COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE ABRUZZO – Sentenza 18 giugno 2021, n. 478
Tributi – Procedura di collaborazione volontaria – Voluntary Disclosure-bis – Art. 7 del D.L. 193/2016 – Impugnazione, integrabilità, modificabilità – Esclusione
La materia del contendere, in questa sede, è delimitata alla richiesta di rimborso dell’E. così come evidenziato nei motivi dell’appello presentati dall’A.F. e dalle controdeduzioni della parte privata. Sul punto va preliminarmente osservato che: l’E. è operata dagli Istituti di Credito – quale ritenuta alla fonte – sugli interessi corrisposti, dalle Banche di alcune Nazioni, sul risparmio transfrontaliero nei confronti di beneficiari effettivi persone fisiche domiciliate in un Paese della UE. Il prelievo alla fonte con aliquota determinata nella misura del 35% consegue all’applicazione della Direttiva 2003/48/CE “Direttiva risparmio” approvata per regolamentare lo scambio automatico d’informazioni tra amministrazioni finanziarie e Paesi che rientrano nella UE.
La Direttiva, 2015/2060/UE ha soppresso, con decorrenza 01/01/2016, la citata direttiva 2003/48/CE, di talché lo scambio automatico d’informazioni internazionali in materia tributaria tra i 28 Paesi UE e la Svizzera viene effettuato come disposto dall’art. 28 della Legge Europea n. 122 del 07/07/2016.
Nel contesto di tali mutazioni la Legge nazionale 186/2014 ha previsto la sanatoria delle violazioni commesse fino al 30/10/2014: a seguito delle modifiche del 2015 e 2016 l’art. 7 del D.L. 193/2016 della procedura di collaborazione volontaria – Voluntary Disclosure bis – ha esteso la sanatoria alle violazioni commesse tra il 24/10/2016 e il 31/07/2017. La norma sul “ravvedimento” è stata concepita per incentivare la regolarizzazione dei beni e dei capitali, illecitamente detenuti all’estero, non indicati nella dichiarazione.
Il diniego dell’A.F. – con il silenzio rifiuto u0097 alla richiesta di rimborso presentata il 21/06/2017 riferito alle annualità 2013, 2014, 2015 è stato impugnato dal contribuente al fine di ottenere, con il contenzioso che ci occupa, la restituzione della ritenuta in parola operata dall’Istituto di Credito sugli interessi percepiti che, a suo dire, avendo presentato e definito la V.D. si è determinata la “doppia imposizione”. Dagli atti di causa si rileva che il diniego dell’A.F. va sintetizzato in quattro motivi.
1) Avendo aderito alla V.D. e perfezionato l’accordo, con il pagamento dell’imposta, il contribuente ha definitivamente chiuso la propria posizione fiscale.
2) Per non aver la parte evidenziato, nelle relative dichiarazioni, i proventi dei redditi percepiti all’estero.
3) Per aver usufruito dell’anonimato fiscale con l’opzione dell’applicazione dell’E.
4) Essere incorsa, la parte, nella decadenza del diritto per tardività della richiesta di restituzione delle somme presentata oltre il biennio dal momento dell’effettivo versamento delle ritenute ex art. 21 D. Lgs 546/92.
Il ricorrente con rituale memoria ha contestato le motivazioni dell’ufficio. Il Giudice di primo grado ha accolto il ricorso avendo ritenuto che l’adesione alla V.D. determina il pagamento di tutte le imposte sugli investimenti e capitali detenuti all’estero per cui il pagamento dell’E., avvenuto in precedenza, determina una doppia imposizione e in conseguenza ne sussiste il presupposto: il temine biennale decorre, afferma sempre il primo Giudice, dal momento del pagamento effettuato a seguito dell’avvenuta collaborazione volontaria.
