COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE VICENZA – Ordinanza 11 ottobre 2017
Imposte e tasse – Previdenza complementare – Dipendenti delle pubbliche amministrazioni – Previsione che, sino all’emanazione del decreto legislativo di attuazione dell’articolo 1, comma 2, lettera p), della legge 23 agosto 2004, n. 243, si applica esclusivamente e integralmente la previgente normativa. – Decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252 (Disciplina delle forme pensionistiche complementari), art. 23, comma 6.
Osserva
La controversia riguarda il rifiuto tacito che l’Agenzia delle entrate di Vicenza ha posto all’istanza di rimborso IRPEF, addizionali comunale e regionale, per l’anno 2014, presentata, in data 9 ottobre 2015, dalla signora R. P., rappresentata e difesa, anche disgiuntamente, dall’avv. F. C. e dall’avv. De B..
In particolare, la richiesta della contribuente è correlata alla asserita maggiore imposta versata, sommando al reddito complessivo prodotto, l’ammontare dell’imponibile erogato dal Fondo pensioni pari ad € 819,00 a titolo di IRPEF, ad € 788,00 a titolo di restituzione bonus IRPEF, ad € 99,74 a titolo di addizionale regionale ed € 64,87 a titolo di addizionale comunale.
La ricorrente, ha assunto di essere stata iscritta dal 16 dicembre 2009 al 30 giugno 2014 al Fondo nazionale pensione complementare per i lavoratori della scuola (Fondo scuola ESPERIA), e di avere maturato, a tale titolo, una posizione lorda individuale di € 8.108,7; posizione, per la quale ha chiesto la liquidazione per riscatto volontario, subendo una ritenuta alla fonte di € 1.865,01 a titolo di tassazione ordinaria, per il fatto che il predetto Fondo, ha proceduto ai sensi del combinato disposto del comma 6 dell’art. 23 del decreto legislativo n. 252/2005 e della lettera d-ter del comma 1 dell’art. 52 del TUIR nella versione in vigore antecedentemente alla abrogazione ad opera del citato decreto legislativo n. 252/2005.
In tale contesto, ha eccepito:
1) l’illegittima applicazione della norma meno favorevole al caso di specie, atteso che il differente regime impositivo applicabile alle prestazioni di previdenza complementare erogate ai dipendenti di una pubblica amministrazione iscritti ad una forma pensionistica di natura negoziale, risulterebbe abrogata dall’avvenuta scadenza del termine del 6 ottobre 2005 fissato dal comma 1 dell’art. 1 della legge n. 243/2004 per l’emanazione del decreto legislativo di riforma della disciplina fiscale della previdenza complementare dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni. Norma che, diversamente interpretando, risulterebbe in contrasto con i fondamentali principi costituzionali ed, in particolare, con gli articoli 2, 3 e 53 della Costituzione;
2) la manifesta irragionevolezza nella modalità di tassazione da parte del legislatore, derivante dalla maggiorazione dell’onere tributario, a seconda della natura pubblica o privata del datore di lavoro.
Per questi motivi, ha chiesto l’accoglimento dell’istanza di rimborso e la corresponsione dell’importo complessivo di € 1.771,61;
in subordine ha chiesto sollevarsi questione di legittimità costituzionale della norma di cui all’art. 23, comma 6 del decreto legislativo n. 252/2005 per contrasto con gli articoli 2, 3 e 53 della Costituzione.
L’Agenzia delle entrate, costituita in giudizio, ha contestato analiticamente ogni eccezione e deduzione di controparte, ribadendo la piena legittimità del proprio operato.
In particolare, sui singoli rilievi, ha contro dedotto quanto segue:
1) la riforma della previdenza complementare, contenuta nel decreto legislativo n. 252/2005, pur prevedendo una tassazione sostitutiva agevolata mediante l’applicazione di una ritenuta alla fonte a titolo di imposta, non ha trovato applicazione nel settore pubblico;
2) l’assoggettamento a tassazione ordinaria non sarebbe, comunque, discriminante in quanto anche il riscatto volontario erogato ai dipendenti di datori di lavoro privato è prevista l’imposta sostitutiva di cui all’art. 14 del decreto legislativo n. 252/2005.
Per questi motivi, ha chiesto il rigetto del ricorso e la condanna alla rifusione delle spese di giudizio.
Il Collegio, riunito per la trattazione, sentite le parti in pubblica udienza, rileva quanto segue.
