COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALEI TORINO – Ordinanza 18 dicembre 2012
Imposte e tasse – Riscossione delle imposte – Remunerazione del servizio – Aggio percentuale sulle somme iscritte a ruolo riscosse (c.d. compenso di riscossione) – Determinazione non collegata al calcolo dei costi effettivi del servizio di riscossione – Inserimento degli interessi dovuti all’ente creditore dell’imposta nel montante su cui calcolare l’importo percentuale dovuto all’agente della riscossione – Violazione del principio di ragionevolezza – Decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112, art. 17, comma 1, nel testo sostituito dall’art. 32, comma 1, lett. a), del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, nella legge 28 gennaio 2009, n. 2 – Costituzione, art. 3.
In fatto e in dritto
1. – Con ricorso spedito il 12 novembre 2010 e ricevuto il 16 novembre 2010 dalla destinataria società Equitalia Nomos s.p.a. – agente della riscossione per la provincia di Torino, tempestivamente depositato il 10 dicembre 2010, il sig. S.L., in giudizio rappresentato e difeso dai dottori commercialisti R.T. e F.B., impugna la cartella di pagamento n. 110 2010 0082309170, per mezzo della quale l’agente della riscossione intima il pagamento di € 2.893,00 per irap; di € 2.592,50 per irpef e relative addizionali pari ad € 115,44; di € 692,49 per interessi dovuti all’ente impositore, di € 5,16 costo della notifica, di 292,89 per compensi dovuti all’agente della riscossione qualora il pagamento fosse avvenuto entro sessanta giorni dalla notifica, oppure € 566,88 se oltre sessanta giorni.
2. – L’atto impugnato trova motivazione nell’iscrizione a ruolo provvisoria effettuata dall’Agenzia delle entrate, ufficio Torino 1, in virtù di avviso di accertamento notificato il 1° dicembre 2009 ed impugnato con ricorso pendente presso la commissione tributaria provinciale.
3. – Parte ricorrente, nel domandare l’annullamento dell’atto impugnato, prospetta vari vizi che inficerebbero la validità della pretesa tributaria; si duole pure, prospettandone l’illegittimità costituzionale, della pretesa di pagamento a favore dell’agente della riscossione dell’aggio previsto dall’art. 17, comma 1, del decreto legislativo n. 112 del 1999.
In particolare, deduce i seguenti motivi di impugnazione:
i) inesistenza della notificazione, in quanto ai sensi dell’art. 26, comma 1, periodo 2 del decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito) non è possibile delegare la notificazione alle Poste Italiane (cita C.T.P. Lecce, sezione V, sentenza n. 909 del 2008 e C.T.P. Milano, sez. I, n. 450 del 2010);
ii) inesistenza della notifica per carenza della qualifica di messo notificatore in capo al soggetto che ha notificato l’iscrizione a ruolo;
iii) inesistenza della notificazione per mancanza degli elementi previsti dall’art. 148 del codice di procedura civile, e cioè il soggetto notificante e la sottoscrizione del medesimo attestante l’avvenuta notificazione tramite servizio postale;
iv) inesistenza della notificazione in quanto dalla lettura della busta non compaiono né la sottoscrizione né il sigillo dell’ente della riscossione;
v) mancata allegazione del ruolo alla cartella di pagamento e sua omessa produzione in giudizio;
vi) omessa indicazione dell’autorità amministrativa presso la quale il contribuente possa tutelare la propria posizione giuridica, ai sensi dell’art. 7, comma 2, lettera c) della legge n. 212 del 2000 (Statuto dei diritti del contribuente);
vii) indicazione meramente formale del responsabile del procedimento indicato in una sola persona che non può da sola curare centinaia di migliaia di pratiche;
viii), ix), x) assenza di sottoscrizione della cartella di pagamento;
xi) illegittimità costituzionale dell’aggio dovuto all’agente della riscossione;
xii) assenza di delega da Equitalia Nomos s.p.a. all’agente della riscossione per la provincia di Torino;
xiii) violazione del principio di trasparenza del gruppo tra Equitalia Nomos, società controllata, e l’agente fiscale delle entrate, società controllante;
xiv) vizio prospettato in via di ipotesi: ove sia accolto il ricorso contro l’avviso di accertamento, verrà meno il presupposto dell’iscrizione a ruolo (supra, paragrafo 2).
4. – Non si è costituita in giudizio Equitalia Nomos s.p.a., sebbene il ricorso sia stato regolarmente proposto, con invio di plico postale da essa ricevuto (supra, paragrafo 1).
