pari tutela agevolativa. L’illegittimo silenzio del legislatore potrebbe essere rimosso attraverso l’individuazione della fattispecie cui estendere l’applicabilità della norma agevolativa oggetto dello scrutinio di costituzionalità, per i motivi che di seguito brevemente si riassumono.
V. – Non manifesta infondatezza
V.1. – L’incidente di costituzionalità che la Commissione sottopone, d’ufficio, al vaglio della Corte investe la vigente formulazione dell’art. 13, comma 2, del decreto-legge n. 201/2011, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011 n. 214, nella parte in cui non prevede una espressa regola che estenda la esenzione a parità di condizioni.
La norma, pur legittimando il diritto all’esenzione IMU per un solo immobile nel caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale, irrazionalmente la preclude, sia sul piano letterale che nell’interpretazione del «diritto vivente», a parità di condizioni sostanziali, quando l’identica situazione di fatto si verifichi in riferimento a comuni diversi.
V.2. – La giurisprudenza di legittimità è pervenuta alla conclusione che precede (diniego dell’esenzione per entrambi gli immobili nell’ipotesi che uno dei componenti del nucleo familiare abbia residenza anagrafica e dimora in un diverso comune) dando rigorosa applicazione alla regola secondo cui le leggi che «fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati» (art. 14 delle preleggi).
Ad avviso della Commissione, tuttavia, fermi i presupposti di abitazione principale e della sua unicità, il diritto all’esenzione, per conformarsi alle regole costituzionali della parità agevolativi e sostanziale, della capacità contributiva, del sostegno della famiglia legittima e del lavoro, dovrebbe trovare applicazione:
sia nel caso in cui il nucleo familiare occupi (recte: sia dislocato in) più immobili nello stesso comune, fattispecie in cui, per espressa previsione di legge, l’agevolazione compete per almeno un immobile per nucleo familiare;
sia nel caso in cui un componente del nucleo familiare risieda in Comune diverso, fattispecie in cui l’aporia normativa la precluderebbe non solo per entrambi gli immobili ipoteticamente posseduti ma anche per la sola abitazione principale, addirittura e paradossalmente, perfino nel caso in cui il titolo della diversa residenza/dimora extra-comunale avvenisse, ad esempio, sulla base di una locazione, di un comodato od altro rapporto, tutti oggettivamente estranei al campo di applicazione IMU e, dunque, nonostante l’evidente impossibilità di potenziali elusioni.
V.3. – La norma denunciata, insomma, appare illegittima per violazione di una pluralità di norme costituzionali.
V.3.a. – violazione dell’art. 3 della Costituzione
L’aporia normativa viola, prima di tutto, l’art. 3 in quanto determina una irragionevole disparità di trattamento tra il possessore componente di un nucleo familiare residente e dimorante in due diversi immobili dello stesso comune, e quello il cui nucleo familiare, invece, risieda e dimori in distinti immobili ubicati in comuni diversi.
La disparità fondata su un neutro dato geografico, quale l’ubicazione territoriale di un componente del nucleo familiare in un comune piuttosto che in un altro, è irragionevole, ingiustificata, contraddittoria ed incoerente con lo scopo agevolativo perseguito dal legislatore.
E’ illogico che, a parità di situazione sostanziale (nucleo familiare di cui uno dei componenti abbia diversa residenza anagrafica e dimora), l’agevolazione spetti, per espressa previsione di legge, nel caso in cui la diversa residenza sia endo-comunale, e non competa affatto nel caso in cui essa sia extra-comunale.
V.3.b. – violazione dell’art. 53 della Costituzione
La norma viola poi, sotto diversi profili, il principio di capacità contributiva dettato dall’art. 53, comma l, che postula, quale coessenziale corollario, l’uguaglianza sostanziale dei destinatari delle prescrizioni tributarie, se è vero che «a situazioni uguali devono corrispondere uguali regimi impositivi e, correlativamente, a situazioni diverse un trattamento tributario disuguale» (Corte costituzionale n. 120 del 1972).