Con il primo rilievo. Parte ricorrente, ricordato che per i dipendenti di una pubblica amministrazione iscritti a una forma pensionistica di natura negoziale il decreto legislativo n. 252/2005 ha previsto un regime transitorio di applicazione delle disposizioni tributarie contenute nel decreto legislativo n. 47/2000, invece del più favorevole regime fiscale introdotto dal predetto decreto legislativo n. 252, contesta l’illegittima applicazione di una norma meno favorevole al caso di specie, senza tenere conto, fra l’altro, che il differente regime impositivo risulterebbe abrogato dall’avvenuta scadenza del termine del 6 ottobre 2005 fissato dal comma 1 dell’art. 1 della legge n. 243/2004 per l’emanazione del decreto legislativo di riforma della disciplina fiscale della previdenza complementare dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni. Assume, al riguardo, che la scelta legislativa di tassare in modo totalmente differente e penalizzante una prestazione di previdenza complementare percepita da un aderente a una forma pensionistica collettiva per la sola circostanza che il proprio datore di lavoro fosse una pubblica amministrazione e non un soggetto di diritto privato, sarebbe manifestamente irragionevole e discriminatoria in quanto palesemente contraria al principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 della Costituzione, quale specificazione settoriale del più ampio principio di uguaglianza di cui all’art. 3 della stessa Costituzione.
Assume, altresì, che il combinato disposto del comma 6 dell’art. 23 del decreto legislativo n. 252/2005 e della lettera d-ter del comma 1 dell’art. 52 del TUIR (nella versione in vigore antecedentemente all’abrogazione ad opera del succitato decreto legislativo n. 252/2005) risulterebbe palesemente incostituzionale laddove sottopone a tassazione ordinaria e progressiva un reddito a formazione pluriennale ed a carattere straordinario, quale il riscatto c.d. volontario della posizione individuale erogato a un dipendente pubblico iscritto a un fondo pensione di cui è destinatario, per contrasto con i fondamentali principi di solidarietà sociale di cui all’art. 2 della Costituzione, di eguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione e di capacità contributiva di cui all’art. 53 della Costituzione.
Assume, infine, che l’illegittimità costituzionale di tale regime tributario sarebbe ancora più lampante se si considera che la posizione di previdenza complementare dell’odierna ricorrente (al pari di qualunque altro lavoratore dipendente della pubblica amministrazione iscritto a una forma pensionistica complementare di cui è destinatario) si forma anche in virtù della destinazione del trattamento di fine rapporto maturando, con la conseguenza che si verifica l’assurda situazione per cui, se un dipendente pubblico non aderisce a una forma pensionistica collettiva, non destinando quindi a previdenza complementare il trattamento di fine rapporto maturando, al momento della cessazione volontaria del rapporto di lavoro o della scadenza del rapporto di lavoro a tempo determinato, il trattamento di fine rapporto erogato in suo favore dal datore di lavoro sarà soggetto alla più favorevole imposizione separata di cui all’art. 19 del TUIR (ovvero facendo concorrere l’indennità di fine rapporto alla formazione del reddito complessivo dell’anno in cui è stata percepita solo se ciò risulti più favorevole per il contribuente ex art. 17 comma 3 del TUIR).
Tutto ciò posto, il Collegio, esaminata la questione di legittimità costituzionale della vicenda, ritiene non manifestamente infondato e rilevante nel presente giudizio la questione di legittimità costituzionale dell’art. 23, comma 6 del decreto legislativo n. 252/2005, in relazione all’art. 52, comma 1, lettera D)-ter del Testo Unico delle imposte sui redditi, con riferimento agli articoli 3 e 53 della Costituzione.
Il Fondo di previdenza complementare per i lavoratori della scuola, c.d. fondo scuola Espero, infatti, nasce a seguito della riforma pensionistica contenuta nella legge n. 335/95 che ha introdotto, tra l’altro, il sistema contributivo, ed è destinato ai lavoratori del comparto scuola, sia con contratto a tempo indeterminato che determinato che vi aderiscono volontariamente.
La riforma introdotta dalla legge n. 243/2004, per espressa disposizione normativa (art. 1, comma 2, lettera p), effettivamente, non ha trovato immediata applicazione nei confronti del pubblico impiego, in quanto espressamente rinviata alla conclusione del procedimento concertativo con le regioni e le parti sociali che avrebbe dovuto portare alla emanazione di un apposito decreto di armonizzazione. Recitano, infatti, gli articoli 1, commi 1 e 2, della legge n. 243/2004, quanto segue:
«1. Il Governo è delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi contenenti norme intese a: a) liberalizzare l’età pensionabile; b) eliminare progressivamente il divieto di cumulo tra pensione e redditi da lavoro; c) sostenere e favorire lo sviluppo di forme pensionistiche complementari; d) rivedere il principio della totalizzazione dei periodi assicurativi estendendone l’operatività anche alle ipotesi in cui si raggiungano i requisiti minimi per il diritto alla pensione in uno dei fondi presso cui sono accreditati i contributi.
