Richiesta di rimborso Iva – Cancellazione della società – Credito esistente nel patrimonio della società cancellata
Svolgimento del processo
I signori (…) proponevano tempestivo ricorso nei confronti dell’Agenzia delle Entrate di Treviso avverso il provvedimento notificato tramite pec con il quale l’Ufficio negava la richiesta di rimborso Iva relativa all’anno 2007 per € 24.398,00. I ricorrenti espongono di essere i soci della disciolta e cancellata (…) (d’ora in poi solo) esercente l’attività di valorizzazione e vendita immobiliare con sede in (…). In particolare il capitale della predetta (…) era ripartito tra tutti i soci secondo le seguenti quote di partecipazione: (…) 15%; (…) 10%, (…) 25%, (…) 25%, (…) 25%. In data 21.12.2007 con atto notarile i soci unanimemente scioglievano la società (…) senza la necessità di messa in liquidazione dichiarando, erroneamente, l’insussistenza di debiti e crediti ed in particolare non indicando due crediti erariali emersi nel 2008 in sede di predisposizione dell’ultima dichiarazione dei redditi e Iva relativa all’anno d’imposta 2007. Detti crediti venivano, quindi, richiesti a rimborso mediante la compilazione del quadro RX della dichiarazione dei redditi presentata in data 30.09.2008 e allegata al ricorso sub allegato n. 3.
Non ricevendo il rimborso, in assenza di alcun riscontro e di alcun controllo da parte dell’Ufficio, in data 19.03.2013 i ricorrenti tutti con atto notarile, a rettifica dell’atto di scioglimento della (…), dichiaravano unanimemente che nel periodo d’imposta 2007 risultavano a favore della cessata società i predetti crediti e cioè in particolare € 1.393,00= per Irap e credito Iva per € 24.398,00= e che i medesimi spettassero a ciascuno di essi in proporzione alle quote sociali possedute.
A seguito dell’inerzia dell’Amministrazione finanziaria la stessa (…) in data 28.05.2014 in persona dell’allora legale rappresentante sig. (…) richiedeva all’Ufficio delle Entrate di Treviso il rimborso del credito Iva per l’anno d’imposta 2007 mediante apposita istanza. Successivamente con provvedimento di diniego del 04.06.2014 indirizzato direttamente al rappresentante della cessata (…) l’Ufficio negava il rimborso con la seguente motivazione: “diritto al rimborso inesistente; istanza fuori termine in quanto inoltrata il 28.05.2014, oltre due anni dalla data di presentazione della dichiarazione per l’anno d’imposta 2007”.
In particolare parte ricorrente rileva come l’Ufficio non abbia in alcun modo negato il diritto al rimborso in quanto la società non era più legittimata ad ottenerlo, ma solo perché l’istanza era stata presentata oltre due anni dalla trasmissione della dichiarazione. Detto diniego veniva successivamente impugnato dalla cessata (…) in persona dell’allora legale rappresentante dinnanzi alla CTP di Treviso che con sentenza 187/05/15 depositata il 9/3/2015 dichiarava, correttamente a parere di parte ricorrente, l’inammissibilità del ricorso “per mancanza di rappresentatività sia tecnica che sostanziale, dovendosi ritenere che la procura rilasciata alla professionista è stata rilasciata da soggetto non più legittimato ad agire per conto di una società da tempo estinta”.
Successivamente in data 9.12.2015 al fine di far valere comunque il proprio diritto al rimborso Iva tutti i ricorrenti, in qualità di soci dell’estinta (…) e, quindi, come unici soggetti che si dichiaravano legittimati ad ottenere detto rimborso presentavano per la prima volta istanza di rimborso all’Agenzia delle Entrate Ufficio di Treviso la quale con il provvedimento impugnato con il presente ricorso lo rigettava con la seguente motivazione: “…si comunica che, essendo stata già presentata a questo Ufficio istanza identica in data 28.5.2014 prot. 52115 a seguito della quale è stato emesso provvedimento di diniego oggetto di successivo contenzioso, l’istanza predetta è qualificabile come istanza di riesame in autotutela provvedimento di diniego rimborso Iva €24.398,00 anno d’imposta 2007”. Contro il predetto diniego i ricorrenti proponevano ricorso per i seguenti motivi.
1) Nullità ed illegittimità dell’atto impugnato per violazione dell’art. 30 del DPR 633/1972 a causa dell’esistenza del credito e del conseguente obbligo di statuizione del suo rimborso.
2) Nullità ed illegittimità dell’atto impugnato per falsa motivazione ed errata qualificazione dell’istanza di rimborso Iva.
3) Totale nullità ed illegittimità dell’atto impugnato in violazione della risposta parlamentare n. 5 – 05400 del 23/4/2005.
Concludevano, pertanto, chiedendo l’accoglimento del ricorso e che la Commissione Tributaria adita dichiari il provvedimento impugnato illegittimo, nullo o infondato, disponendo, altresì, conseguentemente l’integrale rimborso Iva così come richiesto dai ricorrenti, oltre agli interessi maturati e maturandi; con condanna dell’Ufficio, a favore dei ricorrenti, al risarcimento dei danni per lite temeraria ex art. 96 c.p.c. nella misura che verrà ritenuta di giustizia anche in via equitativa ex art. 1226 e 2056 c.c.. Con vittoria di spese ed onorari di giudizio.
Successivamente parte ricorrente depositava nota illustrativa.
Si costituiva nel presente giudizio con proprie controdeduzioni l’Agenzia delle Entrate Ufficio di Treviso. La stessa si opponeva all’accoglimento del ricorso deducendo quanto segue:
1) Inammissibilità del ricorso per violazione dell’art. 19 del D. Lgs. 546/92. L’Ufficio sotto questo profilo qualificava l’atto impugnato come diniego di autotutela essendo lo stesso meramente confermativo di un precedente diniego già divenuto definitivo in quanto confermato nel merito da sentenza passata in giudicato e che dunque, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, non rientra tra gli atti impugnabili, essendo esercizio del potere di autotutela riservato alla discrezionalità della P.A.
2) In via gradata – inammissibilità del ricorso per violazione dell’art. 21 del D. Lgs. 546/1992. L’Ufficio sotto questo profilo denuncia come l’impugnativa abbia come obiettivo dichiarato la contestazione della decisione dell’Ufficio assunta con il precedente provvedimento di diniego di rimborso prot. 55129/2014 divenuto definitivo e tentando invece di raggiungere tale illegittimo risultato attraverso l’enucleazione di inesistenti vizi del provvedimento di diniego espresso di autotutela impugnato in questa sede. Con ciò l’Ufficio evidenzia il tentativo della parte di prendere le distanze dalla vicenda processuale che ha già interessato quel diniego e la sua definitività.
3) Inammissibilità del ricorso per violazione del principio di cosa giudicata.
Sotto tale profilo l’Ufficio eccepisce l’inammissibilità del ricorso richiamando la definitività della sentenza della CTP di Treviso n. 187/05/2015 già intervenuta sul medesimo rimborso Iva qui in esame.
L’Ufficio, quindi, contesta dettagliatamente in modo specifico tutti i motivi di ricorso proposti dai ricorrenti e così conclude: “in via preliminare chiede che la Commissione voglia dichiarare il ricorso inammissibile, per violazione dell’art. 18 D.Lgs. 546/92; nonché in via preliminare – gradata, per violazione dell’art. 21 D.Lgs. 546/92, nonché, ancora per violazione del principio di “cosa giudicata” stante la sentenza definitiva della CTP di Treviso n. 187/05/2015 sul medesimo rimborso Iva 2007 di € 24.398,00; nel merito chiede che la Commissione voglia rigettare il ricorso in quanto infondato per tutte le ragioni esposte in narrativa e così confermare la piena legittimità sotto ogni profilo del diniego impugnato. In ogni caso con vittoria di spese, diritti e onorari come da nota spese che deposita.”.
Motivi della decisione
Il ricorso è fondato e va accolto. Sul giudicato dedotto dall’Ufficio la Commissione osserva quanto segue.
La sentenza passata in giudicato n. 187/05/2015 non può spiegare i propri effetti tra le parti del presente giudizio. Il giudicato, come ben noto, limita i propri effetti ai soggetti che erano parte del giudizio in questione. Nel caso della predetta sentenza la stessa è stata pronunciata a seguito di istanza di rimborso presentata dalla società (…) in persona dell’allora legale rappresentante. Successivamente la (…) impugnava avanti alla Commissione Tributaria il diniego di rimborso. La Commissione Tributaria si pronunciava con la predetta sentenza che rilevava la sostanziale e processuale carenza di rappresentatività della società e dichiarava l’inammissibilità del ricorso. La correttezza di tale pronuncia è riconosciuta oltre che dall’Ufficio anche dalle parti ricorrenti. La stessa è stata resa tra altri soggetti. Ed anzi a ben vedere la era (…) un soggetto non più esistente. Quindi il giudicato non può spiegare i suoi effetti che tra i soggetti che erano parte di quel giudizio e tra i quali non rientrano gli odierni ricorrenti.
Successivamente tutti i soci della società cancellata proponevano l’istanza di rimborso a seguito del diniego dello stesso prendeva inizio il presente giudizio. Detta istanza viene erroneamente definita dall’Ufficio come diniego di autotutela. In realtà essa è a tutti gli effetti una istanza di rimborso. La precedente istanza presentata dalla cancellata (…), essendo il soggetto inesistente non può aver spiegato alcun effetto.
Va inoltre evidenziato come il rimborso Iva fosse un credito esistente. La società, infatti, è stata cancellata a fine 2007, ma la dichiarazione Iva è stata presentata successivamente e cioè il 30.09.2008. Ciò è avvenuto mediante la presentazione da parte della società del modello Unico SP 2008 relativo all’anno d’imposta 2007. E detta dichiarazione non è stata contestata dall’Ufficio. Nella predetta dichiarazione è stato chiesto a rimborso, mediante la compilazione del quadro RX, l’importo Iva. Si tratta di circostanze tutte affermate dalla parte e non contestate dall’Ufficio. La parte, inoltre, ha reso dichiarazione integrativa mediante atto notarile della sussistenza del credito Iva. Del resto non poteva essere diversamente in quanto l’anno d’imposta 2007 che è l’ultimo in cui la (…) era esistente non poteva che essere dichiarato nell’anno successivo facendo così emergere eventuali debiti o crediti. Ne è emerso un credito Iva debitamente dichiarato per il quale è stato chiesto il rimborso. Trattandosi di credito Iva non contestato sullo stesso avrebbe dovuto esprimersi l’Ufficio. Ma l’Ufficio è rimasto, invece, inerte. L’istanza presentata dai soci è intervenuta entro il termine decennale nel quale poteva essere fatto valere il credito Iva. Inoltre i soci della disciolta società in quanto trattavasi di un credito esistente nel patrimonio della società, in quanto riferito all’anno di imposta 2007 in cui la società non era ancora stata cancellata, legittimamente ne hanno potuto chiedere il rimborso. Diversa sarebbe stata l’ipotesi, invece, in cui detto credito non avesse fatto parte dei diritti patrimoniali della società cancellata La cancellazione in presenza di un credito non indicato e non risultante dalle scritture contabili avrebbe comportato la rinuncia al credito stesso e di conseguenza i soci non avrebbero potuto agire nei confronti dell’Ufficio per richiedere il rimborso. Ma nel caso in esame detto credito era esistente sia pure emerso successivamente, ma riferito all’anno 2007 in quanto già contenuto nelle scritture contabili di quell’anno. Solo che le specifiche modalità dichiarative che riguardano i crediti tributari ne hanno comportato la indicazione nella dichiarazione dei redditi presentata nel 2008, ma riferita ai redditi e all’anno di imposta 2007. I tempi risultano pertanto essere stati rispettati.
A tal proposito, la Suprema Corte di Cassazione ha precisato che “ove una società si estingua a seguito di cancellazione dal registro delle imprese, i diritti e i beni si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o di comunione indivisa; la cancellazione implica, invece, rinuncia all’esercizio di mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, e dei diritti di credito, controversi o illiquidi, la cui inclusione nel bilancio di liquidazione avrebbe necessitato di una ulteriore attività giudiziale o stragiudiziale da parte del liquidatore” (Cass. S.U. 12.03.13, n. 6070; conf. Cass. S.U., 12.03.13, n. 6071). La giurisprudenza è, quindi, unanime, nell’affermare che “dopo la riforma del diritto societario, attuata dal D.Lgs. n. 6 del 2003, i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o comunione indivisa, con esclusione delle mere pretese, ancorché azionate od azionabili in giudizio, e dei crediti ancora incerti od illiquidi, la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un’attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale), il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato, a favore di ima più rapida conclusione del procedimento” (Cass. Ord. 19.12.16, n. 26149; conf. Cass. Ord. 11.07.16, n. 14156; Cass. 13.04.16, n. 7327; Cass. 10.08.15, n. 16638; Cass. 02.04.15, n. 6743; Trib. Bologna, 07.10.14; Trib. Brescia, 15.01.14; Trib. Napoli, 05.11.13; Trib. Milano, 24.06.13). Questa Commissione richiama e condivide la giurisprudenza sopra richiamata.
Nella fattispecie de qua il credito Iva era certo, liquido ed esigibile e non, invece, una mera pretesa la cui inclusione in bilancio avrebbe richiesto un’attività ulteriore. Da ciò ne consegue che detto credito si è trasferito ai soci in regime di comunione indivisa. La questione della sua successiva divisione è questione che riguarderà i soci al loro interno.
In conclusione, trattandosi di credito esistente nel patrimonio della società cancellata e non di una mera pretesa i soci erano legittimati a richiederne il rimborso. l’Ufficio non ha motivato nel merito la sussistenza o meno del credito che però non ha negato. In questa sede è stata documentata la domanda di rimborso senza che l’Ufficio abbia svolto contestazioni specifiche anche ai sensi dell’art. 115 c.p.c.. A seguito della cancellazione della società solo i crediti non esistenti e non risultanti dalle scritture contabili non possono essere richiesti dai soci di una snc. Nel caso specifico trattandosi di crediti risultanti dalla dichiarazione di cancellazione integrata a seguito della dichiarazione dei redditi presentata entro i termini dell’anno successivo i medesimi possono essere richiesti dai soci. Di conseguenza il ricorso va accolto. Non sussistono i presupposti per la richiesta di condanna ex art. 96 cpc stante la complessità della questione sia in linea di fatto che di interpretazione della normativa.
La complessità della questione comporta, altresì, la compensazione delle spese del giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso e, per l’effetto, dichiara spettante il credito di cui è causa. Spese compensate.