Il tertium comparationis, nella fattispecie, è costituito dalla parte della norma che riconosce l’esenzione ad un solo immobile appartenente ad un componente del nucleo familiare che possieda ed utilizzi una pluralità di dimore abituali nello stesso Comune.
Il sindacato della Corte costituzionale, peraltro, è pacificamente applicabile anche alle norme agevolative, alla condizione che le scelte legislative discrezionali siano irragionevoli (Corte costituzionale n. 134 del 1982) e il beneficio debba essere esteso a fattispecie analoghe (Corte costituzionale n. 154 del 1999).
La norma della cui legittimità si dubita ha irragionevolmente differenziato i soggetti esentati dal pagamento dell’IMU non già in forza di differenti capacità contributive, bensì in forza di un elemento esogeno e privo di rilevanza fiscale quale l’ubicazione territoriale dell’immobile e di un componente del nucleo familiare.
Nessuna differenza di capacità contributiva, infatti, può essere ravvisata tra:
un nucleo familiare che – possedendo due immobili nello stesso comune ed in relazione al quale uno dei componenti sia residente e dimori separatamente – può godere dell’esenzione per almeno uno di essi, e
un nucleo in relazione al quale uno dei componenti sia residente e dimori in Comune diverso che, per la sola diversità comunale, debba vedersi inspiegabilmente preclusa perfino l’esenzione dell’abitazione principale nella quale risieda e dimori abitualmente tutto il resto della famiglia.
La norma, stando sempre all’interpretazione del «diritto vivente», sembra altresì collidere con il secondo comma dell’art. 53.
Giova premettere che l’art. 9, comma 1, del decreto legislativo n. 23 del 2011, cui fa rinvio l’art. 13, comma 1, del decreto-legge n. 201 del 2011, stabilisce che sono soggetti passivi dell’imposta, il proprietario di fabbricati, aree fabbricabili e terreni a qualsiasi uso destinati, compresi quelli strumentali o alla cui produzione o scambio è diretta l’attività dell’impresa; il titolare del diritto reale di usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi, superficie sugli stessi e l’ex coniuge affidatario della casa coniugale.
La denunciata norma dunque, prevedendo l’esenzione per uno solo degli immobili endo-comunali, è chiaramente diretta ad un nucleo familiare i cui componenti siano possessori di più di un immobile;
in caso contrario, non vi sarebbe luogo a possibili duplicazioni dell’esenzione e la disposizione normativa sarebbe priva di contenuto precettivo.
Nel caso in cui, invece, il nucleo familiare risieda e dimori in comuni diversi (addirittura per esigenze di lavoro imposte dalla legge), nel silenzio della norma (e nell’applicazione adottata dalla Cassazione), il titolo in base al quale il familiare risiede in altra unità è irrilevante ai fini dell’esclusione dell’esenzione. Essa semplicemente non competerebbe, a prescindere dalla circostanza di fatto che il componente residente al di fuori del comune ivi risieda a titolo di locazione, comodato, ovvero per altro titolo irrilevante ai fini dell’IMU.
Pertanto, dall’applicazione della norma, discende che ad una maggiore capacità contributiva (rilevabile dalla titolarità di più immobili nel territorio comunale) viene concessa un’esenzione che, invece, si nega in caso di minore capacità contributiva, sulla base della sola residenza e dimora extra-comunale di uno dei membri del nucleo familiare.
Così come interpretata dal «diritto vivente», la norma pare quindi violare, oltre al principio di capacità contributiva, anche quello di progressività del sistema tributario imposto dall’art. 53, comma 2, Costituzione, che, quale principio informatore dell’intero sistema tributario, pur non richiedendo che ciascun tributo presenti carattere di progressività, certamente impedisce che uno di essi sia palesemente, o anche potenzialmente, regressivo, come nella fattispecie.
Ma la possibile irragionevolezza della norma ed il novero dei conflitti con norme costituzionali, anche se mediati, che deriverebbero dalla enfatizzazione del dato testuale, non si esauriscono in quelli appena enunciati.
V.3.c – violazione degli articoli 3, 29 e 31 della Costituzione
La norma viola gli articoli 3, 29 e 31, in quanto idonea a penalizzare contribuenti coniugati rispetto ai componenti delle famiglie di fatto.
Il doveroso rigore esegetico connesso alla natura agevolativi della norma comporta, a ben vedere, una irrazionale discriminazione addirittura a scapito della famiglia legittima, rispetto alla formazione sociale di fatto (art. 2 della Costituzione), giacché la residenza in comuni diversi – mentre legittimerebbe l’agevolazione senza il citato limite per i conviventi di fatto, che potrebbero addirittura avvalersi dell’esenzione per ciascun immobile destinato a propria residenza/dimora principale – escluderebbe, sulla base di un arbitrario dettato normativo che irragionevolmente non abbia contemplato la fattispecie, il diritto all’esenzione per coloro che fossero legati da vincolo coniugale, per entrambi i cespiti.
La norma, in questa prospettiva, frappone un illegittimo ostacolo di natura fiscale alla libera scelta delle modalità con le quali l’unità familiare può essere realizzata.
V.3. d. – La norma, seppure indirettamente, viola anche gli articoli 1, 3, 4 e 35 Costituzione, atteso che la variabile fiscale pregiudicherebbe, ancora una volta senza ragione, i lavoratori che trovano lavoro lontano dalla famiglia, perché in tal caso essi, trovandosi in una dimora lontana da quella familiare, impedirebbero a sé ed agli altri componenti del nucleo familiare di godere di un diritto (quello all’esenzione dall’imposta) di cui, invece, avrebbero potuto godere se avessero avuto la fortuna di lavorare nel proprio comune;
l’art. 29 Costituzione, in base al quale il riconoscimento dei diritti (tra i quali quello di stabilimento della dimora dei componenti) della società naturale dovrebbe rimuovere ogni ostacolo, anche di natura fiscale, alla libera scelta delle modalità con le quali l’unità familiare può essere realizzata;
l’art. 31 della Costituzione, che, prevedendo agevolazioni e provvidenze per la famiglia, dovrebbe impedire la possibilità di introdurre nell’ordinamento tipologie penalizzanti fondate esclusivamente su neutre basi territoriali;
l’art. 47, comma 2, della Costituzione che, pur avendo lo scopo di incentivare l’investimento immobiliare del risparmio senza vincoli territoriali, sarebbe contraddetto dalla norma oggetto dello scrutinio di costituzionalità chiaramente idonea a disincentivare investimenti in immobili ubicati in comuni diversi da quello di residenza anagrafica del nucleo familiare. Garanzie che, evidentemente, non possono essere suscettibili di penalizzazioni derivanti da norme fiscali fondate sulla mera ubicazione territoriale del cespite, quali quelle derivanti dall’applicazione della denunciata norma.
V.4. – La Commissione in conclusione – nell’impossibilità di adottare una interpretazione alternativa costituzionalmente orientata rispetto al consolidato, e tecnicamente inconfutabile, indirizzo dell’organo nomofilattico – ritiene ammissibile e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 2, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, nella parte in cui non ha esteso l’esenzione, concessa nell’ambito dello stesso comune, anche ai casi in cui si profili per comuni diversi, per contrasto con gli articoli 3 e 53 della Costituzione, anche in relazione agli articoli 29, 31, 1, 4, 35 e 47 della Costituzione.
P.Q.M.
Letti gli articoli 134 e 137 della Costituzione; 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87
A. – dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 2, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, nella parte in cui non prevede l’esenzione dall’imposta per l’abitazione adibita a dimora principale del nucleo familiare nel caso in cui uno dei suoi componenti sia residente anagraficamente e dimori in un immobile ubicato in altro comune, per violazione degli articoli 3 e 53 della Costituzione, anche in relazione agli articoli 1, 29, 31, 35 e 47 della Costituzione;
B. – sospende il procedimento e dispone che, a cura della segreteria della Commissione, la presente ordinanza sia immediatamente trasmessa alla Corte costituzionale unitamente a tutti gli atti di causa, notificata alle parti del presente giudizio e al Presidente del Consiglio dei ministri, nonché comunicata ai presidenti delle due Camere del Parlamento.