COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE ABBRUZZO – Sentenza 03 novembre 2017, n. 932
Tributi – Accertamento induttivo conseguente a verifica – Processo verbale di constatazione – Denuncia di falso – Procedimento penale – Effetto sospensivo del processo tributario
Fatto e diritto
La D.L.A.I. e C. s.a.s. (tramite il rappresentante legale D.L.A.I.) nonché D.L.A. e D.L.A.I., quali socie, hanno proposto ricorso rispettivamente avverso gli avvisi di accertamento n. TA3020201567 (relativo a IRAP, IVA ed altro per l’anno 2011), n. TA3010201575 e n. TA 3010201573 (relativi a IRPEF, Add. Reg., Add. Com. e altro per l’anno 2011) emessi dalla Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di L’Aquila per avere accertato in capo alla società maggiori ricavi per euro 68.198,81 (e maggiori costi per euro 398,98) e quindi rideterminato il reddito da imputare ai soci ed determinato maggiori imposte dovute; l’ente impositore ha altresì determinato una maggiore imposta IRAP (per euro 3.287,00) ed IVA (per euro 6.860,00).
L’accertamento ha fatto seguito ad una verifica fiscale per l’anno 2011 conclusasi con la redazione di processo verbale di constatazione.
Con successive memorie a sostegno del ricorso si faceva inoltre presente che era stata proposta querela di falso nei confronti dei processi verbali redatti dai funzionari accertatori in quanto questi hanno attestato circostanze di fatto non vere; la proposizione della querela di falso determina la sospensione del processo tributario ai sensi dell’articolo 39 D.Lgs. n. 546/92.
L’Ufficio si è costituito in primo grado chiedendo il rigetto dei ricorsi.
La commissione provinciale preliminarmente ha riunito i ricorsi e con sentenza n. 567 in data 28.06/13.09.2016 ha respinto i ricorsi riuniti e compensato le spese. In particolare in detta pronuncia si osserva:
– quanto al primo motivo dei ricorsi (carenza di motivazione) che la motivazione riportata prima nel p.v.c. e poi in sede di accertamento, contiene i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’ Amministrazione, le quali hanno consentito alle parti ricorrenti di conoscere dettagliatamente la pretesa tributaria e l’iter logico-giuridico seguito dall’Ufficio negli accertamenti; si fa rilevare che si è trattato di un accertamento analitico-induttivo di cui all’art. 39, comma 1, lettera d, D.P.R. n. 600/73 e all’art. 54, commi 2 e 4, D.P.R. n. 633/72, mentre è inconferente il richiamo da parte dei ricorrenti alla violazione dell’art. 7, legge n. 212/2000 e art. 42 D.P.R. n. 600/73;
– quanto al secondo motivo (con cui si deduce l’invalidità degli atti impugnati in quanto non preceduti da alcun invito al contraddittorio da parte dell’Ufficio, con conseguente violazione del diritto di difesa) il rilievo non viene condiviso in quanto il legislatore ha previsto l’obbligatorietà del contraddittorio preventivo solo in alcuni casi: in particolare per gli accertamenti previsti dagli articoli 37 bis e 38 D.P.R. n. 600/73, ove è previsto che, prima della notifica degli avvisi di accertamento “l’Ufficio invita il contribuente a comparire”;
– quanto al terzo motivo (circa la asserita illegittima applicazione dell’art. 39 D.P.R. n. 600/73, la mancanza dei presupposti per procedere con l’accertamento induttivo) che in base a tale norma l’amministrazione finanziaria può fondare il proprio accertamento sia sull’ esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili “dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio dell’attività svolta”, sia sugli studi di settore, nel quale ultimo caso l’Ufficio non è tenuto a verificare tutti i dati richiesti per uno studio generale di settore, potendosi basare anche solo su alcuni elementi ritenuti sintomatici per la ricostruzione del reddito del contribuente.
Nell’ambito dell’attività di verifica nei confronti di imprese di ristorazione (come nel caso di specie) la Corte di Cassazione (sentenza n. 9884/2002 e n. 18475/2009 ha ribadito il principio in base al quale il consumo unitario di tovaglioli costituisce una presunzione qualificata che in quanto tale rappresenta un valido presupposto per la ricostruzione induttiva del reddito di impresa;
– quanto al quarto motivo, infine, che nessuna falsità in atti ex articoli 476 e 479 Codice Penale è riconoscibile con riferimento alla verifica fiscale prodromica alla emissione degli atti impugnati e che la circostanza che sia stata presentata querela di falso nei confronti dei processi verbali redatti dai funzionari accertatori, in quanto questi hanno accertato circostanze di fatto non vere, non è rilevante ai fini della decisione.
