COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE LATINA – Ordinanza 21 luglio 2021, n. 181

Imposte e tasse – Impiego pubblico – Previdenza complementare – Diverso trattamento tributario tra dipendenti pubblici e privati – Prestazioni pensionistiche complementari – Decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252 (Disciplina delle forme pensionistiche complementari), art. 23, comma 6

Fatto e diritto

1. Con il ricorso n. 1045/2020, avente anche gli effetti di reclamo ex art. 17-bis, decreto legislativo n. 546/1992, e con istanza di pubblica udienza, il sig. C.M.F. contesta il silenzio rifiuto dell’Agenzia delle entrate – Direzione provinciale di Latina, in relazione all’istanza di rimborso presentata con lettera raccomandata del 26 marzo 2019, relativa a IRPEF 2015-2016-2017 (valore della lite euro 5.795,82).

1.1. Espone il ricorrente di essere, in qualità di ex dipendente INPS, titolare di pensione integrativa dal 1° agosto 2010, erogata dall’apposito Fondo.

Si duole che tale pensione integrativa ai fini fiscali è stata cumulata con il trattamento pensionistico ordinario con applicazione dello stesso regime fiscale degli altri redditi. Per contro, tale trattamento integrativo, a suo dire, doveva essere tassato separatamente sulla base dei criteri di cui all’articoli 11, comma 6, decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252.

Pertanto con lettera raccomandata del 25 febbraio 2019, spedita in pari data sia all’Agenzia delle entrate – Direzione provinciale che per conoscenza all’Inps, e ricevuta da entrambi il 27 febbraio 2019, faceva richiesta di applicazione del citato regime fiscale, interponendo contestuale istanza di rimborso anche al fine della interruzione dei termini di prescrizione.

L’Agenzia delle entrate – Direzione provinciale di Latina chiedeva di integrare l’istanza facendo conoscere per ogni annualità, la somma da rimborsare, con allegazione della documentazione relativa ai redditi per cui il ricorrente aveva richiesto l’applicazione del regime indicato in oggetto.

1.2. Il sig. C. affida il ricorso ad un unico non rubricato motivo con cui sostiene che nel caso di specie, troverebbe applicazione l’art. 11, comma 6, decreto legislativo n. 252/2005, e di conseguenza la tassazione delle prestazioni a lui erogate con ritenuta a titolo d’imposta, compresa tra il 9% ed il 15%, anziché l’applicazione del regime di tassazione ordinaria.

Tale trattamento fiscale agevolato sarebbe previsto dalla normativa in parola per ogni pensione complementare erogata, non avendo alcun rilievo né la modalità con cui la stessa è corrisposta, né la fisionomia del soggetto erogante, pubblico o privato.

Non sarebbe corretta la tesi dell’amministrazione finanziaria secondo cui in base all’art. 23, comma 6, decreto legislativo n. 252/2005, nell’ambito del pubblico impiego si dovrebbe continuare ad applicare la normativa precedente fino all’attuazione della delega di cui all’art. 1, comma 2, lettera p), legge n. 243/2004.

Secondo la disciplina previgente, le prestazioni in forma periodica, già in corso di erogazione alla data del 1° gennaio 2001, continuano a essere assoggettate al regime fiscale della tassazione nei limiti dell’87,50% del trattamento) (art. 12, decreto legislativo n. 47/2000).

Il ricorrente conclude che la normativa agevolativa, con una esegesi costituzionalmente orientata, si applica indistintamente a tutti i lavoratori iscritti alle gestioni inerenti alle pensioni complementari integrative. Invoca in tal senso alcune sentenze delle commissioni tributarie.

2. Si è costituita l’Agenzia delle entrate – Direzione provinciale di Latina, opponendosi all’accoglimento del ricorso. Espone che la disciplina fiscale delle pensioni complementari ha subito diverse modifiche nel tempo, e il regime fiscale è determinato dalla data di maturazione dei relativi montanti, e che solo a decorrere dal 1° gennaio 2018 il decreto legislativo n. 252/2005 si applica anche alle pensioni integrative dei dipendenti pubblici, tuttavia solo con riguardo alle prestazioni previdenziali maturate dopo tale data. Evidenzia che tutte le sentenze di merito citate dal ricorrente sono state impugnate dall’amministrazione finanziaria.