5. – La causa è stata trattata il 9 ottobre 2012 in pubblica udienza, udito il giudice relatore nonché l’esposizione delle ragioni offerte dal difensore di parte ricorrente. Il collegio si riservava di decidere e in data odierna, sciogliendo la riserva, ha stabilito di sospendere il giudizio rimettendo alla Corte costituzionale la decisione sulla questione posta al punto xi) del ricorso.
In precedenza la commissione tributaria ha esaminato gli altri motivi dedotti da parte ricorrente ritenendoli tutti infondati per le seguenti ragioni.
Il collegio giudicante osserva che è pacifica la modalità della notifica della cartella avvenuta nel caso di specie a mezzo del servizio postale. Le censure mosse in ricorso, ai punti i), ii), iii), iv), non assumono quindi rilievo di vizi comportanti l’inesistenza della notifica: ai sensi del terzo comma dell’art. 4, della legge n. 890 del 1982, la prova della notificazione a mezzo posta è fornita dall’avviso di ricevimento; in tal caso, la fase essenziale del procedimento è da rinvenire nell’attività espletata dell’agente postale che si conclude con il ricevimento dell’avviso di raccomandata attestato dalla firma del destinatario, senza necessità di redigere un’apposita relata (Corte di Cassazione, Sezioni Unite n. 7821 del 1995; Sez. V, n. 21949 del 2007, n. 14327 del 2009).
Con riguardo, poi, all’invio diretto della raccomandata, la commissione osserva che l’art. 14 della legge n. 890 prevede che gli uffici finanziari possono notificare avvisi ed altri atti al contribuente direttamente a mezzo posta, e l’art. 26 del decreto del Presidente della Repubblica n. 602 dispone che la notifica della cartella può essere eseguita (non solo avvalendosi di soggetti abilitati, come previsto nel primo periodo del medesimo comma, ma) «anche mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento». La lettera delle due disposizioni è chiara nell’indicare che anche l’agente della riscossione può notificare direttamente la cartella di pagamento chiusa in plico raccomandato. La contraria opinione di quanti ritengono che la suddetta modalità di notifica sia inibita all’agente della riscossione non persuade, perché appare contraria alla lettera delle disposizioni sopra indicate ed inoltre trascura di indicare per quale motivo l’agente della riscossione possa, a tale riguardo, apparire meno affidabile degli uffici finanziari in genere e debba necessariamente avvalersi dell’intermediazione di soggetti abilitati.
La commissione, dunque, rileva l’infondatezza dell’eccezione di parte ricorrente e il suo convincimento trova conforto anche nella più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione, la quale, con sentenza n. 2288 del 2011, conferma che, in virtù dell’art. 26 del decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973 la notificazione, da parte dell’esattore, possa essere eseguita «anche mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento».
E’ interessante anche la sentenza 15948 del 2010 (che risponde negativamente – anche se non esplicitamente – al quesito specifico attinente alla spedizione diretta della raccomandata). Non esiste alcuna norma che obblighi l’agente della riscossione ad allegare materialmente il ruolo alla cartella di pagamento. Il motivo dedotto al punto v) del ricorso è quindi del tutto infondato. E’ altresì infondato il motivo formulato al punto vi) del ricorso: l’invocata norma di cui all’art. 7, comma 2, lettera c) della legge n. 212 del 2000 (Statuto dei diritti del contribuente) prevede che l’indicazione dell’autorità amministrativa sia espressa in via alternativa all’indicazione dell’organo giurisdizionale da adire. E’ manifestamente evidente che nel caso di specie non è configurabile alcuna possibile alternativa alla proposizione del ricorso davanti al giudice tributario; sicché la questione non trova alcuna possibilità applicativa riferibile ad una supposta lesione del diritto di difesa del contribuente.
La cartella di pagamento, indicando nominativamente la persona del responsabile del procedimento ha assolto esaustivamente l’obbligo di cui all’art. 7, comma 2 lettera a) della legge n. 212 del 2000 (Statuto dei diritti del contribuente). La censura di cui al punto vii) del ricorso è, quindi, puramente ipotetica e non è supportata da alcun dato di fatto.
E’ principio consolidato in giurisprudenza (Corte costituzionale, ordinanze n. 117 del 2000 e n. 377 del 2007, Corte di Cassazione, ex multis, sentenze n. 4923 e n. 18972 del 2007) che la cartella non esige la firma come elemento essenziale dell’atto essendo sufficiente la sua intestazione per verificarne la provenienza; e siccome nel caso di specie è certo che la cartella impugnata è riferibile all’organo competente ad emetterla, i pertinenti motivi, di cui ai punti viii) ix) e x) del ricorso devono essere respinti.