Le contribuenti hanno proposto appello avverso la sentenza di primo grado riproponendo gli stessi motivi già posti a fondamento del ricorso introduttivo e chiedendo la riforma della sentenza impugnata.
Nell’appello si ribadisce che è stata proposta “querela di falso” nei confronti dei processi verbali redatti dai funzionari accertatori e si fa presente che “a seguito della suddetta querela il GIP del Tribunale di Avezzano ha fissato per il giorno 14.06.2017 … per deliberare in merito dandone avviso al PM e agli indagati funzionari dell’Agenzia delle Entrate”.
L’Ufficio si è costituito depositando atto di controdeduzioni.
All’udienza del 28.09.2017, presenti i rappresentanti di entrambe le parti, il rappresentante di parte appellante ha insistito per la sospensione del presente procedimento, comunicando che l’udienza (del procedimento per falso promosso in relazione al p.v.c. redatto in data 25.05.2015) presso il Tribunale di Avezzano era stata rinviata al 25.10.2017.
Il rappresentante dell’ufficio non si è opposto.
Ciò posto, esaminata la documentazione allegata agli atti, sentito il relatore, la controversia veniva ritenuta per la decisione.
In primo luogo, con riguardo alla eccezione formulata dall’Agenzia di inammissibilità dell’appello per assoluta mancanza di specifici motivi di impugnazione, si osserva come in effetti i primi tre motivi d’appello sono gli stessi del ricorso introduttivo.
L’articolo 53, comma 1, D.Lgs. n. 546/1992 (Disposizioni sul processo tributario) prescrive fra l’altro che il ricorso in appello contiene ed i motivi specifici dell’impugnazione. Il ricorso in appello è inammissibile se manca o è assolutamente incerto uno degli elementi sopra indicati….
Peraltro (anche in ossequio al principio di conservazione degli atti processuali) la Corte di Cassazione sul punto ha chiarito come in tema di contenzioso tributario, la riproposizione, a supporto dell’appello proposto dal contribuente, delle ragioni di impugnazione del provvedimento impositivo in contrapposizione alle argomentazioni adottate dal giudice di primo grado assolve l’onere di impugnazione specifica imposto dall’art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992, atteso il carattere devolutivo pieno, nel processo tributario, dell’appello, mezzo quest’ultimo non limitato al controllo di vizi specifici, ma rivolto ad ottenere il riesame della causa nel merito. (Sez. 6-5, Ordinanza n. 1200 del 22/01/2016). In maniera conforme la Corte si era già espressa affermando appunto che nel processo tributario, ove l’Amministrazione finanziaria si limiti a ribadire e riproporre in appello le stesse ragioni e argomentazioni poste a sostegno della legittimità del proprio operato, come già dedotto in primo grado, in quanto considerate dalla stessa idonee a sostenere la legittimità dell’avviso di accertamento annullato, è da ritenersi assolto l’onere d’impugnazione specifica previsto dall’art. 53 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, secondo il quale il ricorso in appello deve contenere “i motivi specifici dell’impugnazione” e non già “nuovi motivi”, atteso il carattere devolutivo pieno dell’appello, che è un mezzo di impugnazione non limitato al controllo di vizi specifici della sentenza di primo grado, ma rivolto ad ottenere il riesame della causa nel merito. (Sez. 5, Sentenza n. 3064 del 29/02/2012).
L’eccezione va pertanto respinta.
Nel merito l’appello non appare fondato.
Quanto al primo motivo d’appello (carenza di motivazione) va rilevato, in accordo con il giudice di primo grado, che la motivazione appare esaustiva, logica e chiara, sia quanto ai presupposti di fatto che alle ragioni giuridiche, nonché la pretesa erariale ben individuata nell’an e nel quantum; l’atto impugnato, inoltre, è chiaramente un accertamento analitico – induttivo.
