COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE ABRUZZO – Sentenza n. 303 depositata il 12 maggio 2022
Tributi – IRPEF – Riscatto posizione individuale dal Fondo di previdenza complementare “PREVINDAI” – Soggetto residente in Svizzera – Rimborso ritenute – Applicazione art. 18 Convenzione Italia-Svizzera
1. In controversia relativa ad impugnazione del provvedimento dell’Agenzia delle entrate; Centro operativo di Pescara, di diniego del rimborso di complessivi 38.083,47 euro chiesto sulla base della Convenzione Italia Svizzera da M., residente in Svizzera, con riferimento alle ritenute operate alla fonte dal Fondo di previdenza complementare “PREVINDAI” sull’importo di 222.878,18 euro corrisposto al predetto contribuente nell’anno 2016 a seguito del riscatto della propria posizione individuale, con la sentenza n. 19/01/2021, depositata in data 05/02/2021, la CTP di Pescara rigettava il ricorso del contribuente sostenendo che lo stesso non aveva dato prova di risiedere in Svizzera; che aveva dichiarato in Italia il reddito derivante dal riscatto del fondo di previdenza scomputando le ritenute subite, evidenziando conseguenti crediti d’imposta; che in ogni caso l’importo riscattato non aveva natura previdenziale, ma di retribuzione differita, come tale rientrante nell’ambito applicativo dell’art. 15 della Convenzione tra l’Italia e la Svizzera ratificata con legge n. 943 del 1978.
2. Avverso tale statuizione ha proposto appello il contribuente il quale ha dedotto tre motivi.
3. Con il primo articolato motivo di impugnazione il M. censura la sentenza di primo grado nella parte in cui ha ritenuto che lo stesso non avesse residenza in Svizzera.
4. Con il secondo motivo deduce l’erroneità della sentenza impugnata per avere la CTP negato il diritto al rimborso in ragione dell’asserito beneficio di crediti d’imposta in sede di dichiarazione dei redditi presentata in Italia.
5. Con il terzo motivo censura la sentenza di prime cure per avere la CTP ritenuto che il reddito percepito dal contribuente costituisse reddito di lavoro dipendente e non previdenziale e pertanto rientrasse nell’ambito applicativo dell’art. 15 e non in quello dell’art. 18 o dell’art. 21 della predetta Convenzione.
6. Ha chiesto quindi la riforma dell’impugnata sentenza con vittoria di spese del doppio grado di giudizio.
7. Si è costituita con controdeduzioni l’Agenzia delle entrate, Centro operativo di Pescara, che ha chiesto il rigetto dell’appello con vittoria di spese processuali.
8. L’appellante ha depositato memoria.
9. All’esito della camera di consiglio, questa Commissione ha deciso la causa come da dispositivo in calce.
Motivi della decisione
1. Il primo motivo, con cui il M. ha censurato la sentenza di primo grado nella parte in cui ha ritenuto che lo stesso non avesse residenza in Svizzera. è fondato e va accolto.
2. Al riguardo deve ricordarsi che «l’art. 2, comma 2 bis, del TUIR (aggiunto dalla L. 23 dicembre 1998, n. 448, art. 10, comma 1), dispone che “si considerano altresì residenti, salvo prova contraria, i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente ed emigrati in Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato, individuati con decreto del Ministro delle finanze…”. Tale norma prevede una presunzione relativa di residenza per i cittadini italiani che trasferiscono la propria residenza o il proprio domicilio in Paesi a fiscalità privilegiata: al fine di essere esclusi dal novero dei soggetti residenti in Italia ricade su di essi l’onere di provare di risiedere effettivamente in quei Paesi o territori. In altri termini: avere la sede principale dell’attività, sicché il centro degli interessi vitali del soggetto va individuato dando prevalenza al luogo in cui la gestione di detti interessi viene esercitata abitualmente in modo riconoscibile dai terzi (Cass. 18 novembre 2011 n. 24246; Cass. 15 giugno 2010 n. 14434)».
3. Si è quindi affermato che «In tema di imposte dirette, le persone iscritte nell’anagrafe della popolazione residente si considerano, in applicazione del criterio di cui all’art. 2 del d.P.R. n. 917 del 1986, residenti in Italia e, pertanto, assoggettate alla relativa tassazione per tutti i redditi, ovunque prodotti, non assumendo peraltro rilevanza il trasferimento della residenza all’estero fino a quando non risulti la cancellazione del contribuente da detta anagrafe» (Cass. n. 16634 del 2018 che ha richiamato Cass. n. 21970 del 2015, nonché Cass. nn. 677/15, 14434/10, 9319/06).
4. Orbene, nel caso di specie il contribuente ha adeguatamente provato di essere residente in Svizzera fin dall’anno 2011, attraverso la produzione della comunicazione del Comune di Milano e della certificazione dell’Ufficiale dell’anagrafe del predetto Comune, di avvenuta iscrizione all’AIRE a decorrere dal 7 aprile 2011. Dal certificato emesso in data 08/08/2018 dal Dipartimento delle finanze e dell’economia del Canton Ticino e prodotto in giudizio dal M. (doc. n. 3 del fascicolo di primo grado) risulta altresì che lo stesso è fiscalmente residente in Svizzera dal 23/02/2011. Il M. ha anche documentalmente provato di essere proprietario di un’abitazione in Svizzera (doc. 8 prodotto in primo grado) e, quindi di avere ivi un’abitazione permanente, e di convivervi con la propria famiglia composta da moglie e due figli (doc. n. 9 e 10) e di avere ivi subito la tassazione delle somme per cui ha chiesto il rimborso (doc. 11).