3. Il ricorrente ha replicato alla tesi dell’amministrazione finanziaria con memorie illustrative in cui si riporta alla decisione della Corte costituzionale n. 218/2019.

4. La causa è stata chiamata all’udienza del 13 luglio 2021, previo avviso alle parti di trattazione scritta ai sensi dell’art. 27, decreto-legge n. 137/2020 e del decreto del presidente di questa CTP del 2 novembre 2020.

I difensori delle parti costituite sono considerati presenti a tutti gli effetti ai sensi dell’art. 27, comma 2, decreto-legge n. 137/2020.

4.1. Preliminarmente va respinta l’istanza di rinvio per discussione orale. L’art. 27 del decreto-legge n. 137/2020 non contempla tale possibilità in via ordinaria, ma solo la possibilità di un ulteriore scambio di note scritte dopo le memorie illustrative, se la udienza pubblica non può svolgersi per ragioni di carattere tecnico. Il collegio, a sua volta, non ritiene che la causa sia di complessità e valore tali da esigere la discussione orale, dovendosi risolvere solo questioni di puro diritto. Pertanto, avendo le parti avuto la possibilità della trattazione scritta grazie all’avviso di segreteria, non vi è luogo a disporre rinvio.

5. Passando all’esame del merito il collegio osserva quanto segue.

5.1. In relazione al trattamento fiscale delle pensioni integrative, si sono succeduti nel tempo diversi regimi. Per l’effetto:

il decreto legislativo n. 124/1993 si applica alle prestazioni previdenziali integrative fino al 31 dicembre 2000;

il decreto legislativo n. 47/2000 si applica alle prestazioni previdenziali integrative dal 1° gennaio 2001 al 31 dicembre 2006;

il decreto legislativo n. 252/2005 (art. 11, comma 6) si applica, nel settore dell’impiego privato alle prestazioni previdenziali integrative maturate a partire dal 1° gennaio 2007 (art. 23, comma 5, decreto legislativo n. 252/2005); per i dipendenti pubblici è previsto un difforme regime transitorio, in quanto il successivo comma 6 del medesimo art. 23 decreto legislativo n. 252/2005, ha differito tale regola, per i dipendenti pubblici, fino all’entrata in vigore del previsto decreto delegato, lasciando nel frattempo in vigore il regime fiscale previgente (art. 23, comma 6, decreto legislativo n. 252/2005).

Poiché la delega non è stata esercitata, le prestazioni previdenziali dei dipendenti pubblici sono rimaste assoggettate al regime anteriore al decreto legislativo n. 252/2005, ben oltre la scadenza del termine per l’esercizio della delega, in virtù dell’art. 23, comma 6, del medesimo decreto legislativo, e tanto è accaduto fino al 31 dicembre 2017.

Invero, solo con l’art. 1, comma 156, legge n. 205/2017, il regime fiscale del decreto legislativo n. 252/2005 è stato esteso anche alla previdenza complementare dei dipendenti pubblici, ma solo con effetto dal 1° gennaio 2018. Per le prestazioni anteriori, è stata espressamente fatta salva la disciplina previgente.

5.2. La Corte costituzionale, con decisione 3 ottobre 2019, n. 218, ha statuito che «E’ costituzionalmente illegittimo, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, l’art. 23, comma 6 del decreto legislativo n. 252/2005, nella parte in cui prevede un diverso trattamento tributario tra dipendenti pubblici e privati per il riscatto di una posizione individuale maturata tra il 2007 e il 2017 nei fondi pensione negoziali, a fronte di fattispecie sostanzialmente omogenee» e, in particolare, la Corte ha dichiarato «l’illegittimità costituzionale dell’art. 23, comma 6 del decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252 (Disciplina delle forme pensionistiche complementari), nella parte in cui prevede che il riscatto della posizione individuale sia assoggettato a imposta ai sensi dell’art. 52, comma 1, lettera d-ter) del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), anziché ai sensi dell’art. 14, commi 4 e 5, dello stesso decreto legislativo n. 252 del 2005».

Tale declaratoria di incostituzionalità si fonda sulla disparità di trattamento tra dipendenti privati e pubblici a fronte di forme di previdenza complementare aventi identità di ratio. 

5.3. Tuttavia, tale pronuncia di incostituzionalità ha un effetto limitato alla estensione ai dipendenti pubblici del regime fiscale del riscatto, recato dagli articoli 14 e 15, decreto legislativo n. 252/2005, e non ha riguardato l’art. 11, comma 6, medesimo, decreto legislativo che riguarda invece il regime fiscale delle prestazioni pensionistiche.

A fronte di una disposizione fiscale di chiara esegesi, non ne è possibile una interpretazione costituzionalmente orientata che ne tragga, con opera creativa, una diversa norma giuridica, perché tale operazione si tradurrebbe in una non consentita disapplicazione della legge (v. Cons. St., sez. IV, 2 marzo 2021, n. 1765 ord., secondo cui, nonostante la Corte costituzionale, con sentenza n. 522/2002, abbia dichiarato illegittimo l’art. 66, comma 2, decreto del Presidente della Repubblica n. 131/1986, nella parte in cui non esclude dalla imposta di registro il rilascio dell’originale o della copia della sentenza o di altro provvedimento giurisdizionale che debba essere utilizzato per procedere all’esecuzione forzata, tale pronuncia non può estendersi in via analogica al rilascio del provvedimento giurisdizionale che debba essere utilizzato per promuovere il giudizio di ottemperanza; e ha pertanto sollevato nuova q.l.c. dell’art. 66, comma 2, decreto del Presidente della Repubblica n. 131/1986, «in relazione agli articoli 3 e 24 della Costituzione – nella parte in cui non prevede che la disposizione di cui al comma 1 non si applica al rilascio dell’originale o della copia della sentenza o di altro provvedimento giurisdizionale, che debba essere utilizzato per proporre l’azione di ottemperanza innanzi al giudice amministrativo»).

Sicché non può aderirsi alla richiesta di parte ricorrente, di adottare una interpretazione «costituzionalmente orientata» dell’art. 11, comma 6 in combinato disposto con l’art. 23, comma 5 e comma 6, decreto legislativo n. 252/2005.

Si tratterebbe infatti di una non consentita disapplicazione di una norma di chiara portata.

5.4. Indubbiamente però si manifestano gli stessi dubbi di compatibilità costituzionale che hanno già portato a una declaratoria di incostituzionalità dell’art. 23, comma 6, sotto altro profilo.

Occorre pertanto dichiarare rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 23, comma 6, decreto legislativo n. 252/2005, per violazione degli articoli 3 e 53 della Costituzione, nella parte in cui prevede un diverso trattamento tributario tra dipendenti pubblici e privati, e, in particolare, per le prestazioni pensionistiche complementari corrisposte a dipendenti pubblici, non prevede l’applicazione dell’art. 11, comma 6, medesimo decreto, dal 1° luglio 2007, come disposto invece per i dipendenti privati dall’art. 23, comma 5 citato decreto.

Invece, anche ai dipendenti pubblici si sarebbe dovuto applicare l’art. 23, comma 5, secondo cui «Per i soggetti che risultino iscritti a forme pensionistiche complementari alla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo le disposizioni concernenti la deducibilità dei premi e contributi versati e il regime di tassazione delle prestazioni si rendono applicabili a decorrere dal 1° gennaio 2007».

In subordine, tale equiparazione si sarebbe dovuta applicare quanto meno a far data dalla scadenza del termine per l’esercizio della delega richiamata dall’art. 23, comma 6.

6. Quanto alla rilevanza della questione, valgono le seguenti considerazioni.

6.1. Non è possibile, per le ragioni sopra esposte, una esegesi costituzionalmente orientata dell’art. 23, comma 5, decreto legislativo n. 252/2005, dato il suo chiaro tenore letterale.

6.2. Per le ragioni già sopra esposte, il caso di specie non ricade nell’ambito demolitorio dell’art. 23, comma 6, decreto legislativo n. 252/2005 operato dalla decisione della Corte costituzionale n. 218/2019, che ha eliminato solo la norma discriminatoria relativa al regime fiscale del riscatto delle somme versate a fondi di previdenza complementare, ma non si è occupata del regime fiscale delle prestazioni pensionistiche. La pronuncia della Corte ha riguardato l’art. 23, comma 6, decreto legislativo n. 252/2005 solo in correlazione con l’art. 14, commi 4 e 5 del medesimo decreto, mentre nel caso di specie la questione riguarda l’art. 23, comma 6, in correlazione con l’art. 11, comma 6, decreto legislativo n. 252/2005.

6.3. Ancora in punto di rilevanza, si premette che la disparità di trattamento sopra denunciata è durata dal 1° luglio 2007 al 31 dicembre 2017, quindi per undici anni, ed è stata eliminata solo dal 1° gennaio 2018: infatti l’art. 11, comma 6, citato è stato esteso anche ai dipendenti pubblici solo con l’art. 1, comma 156, legge n. 205/2017.

Lo ius superveniens costituito dall’art. 1, comma 156, legge n. 205/2017 non priva di rilevanza la q.l.c. nel presente giudizio, perché il nuovo regime fiscale si applica, dal 1° gennaio 2018, solo ai ratei di pensione maturati successivamente, e non anche a quelli precedenti, non avendo portata retroattiva (in tal senso, su analoga questione di costituzionalità dell’art. 23, comma 6, decreto legislativo n. 252/2005, v. Corte costituzionale n. 218/2019).

Nel caso di specie, il ricorrente rivendica l’applicazione dell’art. 11, comma 6, decreto legislativo n. 252/2005 anche per i periodi di imposta 2015, 2016, 2017, e a tale fine si rende indispensabile dichiarare la incostituzionalità dell’art. 23, comma 5, citato.

6.4. Infine, e sempre in punto di rilevanza, la stessa non è esclusa dalla regola. transitoria, dettata sia dall’art. 23, comma 5, decreto legislativo n. 252/2005, sia dall’art. 1, comma 156, legge n. 205/2017, secondo cui «Per i medesimi soggetti, relativamente ai montanti delle prestazioni accumulate fino a tale data, continuano ad applicarsi le disposizioni previgenti»; non si può fare leva sulla circostanza che i montanti della pensione complementare del ricorrente sono maturati entro il 31 dicembre 2000, in quanto il relativo fondo è cessato in data 1° ottobre 1999.

Infatti tale regola transitoria riguarda «i montanti» delle prestazioni previdenziali complementari, vale a dire i contributi versati: la disciplina previgente fatta salva dalle citate disposizioni riguarda dunque tali contributi, e non il regime fiscale delle prestazioni previdenziali, che è qui oggetto del contendere.

7. In punto di non manifesta infondatezza, si ravvisa un contrasto con l’art. 3 della Costituzione in quanto situazioni sostanzialmente identiche, ossia le pensioni complementari, vengono trattate in modo diverso e deteriore nel pubblico impiego rispetto all’impiego privato.

Viene violato anche l’art. 53 della Costituzione, perché a fronte di una capacità contributiva omogenea che viene manifestata attraverso la percezione di pensioni complementari, si prevede un trattamento fiscale difforme e deteriore nell’impiego pubblico rispetto all’impiego privato.

Giova richiamare quanto affermato dalla citata decisione della Corte costituzionale n. 218/2019, ni cui si afferma che si discriminano: «due fattispecie caratterizzate da una sostanziale omogeneità, con violazione del principio dell’eguaglianza tributaria e una conseguente incidenza sul contesto sociale.

7. – La ricostruzione del quadro normativo evidenzia, infatti, che non sono individuabili elementi che giustifichino ragionevolmente una disomogeneità del trattamento fiscale agevolativo. Tale conclusione trova; peraltro, conferma nella stessa evoluzione legislativa che ha sempre mantenuto equiparate le due posizioni, salva l’eccezione – concretizzatasi nella normativa del decreto legislativo n. 252 del 2005 – derivante dalla parentesi dovuta alla mancata attuazione di una parte della legge delega n. 243 del 2004. E’ inoltre significativo che lo stesso legislatore, con l’art. 1, comma 156 della legge n. 205 del 2017, abbia successivamente provveduto – pur con l’eccezione dei montanti delle prestazioni accumulate fino al 1° gennaio 2018 – a ristabilire una situazione di omogeneità di trattamento. (…) non sono conferenti il richiamo alla stabilità del rapporto di lavoro pubblico e al maggiore importo dei trattamenti pensionistici obbligatori percepiti dai dipendenti pubblici; e ciò in disparte l’assenza di un’adeguata dimostrazione di questa specifica affermazione. Né l’uno né l’altro dei due caratteri sono, in ogni caso, in grado di offrire una valida ragione a sostegno della ragionevolezza della duplice disciplina del trattamento tributario del riscatto, quale prestazione pensionistica complementare: sia che venga percepita da un dipendente privato, sia che venga percepita da un dipendente pubblico. In entrambi i casi, infatti, la prestazione sottoposta a tassazione è composta da contributi a carico del lavoratore, del datore di lavoro e dal TFR maturato nel periodo di adesione al fondo. A fronte di tale dato, se si può affermare che la durata del rapporto di lavoro (specialmente ove a tempo indeterminato) e le garanzie di stabilità influiscono sul complessivo funzionamento della previdenza complementare per i lavoratori dipendenti, basato sulla continuità dei conferimenti e sulla durata della gestione a capitalizzazione, quegli stessi elementi sono inidonei a integrare un valido criterio di differenziazione dei lavoratori quali soggetti passivi del rapporto tributario. Ciò in quanto la stabilità del rapporto di lavoro non è carattere indefettibile ed esclusivo del settore pubblico;

peraltro la disciplina tributaria rimane diversa anche quando l’aderente sia un dipendente pubblico assunto a tempo determinato. Quanto all’entità del trattamento pensionistico riconosciuto dal sistema di previdenza obbligatorio, l’argomento dell’avvocatura sembra fare riferimento al più favorevole criterio di determinazione della pensione secondo il sistema retributivo; si tratta, però, di una prospettiva fallace perché i dipendenti pubblici che possono aderire a un fondo pensione sono coloro ai quali fin dall’inizio del loro rapporto di lavoro si applicano sia il regime di TFR, sia il nuovo sistema di calcolo contributivo delle pensioni, introdotto dalla legge n. 335 del 1995, al pari dei dipendenti privati. Venendo in rilievo per entrambe le categorie di lavoratori il medesimo criterio di quantificazione del trattamento pensionistico obbligatorio, cade il presupposto su cui dovrebbe poggiarsi la giustificazione del differente trattamento tributario delle prestazioni di previdenza complementare in ragione della natura pubblica o privata del rapporto di lavoro dell’aderente».

8. In conclusione, il giudizio va sospeso e la questione di costituzionalità va rimessa alla Corte costituzionale.

A cura della segreteria, alla Corte costituzionale andrà trasmessa la presente ordinanza unitamente agli atti di causa, e segnatamente atti difensivi e documenti depositati dalle parti.

P.Q.M.

Non definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, visti gli articoli 134 della Costituzione; 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1; 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87.

Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 23, comma 6 del decreto legislativo n. 252/2005, in relazione agli articoli 3 e 53 della Costituzione, nei sensi di cui in motivazione.

Dispone la sospensione del presente giudizio.

Ordina l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.

Ordina che a cura della segreteria della sezione la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa e al Presidente del Consiglio dei ministri, nonché comunicata ai Presidenti del Senato e della Camera dei deputati.

Riserva alla decisione definitiva ogni ulteriore statuizione in rito, in merito e in ordine alle spese.