Anche alla luce della ormai consolidata giurisprudenza in materia, nel caso di specie appaiono soddisfatti i requisiti essenziali dell’accertamento tributario anche sotto l’aspetto motivazionale (fra tutte Sez. 5, Sentenza n. 12394 del 22/08/2002: L’accertamento tributario … si esaurisce in un provvedimento autoritativo con il quale l’amministrazione fa valere la propria pretesa tributaria, esternandone il titolo e le ragioni giustificative al solo fine di consentire al contribuente di valutare l’opportunità di esperire l’impugnazione giudiziale, nell’ambito della quale l’amministrazione creditrice è tenuta a passare dall’allegazione della propria pretesa alla prova del credito tributario vantato nei confronti del contribuente, fornendo la dimostrazione degli elementi costitutivi del proprio diritto l’avviso di accertamento disciplinato dall’art. 42 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, deve porre il contribuente in condizione di conoscere le ragioni della pretesa tributaria.
Il relativo onere di motivazione, posto a carico dell’amministrazione, può essere assolto “per relationem”, mediante il riferimento a elementi offerti da altri documenti conosciuti o conoscibili dal destinatario … )
Quanto al secondo motivo d’appello (mancanza di contraddittorio e violazione del diritto alla difesa) si osserva che può essere ritenuta la violazione del principio generale della necessità del contraddittorio preventivo (applicabile a tutti i casi di accertamento) solo allorquando al contribuente non sia stata data alcuna possibilità di formulare e comunicare le sue osservazioni prima dell’emanazione dell’atto impositivo.
Nel caso di specie il contribuente non ha attivato la fase dell’accertamento con adesione nel termine concessogli ai sensi dell’articolo 12, comma 7, Legge n. 212/2000 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente) che così dispone: 7. Nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori. L’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza…
In riferimento all’articolo 12, comma 7, citato è intervenuta una pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Sez. U, Sentenza n. 24823 del 09.12.2015) che ha chiarito che In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, non sussiste per l’Amministrazione finanziaria alcun obbligo di contraddittorio endoprocedimentale per gli accertamenti ai fini Irpeg ed Irap, assoggettati esclusivamente alla normativa nazionale, vertendosi in ambito di indagini cd. “a tavolino” e che In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito. Quanto al terzo motivo d’appello (mancanza dei presupposti per procedere con accertamento analitico – induttivo) ci si riporta innanzitutto alla motivazione della sentenza della commissione provinciale che fornisce una lettura del tutto condivisibile dell’articolo 39 (Redditi determinati in base alle scritture contabili) D.P.R. n. 600/1973 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi) che disciplina appunto questo tipo di accertamento, disponendo al primo comma, lettera d) che….
L’esistenza di attività non dichiarate o la inesistenza di passività dichiarate è desumibile anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti.
Ai fini IVA l’accertamento analitico – induttivo discende dalla disposizione del tutto analoga contenuta nell’articolo 54, primo comma, D.P.R. n. 633/1972 (Istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiunto): o anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti.
La giurisprudenza, sia di merito che di legittimità, nel trattare dei casi in cui è ammesso ricorrere all’accertamento analitico – induttivo, ritiene legittimo da parte dell’ufficio il porre i consumi delle materie prime a base dello stesso.
Il fatto da accertare viene fatto discendere in maniera ragionata da un altro fatto, noto e non controverso, quale ad esempio nel caso di impresa di ristorazione – come ritenuto in una pronuncia della Corte di Cassazione (n. 17408/2010) – la discrasia fra il consumo di acqua minerale ed il numero dei pasti somministrati risultante dalle ricevute fiscali, oppure, come nel caso in esame (riguardante sempre un’impresa di ristorazione) la rilevante incongruenza fra un elevato consumo di uova per preparazione di pasta fatta in casa e assenza di acquisti di farina.
Presunzioni da cui consegue l’onere della prova contraria a carico del contribuente; prova contraria che dovrà essere fornita con elementi specifici ed oggettivi e non formulando contestazioni generiche, come invece si è limitata a fare nel caso di specie parte contribuente.
Quanto alla parte dell’appello contenuta in quello che viene indicato come quarto motivo d’appello si osserva che si tratta piuttosto della istanza di sospensione del procedimento ex articolo 39, D.Lgs. n. 546/92, a seguito della proposizione della querela di falso.
In proposito va rilevato che, da quanto è dato desumere dagli atti, il procedimento che risulta pendente è in realtà un procedimento penale per i reati di cui agli articoli 476 (Falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici.) e 479 (Falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici.) del Codice Penale.