5. Considerato, altresì, che l’Agenzia delle entrate nel costituirsi in questo grado di giudizio non ha neppure contestato la residenza svizzera del contribuente, essendosi limitata ad affermare nelle proprie controdeduzioni che la presente controversia non verte solo sulla residenza fiscale, deve, in buona sostanza, ritenersi che il M. abbia la residenza ed il proprio centro di interessi vitali in Svizzera.
6. Da ciò consegue che è del tutto superfluo esaminare la questione, pure dedotta nel motivo di appello, relativa all’inammissibilità dell’eccezione sollevata al riguardo in primo grado dall’Agenzia delle entrate, in quanto avente, secondo la tesi di parte appellante, natura di domanda riconvenzionale non ammessa nel giudizio tributario.
7. Deve a questo punto esaminarsi, per ragioni di ordine logico, il terzo motivo di appello con cui il M. ha censurato la sentenza di prime cure per avere la CTP ritenuto che il reddito percepito dal contribuente costituisse reddito di lavoro dipendente e non previdenziale e pertanto rientrasse nell’ambito applicativo dell’art. 15 e non in quello dell’art. 18 o dell’art. 21 della predetta Convenzione
8. Anche questo Motivo è fondato e va accolto.
9. Invero, diversamente da quanto sostiene l’Agenzia delle entrate appellata, le Sezioni Unite della Corte di cassazione, con sentenza n. 4684 del 9 marzo 2015, ponendosi in continuità con la sentenza della Corte costituzionale n. 421 del 1995, integrata dalla sentenza n. 178 del 2000, ha affermato che i contributi dei datori di lavoro al finanziamento dei fondi di previdenza integrativa, fin dalla istituzione di tali fondi, non possono definirsi emolumenti retributivi con funzione previdenziale ma costituiscono contribuzioni di natura strutturalmente previdenziale (nella stesso senso: Cass. 4 aprile 2013, n. 8228 e Cass. 14 giugno 2017, n. 14758), stante, in particolare, la mancanza di un nesso di corrispettività diretta fra contribuzione e prestazione lavorativa e la sostanziale autonomia tra rapporto di lavoro e previdenza complementare (in termini, Cass., Sez. U., n. 6928 del 2018 e più recentemente Cass., Sez. U., n. 16084 del 2021).
10. La natura previdenziale delle prestazioni di previdenza integrativa è stata poi confermata sempre dalle sezioni unite della Corte di cassazione nella sentenza n. 6347 del 2015, citata dallo stesso appellante.
11. Pertanto, nel caso di specie, stante la natura previdenziale dell’importo erogato al M. dal Fondo Previndai, deve farsi applicazione dell’art. 18 della richiamata Convenzione tra l’Italia e la Svizzera. Disposizione che prevede che «Fatte salve le disposizioni dell’articolo 19, le pensioni e le altre remunerazioni analoghe, pagate ad un residente di uno Stato contraente in relazione ad un cessato impiego, sono imponibili soltanto in questo Stato».
12. Orbene, poiché, come si è detto sopra, il M. è residente in Svizzera, è in questo Stato che va tassato l’importo percepito dal predetto contribuente nell’anno 2016 a seguito del riscatto della propria posizione individuale dal predetto Fondo, con la conseguenza che al medesimo spetta il rimborso della ritenuta alla fonte operata dal Fondo al momento dell’erogazione di quella somma, non essendo condivisibile la tesi di parte appellata, secondo cui da tale importo andrebbe detratto quanto maturato dal M. nel corso degli anni antecedenti al trasferimento all’estero, e ciò sul rilievo che la trattenuta è stata effettuata alla data di liquidazione dell’importo, ovvero nell’anno 2016, ancorché con riferimento alle somme anno per anno maturate (come risulta dal prospetto di liquidazione di cui all’allegato 4 del ricorso di primo grado).
13. Inoltre, con riferimento alla questione posta con il secondo motivo di appello, osserva la Commissione che dalla documentazione prodotta in giudizio risulta che il M., pur avendo usufruito in Italia di crediti di imposta (peraltro di esigui importi, pari ad euro 494,00 a titolo di IRPEF ed euro 613,00 a titolo di addizionale regionale IRPEF) in relazione ad una parte di quanto percepito dalla liquidazione del fondo, cha ha indicato nella dichiarazione reddituale, ha documentato di aver usufruito di un credito di imposta di soli euro 120,00, coperto dall’eccedenza di euro 280,00 riportata nel 2015. In ogni caso, l’inserimento in dichiarazione dell’importo richiesto a rimborso non è di ostacolo al rimborso stesso ove lo stesso risulti erroneamente dichiarato (Cass. n. 1862 del 2020, in motivazione).
14. Al riguardo, va comunque precisato che l’amministrazione finanziaria ben può, in sede di rimborso, detrarre dal rimborso dovuto l’importo di cui il contribuente abbia eventualmente beneficiato in sede dichiarativa per credito d’imposta.
15. Conclusivamente l’appello va accolto nei termini di cui appena si è detto, e la sentenza impugnata va integralmente riformata. L’Agenzia delle entrate va condannata al rimborso della somma richiesta dal M., detratti eventuali crediti d’imposta di cui abbia usufruito per effetto dell’inserimento di quell’importo in dichiarazione. L’Agenzia appellata, rimasta soccombente, va condannata, altresì, al pagamento delle spese processuali del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Accoglie l’appello e condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio che liquida in euro 3.000,00 per compensi per il primo grado ed euro 4.000,00 per compensi per il presente grado di giudizio, oltre al rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15 per cento dei compensi, agli esborsi e agli accessori di legge.
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