2. Il Governo, nell’esercizio della delega di cui al comma 1, fatte salve le competenze delle regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano, previste dai relativi statuti, dalle norme di attuazione del titolo V della parte II della Costituzione, si atterrà ai seguenti principi e criteri direttivi: (….)
p) applicare i principi e i criteri direttivi di cui al comma 1 e al presente comma e le disposizioni relative agli incentivi al posticipo del pensionamento di cui ai commi da 12 a 17, con le necessarie armonizzazioni, al rapporto di lavoro con le amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, previo confronto con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative dei datori e dei prestatori di lavoro, le regioni, gli enti locali e le autonomie funzionali, tenendo conto delle specificità dei singoli settori, e dell’interesse pubblico connesso all’organizzazione del lavoro e all’esigenza di efficienza dell’apparato amministrativo pubblico;»
Le norme di cui al decreto legislativo n. 252/2005, recante disposizioni attuative della predetta legge delega, all’art. 21, comma 8, dispongono che «Fatto salvo quanto previsto all’art. 23, comma 5, è abrogato il decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124». Mentre all’art. 23, comma 6, precisano che «Fino all’emanazione del decreto legislativo di attuazione dell’art. 1, comma 2, lettera p), della legge 23 agosto 2004, n. 243, ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, si applica esclusivamente ed integralmente la previgente normativa».
Ne discende che il combinato disposto di questi due commi esclude l’applicazione, al rapporto di lavoro pubblico, del regime fiscale più favorevole introdotto dallo stesso decreto legislativo, creando due regimi impositivi ed una disparità di trattamento costituzionalmente rilevante (art. 3, 53 Cost.), laddove il c.d. riscatto volontario di una posizione individuale accumulata dal 1° gennaio 2007 in poi, se erogato a favore di dipendenti del settore privato iscritti a una forma pensionistica di natura negoziale di cui sono destinatari, beneficia della favorevole imposizione sostitutiva di cui all’art. 14 del decreto legislativo n. 252/2005, mentre il medesimo riscatto erogato a favore di dipendenti pubblici subisce una differente e penalizzante imposizione ordinaria che si configura nella maggiorazione dell’onere tributario, derivante dalla applicazione dell’art. 52, comma 1, lettera d-ter del TUIR.
In definitiva, il decreto legislativo n. 252/2005, recante disposizioni attuative della predetta legge di delega, risulta carente di una disciplina generale di armonizzazione con il settore pubblico, laddove l’art. 21, comma 8 del decreto legislativo n. 252/2005 prevede l’abrogazione della precedente disciplina di previdenza complementare contenuta nel decreto legislativo n. 124/1993, mentre al successivo art. 23, comma 5 precisa che «Fino all’emanazione del decreto legislativo di attuazione dell’art. 1, comma 2, lettera p), della legge 23 agosto 2004, n. 243, ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, si applica esclusivamente ed integralmente la previgente normativa.».
Ne discende che il combinato disposto di questi due commi esclude, irragionevolmente, al rapporto di lavoro pubblico contrattualizzato, il regime fiscale più favorevole introdotto dallo stesso decreto legislativo, creando due sistemi impositivi ed una disparità di trattamento che appare irragionevole e quindi costituzionalmente rilevante in violazione dell’art. 3 Cost., in quanto lesivo del principio di uguaglianza tra lavoratori del settore pubblico e privato ed art. 53 Cost. in quanto una medesima fonte di capacità contributiva viene sottoposta a due diverse imposizioni fiscali.
La questione è altresì rilevante in quanto la risoluzione della controversia in senso favorevole o sfavorevole al contribuente dipende dell’applicazione, o meno, della norma della cui costituzionalità si dubita.
Se ne rimette quindi l’esame alla Corte costituzionale.
P.Q.M.
Letto l’art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara non manifestamente infondata e rilevante nel presente giudizio la questione di legittimità costituzionale dell’art. 23, comma 6 del decreto legislativo n. 252/2005 per contrasto con gli articoli 3 e 53 della Costituzione.
Dispone la sospensione del presente procedimento e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.
Dispone che la presente ordinanza sia notificata alle parti e al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento.