COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE ABRUZZO – Sentenza 28 novembre 2017, n. 1082
Consorzio – Produzione di energia elettrica per l’erogazione ai propri soci consorziati – Accise
Motivi della decisione
1. Con istanza del 4-6-2014 la F. scpa (già Consorzio Fortore Energia) allegava che era un consorzio di autoproduzione ai sensi dell’art. 2 del d.lgs. 16-3-1999 n. 79, che si occupava della produzione di energia elettrica per l’erogazione ai propri soci consorziati, che era beneficiaria della esenzione dal pagamento dell’accisa di cui all’art. 52 comma 3 lettera b del TUA sull’energia elettrica consumata (d.lgs. 504/1995), che aveva sempre operato in esenzione da accisa per l’energia elettrica autoprodotta e messa a disposizione dei propri soci consorziati, che in data 13-12-2013 la Direzione Centrale della Agenzia delle Dogane aveva fornito chiarimenti sulla applicazione della predetta esenzione, che la F., pur non condividendo tali chiarimenti, aveva però deciso di versare a partire dal 2014 l’accisa, che aveva versato le somme di € 4.683,82 ed € 3.012,22. Pertanto, la F. chiedeva il rimborso della somma di € 7.696,04 indebitamente versata da gennaio a maggio 2014.
2. In data 7-4-2015 l’Agenzia delle Dogane emetteva provvedimento di diniego del rimborso, secondo le disposizioni di cui alla nota del 13-12-2013.
3. Avverso tale diniego presentava ricorso la F..
4. Resisteva l’Agenzia delle Dogane con proprie controdeduzioni.
5. Con sentenza pronunciata in data 22-2-2017 la Commissione Provinciale Tributaria accoglieva il ricorso, evidenziando che la società aveva impostato la sua attività in base ai provvedimenti di autorizzazione emessi dalla Agenzia delle Dogane, che la società aveva sempre ritenuto che la nozione di “autoproduttore” di energia dovesse interpretarsi ai sensi del combinato disposto dell’art. 2 del d.lgs. 79/1999 e dell’art. 52 comma 3 lettera b del d.lgs. 504/1995, che la nota dell’Agenzia 439/2013 era stata pubblicata solo nel mese di luglio del 2014, che non poteva avere applicazione retroattiva, che non erano state revocate le precedenti autorizzazioni, che la tutela dell’affidamento incolpevole derivava dall’art. 10 comma 2 della legge 212/2000, che la tutela coinvolgeva anche elementi dell’imposizione diversi da sanzioni e quindi anche ai tributi, che il comportamento dell’ufficio non legittimità la pretesa fiscale, che doveva procedersi al rimborso.
6. Avverso tale sentenza presentava appello l’Agenzia delle Dogane chiedendo la riforma della pronuncia.
7. Si costituiva la F. scpa chiedendo il rigetto del gravame.
8. All’udienza del 23 novembre 2017 la Commissione Tributaria Regionale, dopo la discussione, tratteneva la causa a decisione, provvedendo successivamente al deposito della motivazione.
9. L’appello è fondato.
10. Con il primo motivo di impugnazione l’appellante contesta la prima decisione perché la società F. aveva presentato richiesta di rimborso di somme per le quali vi era stata l’adesione all’istituto del ravvedimento, sicché ne derivava la successiva impossibilità di sollevare eccezioni e formulare istanze di rimborso. Su tale questione sollevata dalla Agenzia in prime cure vi è stata omessa pronuncia.
10.1. Tale motivo è fondato.
Effettivamente, la Commissione Tributaria Provinciale non ha pronunciato sull’eccezione sollevata dall’Agenzia delle Dogane.
Invero, per la Suprema Corte, in tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, l’istituto del ravvedimento operoso, introdotto dall’art. 13 del d.lgs n. 472 del 1997, implicando riconoscimento della violazione e della ricorrenza dei presupposti di applicabilità della sanzione, rappresenta una scelta del contribuente per il pagamento della sanzione in misura ridotta, sicché non può essere invocato per ottenere il rimborso di quanto corrisposto, ai sensi dell’art. 5 del d.lgs. n. 472 del 1997 o ai sensi dell’art. 10 della l. n. 212 del 2000, poiché tali disposizioni si applicano esclusivamente nel caso di sanzioni imposte dalla Amministrazione (Cass. Civ., 30 marzo 2016, n. 6108).
Le Sezioni Unite della Cassazione, richiamate dalla sentenza suddetta, hanno confermato tale indirizzo, affermando che, in tema di condono fiscale e con riferimento alla definizione automatica prevista dall’art. 9 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, la presentazione della relativa istanza preclude al contribuente ogni possibilità di rimborso per le annualità d’imposta definite in via agevolata, ivi compreso il rimborso di imposte asseritamente inapplicabili per assenza del relativo presupposto – nella specie, IVA ritenuta deducibile in quanto la società contribuente esercitava attività medica in regime di esenzione il condono, infatti, in quanto volto a definire transattivamente la controversia in ordine all’esistenza di tale presupposto, pone il contribuente di fronte ad una libera scelta fra trattamenti distinti, quali coltivare la controversia nei modi ordinari, conseguendo eventualmente il rimborso delle somme indebitamente pagate, o corrispondere quanto dovuto per la definizione agevolata, senza possibilità di riflessi o interferenze con quanto eventualmente già corrisposto in via ordinaria (Cass. Civ., Sez. Un., 5 giugno 2008, n. 14828).
11. Con il secondo motivo di impugnazione l’appellante rileva che l’applicazione del principio di tutela dell’affidamento del contribuente non poteva indurre ad elidere anche il tributo, oltre alle sanzioni.
11.1. Tale motivo è fondato.
Invero, per la Suprema Corte le circolari ministeriali in materia tributaria non costituiscono fonte di diritti ed obblighi, per cui, qualora il contribuente si sia conformato ad una interpretazione erronea fornita dall’amministrazione in una circolare, è esclusa soltanto l’irrogazione delle relative sanzioni, in base al principio di tutela dell’affidamento, come espressamente sancito dall’art. 10 comma 2 della legge 212/2000, senza alcun esonero dell’adempimento dell’obbligazione tributaria, secondo le modalità stabilite dalla legge che la disciplina (Cass.Civ., 3 luglio 2013, n. 16692; Cass. Civ., 13 ottobre 2011, n. 21070).
L’esenzione non può essere concessa dalle eventuali autorizzazioni amministrative, ma soltanto se sono presenti le condizioni previste dalla legge.
12. Con il terzo motivo di impugnazione l’Agenzia delle Dogane critica la prima decisione in quanto deve trovare applicazione l’art. 52 comma 3 del TUA e non il d.l. 79/2009.
12.1. Tale motivo è fondato.
Invero, l’art. 52 del d.lgs. 26-10-1995 n. 504 prevede al comma 3 che “è esente dall’accisa l’energia elettrica: ….b) prodotta con impianti azionati da fonti rinnovabili ai sensi della normativa vigente in materia, con potenza disponibile superiore a 20 KW, consumata dalle imprese di autoproduzione in locali o in luoghi diversi dalle abitazioni”.
Nella circolare della Agenzia delle Dogane del 13-12-2013 (prot. 130439) si spiegano con precisione le caratteristiche necessarie per ottenere l’esenzione sull’accisa. In particolare, secondo la circolare, occorrono quattro presupposti che devono sussistere contemporaneamente:a) energia elettrica prodotta con impianti azionati da fonti rinnovabili; b) potenza degli impianti superiore a 20 KW; c) energia elettrica consumata dalle imprese di autoproduzione; d)consumi effettuati in locali e luoghi diversi dalle abitazioni.
Si legge nella circolare che “in buona sostanza l’autoproduttore non è altro che un consumatore finale che anziché acquistare energia elettrica di cui necessita per la propria attività, la produce, in tutto o in parte, da se medesimo; è agevolata dalla norma tutta l’energia elettrica prodotta e consumata dallo stesso autoproduttore; non è agevolata dalla norma la parte di energia elettrica prodotta che non viene consumata dallo stesso produttore. In linea generale, per energia elettrica “autoprodotta” è sempre stata intesa quell’elettricità prodotta per proprio uso e non per scopo di rivendita, per cui l’autoproduttore è quel soggetto che esercita un’officina elettrica per alimentare consumi necessari a proprie esigenze”.
Nella circolare si aggiunge che “ne deriva che il predetto soggetto autoproduttore è tale rispetto al consumo per uso proprio dell’energia elettrica da lui prodotta, mentre per l’energia elettrica prodotta in surplus rispetto ai propri fabbisogni e, quindi, ceduta a terzi, non può essere considerato autoproduttore, né l’energia elettrica ceduta rientrare nel novero di quella auto consumata. Conseguentemente, in presenza di cessione, a qualunque titolo, ad altri consumatori finali, il predetto soggetto assume la veste di fornitore ed è quindi obbligato ai conseguenti adempimenti fiscali e al pagamento dell’accisa sull’energia elettrica che ha fornito a terzi consumatori in relazione agli usi cui sarà destinata presso quest’ultimi….”.
Si chiarisce ancora che “in tale contesto, è del tutto irrilevante la questione dell’applicabilità o meno della definizione di autoproduttore di cui al decreto legislativo n. 79 del 1999 (cd Decreto Bersani) ai fini del regime impositivo delle accise … rispondendo il citato decreto legislativo a diverse finalità di regolazione del mercato interno dell’energia elettrica”.
Non può, allora, trovare applicazione l’art. 2 del d.lgs. 79 del 16-3-1999 che dispone che “agli effetti del presente decreto si applicano le definizioni di cui ai seguenti commi. Autoproduttore è la persona fisica o giuridica che produce energia elettrica e la utilizza in misura non inferiore al 70 % annuo per uso proprio ovvero per uso delle società controllate, della società controllante e delle società controllate dalla medesima controllante, nonché per uso dei soci delle società cooperative di produzione e distribuzione dell’energia elettrica…, degli appartenenti ai consorzi o società consortili costituiti per la produzione di energia elettrica da fonti energetiche rinnovabili.
Tale ultima disposizione, quindi, proprio per la sua “settorialità” non può trovare applicazione nel settore tributario.
Sul punto la Suprema Corte ha ritenuto che, in tema di addizionale all’imposta sul consumo di energia elettrica, l’art. 6 del d.l. 28 novembre 1988, n. 511, convertito in legge 27 gennaio 1989, n. 20, nel testo vigente per il periodo dal 1 gennaio 2000 al 31 dicembre 2003, prevede l’esenzione dalle addizionali locali soltanto in relazione all’energia elettrica autoprodotta ed impiegata per uso proprio, statuendo espressamente che essa si applica nel caso di esercizio delle attività di produzione, trasporto e distribuzione di energia elettrica, e non può, pertanto, intendersi riferita anche all’energia proveniente da un consorzio autoproduttore ed utilizzata da impresa aderenti al consorzio, in quanto persone giuridiche diverse dal produttore (Cass. Civ., 12 settembre 2008, n. 23529).
In particolare, con riferimento alle addizionali locali, l’art. 24 comma 7 del d.l. 55/1983 prevedeva che “le esenzioni vigenti per l’imposta erariale sul consumo dell’energia elettrica si estendono alle addizionali. È esclusa dall’addizionale l’energia elettrica prodotta ed impiegata per uso proprio delle imprese autoproduttrici”.
Il d.l. n. 511/1988 disciplinava in modo analogo le esenzioni dalla addizionale prevista in favore dei comuni e delle province, prevedendo che “le esenzioni vigenti per l’imposta erariale sul consumo dell’energia elettrica non si estendono alle addizionali di cui al secondo comma; sono tuttavia esenti i consumi per l’illuminazione pubblica e per l’esercizio delle attività di produzione, trasporto e distribuzione di energia elettrica”.
Si legge in motivazione che “come chiaramente si evince dalla lettura delle due norme succedutesi nel tempo, l’esenzione dalle addizionali locali sono previste, seppure con espressioni linguistiche diverse, solo per l’energia elettrica autoprodotta ed impiegata per uso proprio … conseguentemente non appare condivisibile la tesi su cui insiste parte ricorrente di volere usufruire delle esenzioni in questione anche per quella parte di energia che autoprodotta dal consorzio … sia stata poi usata dagli altri consorziati, i quali, circostanza incontroversa tra le parti, sono persone giuridiche diverse con differente denominazione sociale e che acquisiscono energia elettrica non in ragione della quota associativa ma in base agli effettivi consumi necessari per la loro attività con contratti di fornitura, per cui legittimamente l’Agenzia delle dogane da sottoposto alle addizionali locali il consumo dell’energia trasferita agli altri consorziati”.
La Suprema Corte ha anche ritenuto inapplicabile al settore tributario l’art. 2 del d.lgs. n. 79/1999 (decreto Bersani), “non potendo influire sulla regolamentazione della presente fattispecie una definizione contenuta in una legge diretta a scopi diversi da quelli perseguiti dalla normativa tributaria, essendo il d.lgs. n. 79/1999 finalizzato a regolare il mercato interno dell’energia elettrica ed i comportamenti dei principali operatori, restando la materia fiscale estranea a tale normativa”.
La motivazione di tale pronuncia è stata confermata dalla successiva sentenza della Suprema Corte 9-4-2014, n. 8293.
Tra l’altro, in tema di agevolazioni tributarie, il beneficio della riduzione alla metà dell’imposta sul reddito delle persone giuridiche previsto dall’art. 105 del d.P.R. 6 marzo 1978 n. 218 nei confronti delle imprese che si costituiscono in forma societaria per la realizzazione di nuove iniziative produttive nel territorio del Mezzogiorno d’Italia, non trova applicazione nelle ipotesi di rinnovo, conversione ed ampliamento di opifici già esistenti, non essendo detta norma, di natura eccezionale, suscettibile di interpretazione analogica o estensiva, a meno che l’innovazione o trasformazione di un opificio o azienda esistente sia talmente pregnante da svolgere, in correlazione con la nuova forma societaria richiesta dal citato art. 105, effetti comparabili a quelli di un nuovo stabilimento industriale (Cass. Civ., 23 ottobre 2003, n. 15936).
Non v’è dubbio, peraltro, che trattasi di società consortile, che ha una propria autonomia giuridica e patrimoniale rispetto ai soci consorziati ai sensi dell’art. 2615 ter c.c..
Nello statuto della società si legge “è costituita a norma dell’art. 2615 ter c.c. una società consortile per azioni sotto la denominazione F. scpa”.
Nessuna norma dello statuto deroga alla disciplina delle società per azioni. Invero, l’art. 2615 ter c.c. dispone che “le società previste nei capi III e seguenti del titolo V possono assumere come oggetto sociale gli scopi indicati nell’art. 2602. In tal caso l’atto costitutivo può stabilire l’obbligo dei soci di versare contributi in denaro”. Pertanto, si ritiene che le società commerciali ordinarie possono assumere gli scopi caratteristici dei consorzi, ma lasciando inalterata la struttura societaria ordinaria. L’attributo consortile non integra l’emersione di un tipo societario sui generis, ma configura una peculiarità dello scopo sociale che, in deroga al limite previsto dall’art. 2247, consente a queste società di perseguire le finalità caratteristiche dei consorzi.
Pertanto, lo statuto di una spa consortile non può contenere clausole incompatibili con la disciplina tipica di una società per azioni, suscettibili di snaturare la forma e la struttura del tipo, al di là dei limiti consentiti dal particolare scopo della società stessa.
I soci delle società consortili rispondono delle obbligazioni sociali nei limiti delle rispettive quote di partecipazione e non oltre (Trib. Alba, 5 giugno 1997m Le società, 1997, 1181; Trib. Napoli, 1 luglio 2004, Giur. Comm., 2006, II, 1181).
Per la Suprema Corte, infatti, alla società consortile a responsabilità limitata costituita per l’esecuzione delle opere pubbliche appaltate alle imprese consorziate, pur se già riunite in raggruppamento temporaneo di imprese, si applica la regola dettata dall’art. 2462, comma 1, c.c., in virtù della quale nella società a responsabilità limitata per le obbligazioni sociali risponde soltanto la società con il suo patrimonio. Invero, in caso di consorzio costituito in forma di società di capitali, la causa consortile giustifica la deroga delle norme che disciplinano il tipo di società scelto, ma non anche a quelle che fissano le regole fondamentali del tipo; e la personalità giuridica propria delle società di capitali costituisce un diaframma tra i singoli soci e i terzi creditori della società, che è il tratto essenziale della disciplina “in subiecta materia” (Cass. Civ., 19 aprile 2016, n. 7734; Cass. Civ., 23 marzo 2017, n. 7473).
Inoltre, si è affermato che i consorzi con attività esterna, svolgendo attività ausiliaria per conto delle imprese consorziate, costituiscono, nei confronti dei terzi, autonomi centri di imputazione di rapporti giuridici e di responsabilità e, pertanto, attesa la disciplina specificamente dettata dal codice civile, che attiene al sistema di pubblicità legale relativo alla struttura organizzativa (art. 2612), alla rappresentanza in giudizio (art. 2613), al fondo comune (art. 2614) e, soprattutto, alla responsabilità nei confronti dei terzi (art. 2615), nonché il processo di assimilazione alle società per azioni, evincibile dalla parziale estensione della disciplina di dette società (art. 2615 bis aggiunto dall’art. 4 della legge 10 maggio 1976, n. 377), partecipano della stessa natura degli imprenditori commerciali consorziati e sono assoggettabili a fallimento ai sensi dell’art. 1 legge fall. (Cass. Civ., 16 dicembre 2013, n. 28015).
12.2. Non v’è stata poi alcuna risposta ad un interpello specifico formulato dalla società ai sensi dell’art. 11 della legge 212/2000, mentre l’Agenzia delle Dogane si è limitata al rilascio delle autorizzazioni, senza che in tal modo restasse preclusa la possibilità di esigere il pagamento delle imposte e di ritenere poi inoperante l’esenzione richiesta.
Né può operare, a questi fini, il principio della unitarietà dell’ordinamento giuridico, in quanto il d.lgs. 79/1999 rappresenta solo una norma di settore, relativa ad altro ambito applicativo, essendo ben delineata l’esenzione dall’art. 52 del d.lgs. 504 del 1995.
13. Stante la complessità e la novità della questione trattata ed i contrasti interpretativi anche presenti in giurisprudenza vanno compensate integralmente le spese dei due gradi di giudizio.
14. La decisione del merito assorbe ogni questione sulla istanza di sospensione.
P.Q.M.
Definitivamente pronunciando in contraddittorio delle parti costituite sull’appello proposto dalla Agenzia delle Dogane nei confronti della F. scpa, avverso la sentenza pronunciata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Pescara n. 214 del 22-2-2017, così provvede:
1. Accoglie l’appello e conferma il provvedimento di diniego del rimborso emesso dalla Agenzia delle Dogane.
2. Compensa interamente tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 12 novembre 2019, n. 29169 - In tema di accise sull'energia elettrica, la società consortile che autoproduce energia elettrica da fonte rinnovabile, con impianti dalla potenza disponibile superiore a 20 kw, beneficia…
- Corte di Cassazione, ordinanza n. 20088 depositata il 13 luglio 2023 - In tema di accise sull’energia elettrica, la società consortile che autoproduce energia elettrica da fonte rinnovabile, con im- pianti dalla potenza disponibile superiore a 20 kW,…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 11 settembre 2020, n. 18863 - Rientrano nell'esenzione delle Accise i soci delle società cooperative di produzione e distribuzione dell'energia elettrica, ma non estendendo l'esenzione agli appartenenti ai consorzi o…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 11 settembre 2020, n. 18858 - L'esenzione prevista dall'art. 52, comma 3, lett. b), T.U. Accise, con riferimento all'energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili, è limitata all'utilizzazione che fa dell'energia…
- CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 21 luglio 2020, n. 15506 - Le imposte addizionali sul consumo di energia elettrica di cui all'art. 6, comma 3, del di. n. 511 del 1988 (nel testo applicabile ratione temporis) sono dovute, al pari delle accise, dal…
- Corte di Cassazione ordinanza n. 31609 depositata il 25 ottobre 2022 - Le imposte addizionali sul consumo di energia elettrica alla medesima stregua delle accise, sono dovute, al momento della fornitura dell'energia elettrica al consumatore finale, dal…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- E’ onere del notificante la verifica della c
E’ onere del notificante la verifica della correttezza dell’indirizzo del destin…
- E’ escluso l’applicazione dell’a
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 9759 deposi…
- Alla parte autodifesasi in quanto avvocato vanno l
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con la sentenza n. 7356 depositata il 19…
- Processo Tributario: il principio di equità sostit
Il processo tributario, costantemente affermato dal Supremo consesso, non è anno…
- Processo Tributario: la prova testimoniale
L’art. 7 comma 4 del d.lgs. n. 546 del 1992 (codice di procedura tributar…