Al contrario, la querela di falso è un procedimento di natura civilistica che consente di contestare l’autenticità di un documento (che, in caso contrario, sarebbe pregiudizievole per la parte che propone la “querela”) chiedendo che ne venga accertata la falsità; disciplinata dagli articoli 221 e seguenti del Codice di Procedura Civile, la querela di falso si può proporre sia in via incidentale (ossia all’interno del procedimento in cui il documento è stato prodotto), sia in via principale instaurando un autonomo procedimento per far dichiarare la non autenticità del documento.
Il procedimento per querela di falso, per costante indirizzo della giurisprudenza, ha il fine di privare “un atto pubblico (od una scrittura privata riconosciuta) della sua intrinseca idoneità a ‘far fede’, a servire, cioè, come prova di atti o di rapporti, mirando così, attraverso la relativa declaratoria, a conseguire il risultato di provocare la completa rimozione del valore del documento, eliminandone, oltre all’efficacia sua propria, qualsiasi ulteriore effetto attribuitogli, sotto altro aspetto, dalla legge, e del tutto a prescindere dalla concreta individuazione dell’autore della falsificazione” (Cass. n. 8362/2000; Cass. n. 18323/2007).
E’ evidente che si tratta di procedimento del tutto diverso dal procedimento penale per reati di falso, destinato invece proprio ad individuare l’autore della falsificazione.
L’articolo 39 (Sospensione del processo) D.Lgs. 31.12.1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario) dispone quanto segue :
1. Il processo è sospeso quando è presentata querela di falso o deve essere decisa in via pregiudiziale una questione sullo stato o la capacità delle persone, salvo che si tratti della capacità di stare in giudizio.
1-bis. La commissione tributaria dispone la sospensione del processo in ogni altro caso in cui essa stessa o altra commissione tributaria deve risolvere una controversia dalla cui definizione dipende la decisione della causa.
1-ter. Il processo tributario è altresì sospeso, su richiesta conforme delle parti, nel caso in cui sia iniziata una procedura amichevole ai sensi delle Convenzioni internazionali per evitare le doppie imposizioni stipulate dall’Italia ovvero nel caso in cui sia iniziata una procedura amichevole ai sensi della Convenzione relativa all’eliminazione delle doppie imposizioni in caso di rettifica degli utili di imprese associate n. 90/463/CEE del 23 luglio 1990.
Appare parimenti evidente che la norma si riferisce al procedimento previsto dal Codice di Procedura Civile, né l’effetto sospensivo può essere esteso al procedimento penale, non soccorrendo in tal senso alcun elemento per una interpretazione estensiva in via analogica della norma appena citata.
Come affermato dalla Corte di Cassazione (Sez. 6-5, Sentenza n. 12008 del 28/05/2014) In tema di contenzioso tributario, l’art. 39 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (secondo cui “il processo è sospeso quando è presentata querela di falso o deve essere decisa in via pregiudiziale una questione sullo stato o la capacità delle persone, salvo che si tratti della capacità di stare in giudizio”) attiene ai rapporti tra giurisdizione tributaria ed ogni altra giurisdizione, ordinaria o amministrativa, e pone una deroga – in ipotesi predeterminate – al criterio secondo il quale le questioni pregiudiziali sono risolte, “incidenter tantum”, dal giudice munito di giurisdizione sulla domanda. Ne consegue che il processo tributario non può essere sospeso in ragione della ritenuta necessità della risoluzione di ulteriori e diverse questioni ravvisate pregiudiziali, che sono devolute, di regola, alla cognizione del giudice ordinario o di quello amministrativo, dovendo, invece, il giudice tributario procedere alla definizione della controversia sottoposta al suo esame, previa risoluzione, “incidenter tantum”, delle suddette questioni.
L’istanza di sospensione va pertanto respinta.
La sentenza di primo grado deve essere per l’effetto integralmente confermata in quanto sorretta da motivazioni in fatto e diritto pienamente condivise dalla Commissione.
Tutte le considerazioni che precedono devono ritenersi assorbenti di ogni altra deduzione ed eccezione dalle parti sollevate.
La parte soccombente va condannata al pagamento delle spese di giudizio, che si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. 30/05/2002 n. 115 (T.U. in materia di spese di giustizia) si da atto della sussistenza dei presupposti ivi specificati.
P.Q.M.
Definitivamente pronunciando, sull’appello proposto da D.L.A.I. e C. s.a.s., D.L.A. e D.L.A.I., così provvede:
– Rigetta l’appello;
– Condanna le appellanti al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in euro 2.100;
– Dichiara le appellanti tenute al pagamento di una ulteriore somma pari a quella già versata a titolo di C.U.T.
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