Parte ricorrente contesta – sub xii) e xiii) – violazione delle norme (di cui agli articoli 2359, 2497-bis e 2497- quater codice civile ed al decreto-legge n. 203 del 2005) che legittimano la società controllata a svolgere l’attività di riscossione e disciplinano il principio di trasparenza di gruppo e dello stato di soggezione all’altrui attività di direzione e coordinamento. Ad avviso della commissione tributaria le norme civilistiche invocate da parte ricorrente non incidono sulla validità dell’atto impugnato né parte ricorrente è legittimata a far valere nel giudizio tributario gli asseriti vizi posti a tutela degli interessi dei soci e dei creditori.
Il collegio giudicante ritiene inammissibile il motivo proposto al punto xiv) del ricorso, nella considerazione che l’ufficio impositore ha fatto buon governo della norma di cui all’art. 15, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito) iscrivendo a ruolo provvisorio la metà delle imposte accertate con atto impugnato per mezzo di ricorso che, al momento dell’iscrizione a ruolo, era pendente davanti alla commissione tributaria provinciale. Quali che siano state le successive vicende processuali (delle quali peraltro parte ricorrente non ha riferito nulla, nel corso del presente giudizio) resta legittima l’iscrizione a ruolo, rispetto alla cui validità le deduzioni in ricorso appaiono come ipotetiche ed eventuali e, in quanto tali, inammissibili.
Dall’esame fin qui condotto risulta, dunque, che tutti gli anzidetti motivi del ricorso sono infondati e che sono conseguentemente da respingere.
Rimane da valutare la questione di illegittimità costituzionale relativa all’addebito dell’aggio che parte ricorrente contesta (punto xi del ricorso) in quanto stabilita apoditticamente dall’art. 17, comma 1, del decreto legislativo n. 112 del 1999 in modo irragionevole giacché, ignorando i canoni di imparzialità e trasparenza, prescinde dal calcolare i costi effettivi del servizio pubblico di riscossione (articoli 3, 53 e 97 della Costituzione). La norma in esame, inoltre, legittima l’agente della riscossione a liquidare il proprio compenso sugli interessi di mora dovuti dal debitore all’ente impositore per ritardato pagamento delle somme iscritte a ruolo; ed anche sotto tale aspetto la norma appare irragionevole, giacché l’agente della riscossione, che non ha anticipato alcuna somma, non ha subito alcun danno patrimoniale da riparare con la corresponsione di interessi. Per converso il cumulo degli oneri da cui è gravato il contribuente (interessi dovuti all’ente impositore cui si aggiungono gli interessi a favore dell’agente della riscossione), che secondo parte ricorrente è pari all’11,4508 per cento annuo, oltrepassa il limite dell’interesse definito usurario dalla legge n. 108 del 1996.
A questo riguardo, la commissione tributaria rileva che la cartella esattoriale in esame intima il pagamento, oltre che di talune imposte erariali e relativi interessi, anche dei compensi dovuti all’agente della riscossione di € 566,88, fissati in tale misura nella considerazione che il pagamento della cartella non è avvenuto entro il sessantesimo giorno dalla notifica. Il compenso è stato calcolato applicando la percentuale del nove per cento alla somma di € 6.298,59 complessivamente dovuta dal contribuente all’Agenzia delle entrate per imposte, addizionali ed interessi. L’agente della riscossione, infatti, deve essere remunerato dal debitore, ai sensi dell’art. 17, comma 1, del decreto legislativo n. 112 del 1999 – come sostituito, a decorrere dal 1° gennaio 2009, dall’art. 32, lettera a) del decreto-legge n. 185 del 2008 convertito dalla legge n. 2 del 2009 – con un aggio pari al nove per cento delle somme iscritte a ruolo riscosse e dei relativi interessi di mora, qualora il pagamento avvenga oltre il sessantesimo giorno dalla notifica della cartella (mentre nel caso in cui il pagamento sia effettuato entro sessanta giorni, la remunerazione dell’agente della riscossione è ripartita tra il contribuente, in ragione del 4,65 per cento, e l’ente creditore, per il restante 4,35 per cento). L’aggio dunque varia col variare dell’entità del debito d’imposta: 566,88 euro nel caso in esame, oppure, in ipotesi 9.000 euro se il debito tributario ammontasse a 100.000 euro; ovvero, 90.000 euro per un debito di un milione di euro, e così proseguendo verso cifre sempre più elevate, non avendo la norma in esame posto alcun limite alla commisurazione dell’aggio, Appare in tal modo violato l’art. 3 della Costituzione sotto il profilo del canone della ragionevolezza. Se, infatti, appare giustificato che al contribuente, il quale con il suo inadempimento ha dato origine alla procedura coattiva, siano imputati i costi del servizio di riscossione, non è ragionevole che gli siano imputati oneri eccessivi che oltrepassino a dismisura il costo della procedura: la norma di cui all’art. 17, comma 1, del decreto legislativo n. 112 del 1999 è priva di qualsiasi «effettivo ed opportuno ancoraggio della remunerazione al costo del servizio» (come avrebbe dovuto se avesse adottato i parametri enunciati dalla Corte costituzionale, con sentenza n. 480 del 1993), esponendo in tal modo i contribuenti a pretese di rimborso di «costi» non giustificati, indimostrati ed esorbitanti. Il calcolo percentuale addiziona di fatto al debito per imposte una pseudo sanzione, venendo in tal modo ad assumere connotati afflittivi e punitivi, estranei alla asserita funzione remunerativa del costo del servizio di riscossione.
L’anomalia della norma è posta in evidenza anche dal raffronto con la normativa previgente nonché con le norme successive che sono state in tempi più recenti emanate per correggerne le distorsioni e che sono ancora adesso in corso di attuazione.
La precedente formulazione del comma 1 dell’art. 17 del decreto n. 112, prima che fosse sostituito, a decorrere dal 1° gennaio 2009, dall’art. 32, comma 1, lettera a) del decreto-legge n. 185 del 2008 convertito dalla legge n. 2 del 2009, prevedeva che l’aggio fosse determinato per ogni biennio, con decreto ministeriale, sulla base del costo medio unitario del sistema, della situazione economica e sociale di ciascun ambito e dei tempi di riscossione. Le norme che successivamente hanno modificato il testo dell’art. 17 in esame, recate dall’art. 13-quater del decreto-legge n. 201 del 2011 convertito dalla legge n. 214 del 2011 nonché dall’art. 5, comma 1 del decreto-legge n. 95 del 2012 convertito dalla legge n. 135 del 2012, statuiscono esplicitamente che gli agenti della riscossione hanno diritto al rimborso dei costi ed esplicitano i criteri cui il decreto ministeriale di attuazione dovrà attenersi.
Emerge dunque con chiarezza, anche dalle implicite censure contenute nelle norme che in tempi diversi disciplinano la stessa materia, che il testo in vigore dal 1° gennaio 2009 del comma 1 dell’art. 17 del decreto n. 112, siccome prescinde dall’ancorare la remunerazione dell’agente della riscossione ai costi del servizio, è in urto con i principi dell’ordinamento costituzionale, ed in particolare con il principio di ragionevolezza insito nell’art. 3 della Costituzione.
Peraltro, la norma appare irragionevole anche per la parte in cui inserisce nel montante su cui calcolare l’aggio anche gli interessi dovuti all’ente impositore titolare del credito d’imposta, venendo in tal modo a riconoscere ad un soggetto terzo, l’agente della riscossione, un sovrappiù a titolo di interessi, su somme da quest’ultimo non anticipate né tantomeno sborsate. La questione dunque non è manifestamente infondata ed appare rilevante, nella considerazione che il giudice adito non può definire la questione se non applicando la norma, di dubbia legittimità costituzionale, introdotta dall’art. 32, comma 1, lettera a) del decreto-legge n. 185 del 2008 convertito dalla legge n. 2 del 2009. Respingendo infatti il ricorso in quanto, come prima dimostrato, è infondato in tutti i restanti motivi, la commissione tributaria dovrebbe applicare la norma di cui all’art. 17 del decreto n. 112 del 1999, nel testo vigente dal 1° gennaio 2009, per decidere se il contribuente è tenuto, oltre che a pagare le imposte, a remunerare l’agente della riscossione nella misura che la norma individua esplicitamente e chiaramente, senza lasciare spazio ad altra interpretazione che meglio possa adeguarla al principio di ragionevolezza. La questione pertanto deve essere devoluta alla Corte costituzionale a che decida se le disposizioni di cui all’art. 17 del decreto legislativo n. 112 del 1999, come sostituito dall’art. 32, comma 1, lettera a) del decreto-legge n. 185 del 2008 convertito dalla legge n. 2 del 2009, sono lesive del principio di ragionevolezza insito nell’art. 3 della Costituzione. Si impone pertanto la rimessione della questione alla Corte costituzionale per la sua decisione ai sensi degli articoli 1, legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e legge 11 marzo 1953, n. 87.
P.Q.M.
Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 17 del decreto legislativo n. 112 del 13 aprile 1999, come sostituito dall’art. 32, comma 1, lettera a) del decreto-legge n. 185 del 29 novembre 2008 convertito dalla legge n. 2 del 28 gennaio 2009, in riferimento all’art. 3 della Costituzione della Repubblica italiana. Sospende il giudizio e dispone l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale con la prova delle notificazioni e comunicazioni di cui all’art. 23, quarto comma, legge 11 marzo 1953, n. 87.
—
Provvedimento pubblicato nella G.U. della Corte Costiotuzionale 03 luglio 2013, n. 27.
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