COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE LECCE – Sentenza 04 giugno 2013, n. 260
Disposizioni tributarie di carattere generale – Statuto del contribuente – Verifica fiscale – Conclusione delle operazioni – Termini – Perentorietà – Non sussiste
Svolgimento del processo
In data 28/11/2008, l’Agenzia delle Entrate/Ufficio di Lecce 1 notificava al Sig. P. G., titolare dell’omonima ditta individuale “CENTRO INSTALLAZIONI DI P. G.” con sede in Soleto, rappresentato e difeso dall’Avv. Maurizio Villani, l’avviso di accertamento n. RFF010400609/2008.
Con tale atto l’Ufficio ha accertato, per l’anno d’imposta 2005, una maggiore imposta IRPEF per € 60.313,00, una maggiore addizionale regionale all’IRPEF per € 1.411,00, una maggiore addizionale comunale all’IRPEF per € 580,00, un maggior contributo previdenziale per € 11.335,00, una maggiore imposta IRAP per € 8.183,00, una maggiore imposta IVA per € 28.542,00 ed ha irrogato sanzioni per € 104.959,00.
L’avviso di accertamento impugnato trova origine nel p.v.c. della Guardia di Finanza di Maglie, redatto in data 01/07/2008, con il quale i verbalizzanti rilevavano: costi non deducibili per un ammontare di € 121.133,00 inerenti ad operazioni imponibili fittizie e l’omessa contabilizzazione dei ricavi per € 27.531,00.
Avverso tale atto il Sig. P. G. ha proposto tempestivo ricorso a questa Commissione tributaria eccependo:
1) l’inutilizzabilità del p.v.c. per violazione dell’art. 12 L. 27/08/2000, n. 212;
2) la nullità dell’avviso di accertamento per difetto di motivazione;
3) la carenza di prova;
4) la mancanza di presunzioni gravi, precise e concordanti;
5) nel merito, la correttezza e la legittimità delle detrazioni operate, rese evidenti ed incontestabili da tutta la relativa documentazione allegata al ricorso introduttivo, nonché la corretta contabilizzazione dei ricavi e dei costi inerenti al personale.
Con nota depositata il 06/03/2009 si è costituita l’Agenzia chiedendo il rigetto del ricorso.
Motivi della decisione
Innanzitutto, occorre rilevare come non sussiste la lamentata violazione dell’art. 12 della Legge 212/2000 in relazione al superamento del termine massimo entro il quale deve concludersi la verifica.
Tale tesi deve considerarsi infondata in quanto, come chiarito anche dalla Suprema Corte, “la norma non dichiara il termine perentorio, né stabilisce la sanzione della nullità degli atti compiuti dopo il termine, e pertanto dell’accertamento. Né la nullità può ricavarsi dalla ratio della norma, apparendo sproporzionata la sanzione del venir meno del potere accertativo fiscale a fronte soltanto del disagio arrecato al contribuente dalla più lunga permanenza degli agenti dell’amministrazione”. (Cass. n. 14020 del 27/06/2011; nello stesso senso, Cass. n. 19338 del 22/09/2011).
Il termine, pertanto, non essendo stata espressamente stabilita ex lege la perentorietà, deve essere considerato ordinatorio.
Non sussiste neppure il vizio di carenza di motivazione denunciato dal ricorrente, in quanto lo stesso è stato posto nelle condizioni di poter adeguatamente replicare a quanto sostenuto dall’Agenzia delle Entrate, anche tramite il rinvio al processo verbale redatto dalla Guardia di Finanza di Maglie in data 01/07/2008 e notificato alla parte.
Ed infatti, le singole e precise motivazioni presenti in ricorso lasciano intendere che il ricorrente ha avuto ben chiare le contestazioni e le pretese avanzate dall’Ufficio, tanto da predisporre un’adeguata e puntuale difesa.
Per quanto attiene, invece, alla eccepita carenza di prova e alla mancanza di presunzioni gravi, precise e concordanti, considerato che con tali motivi il ricorrente pone in dubbio il fondamento stesso della pretesa fiscale, si ritiene che i medesimi debbano essere esaminati congiuntamente al merito.
Pertanto, in primis l’Ufficio ha ritenuto che il ricorrente ha illegittimamente dedotto costi per un importo pari ad € 121.133,00, in quanto inerenti ad operazioni inesistenti.
Nello specifico, le fatture di cui l’Ufficio ritiene l’inesistenza sono la fattura n. 11 del 15/05/2005 emessa dalla ditta individuale “Impresa SUD C. di C. L.” per un importo pari ad € 5.000,00, la fattura n. 5 del 31/05/2005 emessa dalla “EFFE.GI. S.R.L.” per un importo pari ad € 5.000,00 e una serie di fatture emesse dalla “C. I. S.A.S. di Dell’A. R. A. & C.” per un importo complessivo pari ad € 111.133,00.
Ciò detto, occorre precisare come il ricorrente ha allegato al ricorso introduttivo tutta la documentazione (contratti di subappalto, avvenuti pagamenti per lo più a mezzo bonifico o assegno, foto attestanti i lavori effettuati) relativa alle contestate fatture inerenti ad operazioni inesistenti. L’Ufficio, al contrario, nell’avviso di accertamento ha richiamato pedissequamente quanto rilevato nel p.v.c. redatto dalla Guardia di Finanzia di Maglie, senza precise contestazioni in merito agli elementi oggettivi e soggettivi che determinerebbero la fittizietà delle operazioni contestate e poste a base delle fatture.
Ebbene, al riguardo, è noto come sia la Corte di Cassazione sia la Corte di Giustizia europea hanno più volte ribadito come in tema di accertamento delle imposte sui redditi – e lo stesso vale anche per l’Iva – in presenza di costi documentati da fatture che l’amministrazione ritenga relativi ad operazioni inesistenti, l’onere di provare che l’operazione commerciale, documentata dalla fattura, in realtà non è stata mai posta in essere, spetta all’amministrazione che adduce la falsità del documento e, quindi, l’esistenza di un maggior imponibile (da ultimo, Cass. n. 1110 del 17/01/2013).
In tal senso anche la sentenza n. 6943 del 25.03.2011 della Corte di Cassazione, laddove viene ribadito che “grava previamente sull’amministrazione l’onere di fornire elementi di prova a sostegno dell’affermazione che le operazioni, (…), in realtà non sono state mai poste in essere. Solo ove l’amministrazione fornisca validi elementi per una tale affermazione, (…), passa sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate…”. Ciò impone, pertanto, la sicura ed incontroversa presenza di una serie di precisi requisiti, imperativamente richiesti dalla legge per la validità della prova presuntiva, che devono essere attentamente “individuati attraverso una valutazione globale dei vari indizi” ed “essere esaminati nel loro complesso al fine di stabilire se presentino o meno le caratteristiche volute dalla legge perché la presunzione possa essere assunta a mezzo di prova” (Cass., Sez. III, 10.03.1979, n. 1493; Cass., Sez. I, 21.01.1981, n. 497; più recentemente, Cass. 17.10.2008, n. 27574).
Rebus sic stantibus, si ribadisce, come a tanto non ha adempiuto l’Ufficio che a fronte della documentazione depositata in giudizio dal ricorrente ha opposto solo ed esclusivamente i richiami al p.v.c. redatto dalla Guardia di Finanza, il quale a sua volta è privo delle benché minime prove presuntive e/o indiziarie tali da far ritenere verosimile la presenza di operazioni inesistenti. Purtuttavia, accertato che le operazioni sono state effettivamente poste in essere, questa Commissione ritiene che anche laddove si fosse in presenza di operazioni soggettivamente inesistenti il ricorrente, ai sensi dell’art. 8 del D.L. 16/2012 (convertito con modificazioni dalla Legge 26 aprile 2012, n. 44), ha comunque diritto alla detrazione dei costi sostenuti. Allo stesso modo, poi, considerato che il ricorrente ha offerto idonei elementi di prova tali da dimostrare l’effettività delle operazioni fatturate e la sua buona fede, deve riconoscersi altresì il diritto del Sig. G. P. alla relativa detrazione IVA. (Cass. n. 18009 del 19.10.2012) Per quanto attiene, invece, all’omessa contabilizzazione dei ricavi per € 27.531,00, si ritiene corretto l’accertamento effettuato dall’Ufficio in quanto:
– l’importo di € 21.581,00 è relativo ad operazioni imponibili effettuate senza l’assolvimento degli obblighi fiscali, ricavato a seguito del reperimento da parte degli organi accertatoli di documenti informali ed appunti di contabilità di cantiere;
– l’importo di € 5.950,00 è un ricavo che è stato imputato nell’anno 2006 ma che, viceversa, andava imputato nell’anno 2005 e per il quale, pertanto, non è stato applicato correttamente il principio di competenza di cui all’art. 109, comma 2, lett. B), del T.U.I.R.
Al riguardo, si ritiene che il ricorrente non ha prodotto prove o documentazione tali da contrastare siffatti indizi, che devono senz’altro ritenersi gravi, precisi e concordanti, e come tali idonei a supportare la rettifica della posizione fiscale.
E’ noto, infatti, come la documentazione extracontabile, costituita da appunti e annotazioni personali, ovvero agende o brogliacci dell’imprenditore, da cui si desumano attività non dichiarate, rappresenta un grave indizio dell’incompletezza, della falsità o dell’inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione, e consente all’amministrazione finanziaria di procedere alla rettifica del reddito d’impresa su base presuntiva (Cfr., Cass., n. 24206 del 26.09.2008; Cass. n. 10137 del 28.04.2010; Cass., n. 10564 del 13.05.2011).
La complessità e la novità delle questioni trattate giustificano la compensazione tra le parti delle spese del giudizio.
P.Q.M.
In parziale accoglimento, esclude il recupero di € 121.133,00 relativi a costi inerenti operazioni ritenute fittizie e rigetta per il resto il ricorso; spese compensate.
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