L’Agenzia ha impugnato la sentenza in parola ed ha eccepito con le motivazioni difensive il riconoscimento delle proprie ragioni. Il contribuente con controdeduzioni del 12/04/2021 ha respinto tutti i motivi dell’appello inerenti la procedura della V. D., l’assenta violazione dell’art. 165, comma 8, del TUIR e la presunta tardività della richiesta di rimborso, ritenendo che l’adesione in parola legittima la richiesta di rimborso in quanto la ritenuta è stata operata dall’Istituto Bancario con la presunta violazione del principio della “doppia imposizione”. Motivazione della sentenza L’appello va accolto. La Commissione osserva che l’istanza di rimborso dell’E., di cui alla citata direttiva 2003/48/CE soppressa dalla direttiva 2015/2060/UE, non è proponibile perché l’opposizione presentata contro il rifiuto dell’A.F. costituisce l’impugnazione della collaborazione volontaria. In particolare, nel caso che ci occupa, il contribuente ha aderito alla procedura di adesione volontaria con la consapevolezza di non aver ottenuto lo scomputo dell’E. e con la manifestata acquiescenza all’atto di liquidazione notificato dall’Ufficio.
L’art. 5 quater del DL 167/90 introdotto dall’art. 1 L. 186/2014 dispone il rinvio alle norme in materia di accertamento con adesione che prevedono l’invito al contraddittorio e l’obbligatoria adesione alle condizioni evidenziate nell’invito medesimo di cui al D. Lgs. 218/97.
Sul punto è appena il caso evidenziare che l’art. 2, comma 3, del D. Lgs 218/97 dispone tassativamente che «l’accertamento definito con adesione non è soggetto ad impugnazione, non è integrabile o modificabile da parte dell’ufficio». In merito la Corte di Cassazione ha stabilito che «in tema di imposta sui redditi, poiché avverso l’accertamento definito per adesione è preclusa ogni forma d’impugnazione, devono ritenersi improponibili anche le istanze di rimborso in quanto esse costituirebbero una surrettizia forma d’impugnazione dell’accertamento in questione che, invece, in conformità alla ratio dell’istituto, deve ritenersi intangibile» (Ordinanza n. 13478/2020; n. 18925/2018): conseguentemente la definizione di ogni rapporto tra contribuente e fisco in ordine anche alla collegata infedeltà delle dichiarazioni tributarie rende improponibile l’accoglimento di istanza di rimborso: la V.D. è senz’altro integralmente assimilabile, come precisato, alla procedura dell’accertamento con adesione – a cui il contribuente ha prestato acquiescenza. Va altresì accolta l’eccezione dell’Ufficio inerente il contenuto dell’art. 165, comma 8, TUIR che così dispone: “la detrazione non spetta in caso di omessa presentazione della dichiarazione o di omessa indicazione dei redditi prodotti all’estero nella dichiarazione presentata“. Pertanto il versamento della ritenuta può essere invocato solo dai contribuenti che hanno presentato la dichiarazione. Ed invero, solo quando la dichiarazione dei redditi indica il reddito prodotto all’estero può essere effettuata la verifica, da parte dell’ufficio, della sussistenza dell’imposizione cioè l’importo pagato all’estero a titolo di ritenuta, e l’eventuale altra imposta versata in Italia in sede di dichiarazione.
Nel caso che ci occupa il contribuente ha omesso l’indicazione nella dichiarazione dei redditi prodotti all’estero per cui la detrazione non spetta comunque: l’omissione è stata sanata con il perfezionamento della V.D., che costituisce l’elemento caratterizzante del riconoscimento della legittimità ed irreprensibilità dell’operato dell’ufficio, senza più alcun pregiudizio fiscale. Perfezionata la procedura tramite liquidazione dell’importo, è preclusa per l’A.F. la possibilità di modifica o integrazione del reddito accettato dal contribuente in sede di contraddittorio, così come viene esclusa per il contribuente, sempre in considerazione dei contenuti dell’invito in parola, la possibilità di impugnarlo presentando istanza di rimborso e conseguente ricorso.
Resta assorbito quant’altro eccepito.
P.Q.M.
In riforma della sentenza del primo giudice accoglie l’appello, e condanna la parte appellata al pagamento delle spese dei due gradi di giudizio che si quantificano in € 4.000,00 per il primo grado ed € 4.300,00 per questo grado di giudizio.
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