COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE BARI – Sentenza 07 ottobre 2013, n. 75
Processo tributario – Atti impugnabili – Interpello disapplicativo – Provvedimento di rigetto – Impugnabilità – Non sussiste
Svolgimento del processo
La società “F.A. s.r.l.”, costituita nel 1992 con sede in Acquaviva delle Fonti, è titolare dall’11/3/98 di una concessione mineraria, della durata di venti anni, per lo sfruttamento dell’acqua minerale della sorgente denominata “A.” sita in agro di Acquaviva delle Fonti su di un terreno limitrofo ad altro terreno di proprietà della stessa società.
Nell’aprile del 2009 la suddetta società presentava alla Direzione regionale della Puglia dell’Agenzia delle Entrate, per il tramite dell’ufficio di Gioia del Colle, un’istanza, ai sensi dell’art. 37 bis, comma 8, del DPR 600/73 e dell’art. 30, comma 4 bis, della L. 724/94, per la disapplicazione delle disposizioni dell’art. 30 della L. 724/94 ai fini IRES, IRAP ed IVA per l’anno d’imposta 2008.
Con tale istanza la società assumeva di non aver ancora avviato l’attività, consistente nell’estrazione di acqua minerale, ai fini dell’imbottigliamento e della vendita, a causa degli ingenti capitali necessari, al momento non disponibili, per la realizzazione dello specifico opificio indispensabile all’avvio di tale attività.
Il Direttore Generale, ritenuto che le circostanze addotte dalla società non costituissero situazioni oggettive idonee ad ottenere la disapplicazione della normativa sulle società di comodo di cui all’art. 30 della L. 724/94, rigettava l’istanza.
Avverso tale provvedimento la società ricorreva innanzi alla CTP di Bari chiamando in causa sia la Direzione Regionale della Agenzia delle Entrate che l’ufficio di Gioia del Colle.
La società ricorrente, dopo aver argomentato sulla ammissibilità del ricorso avverso tale tipo di provvedimento, sosteneva, nel merito, la illegittimità del diniego in quanto le ragioni addotte dalla società erano state rigettate senza motivazione. Ne chiedeva pertanto l’annullamento con vittoria di spese.
Si costituivano in giudizio sia la Direzione Regionale che l’Ufficio di Gioia del Colle sostenendo in primo luogo l’inammissibilità del ricorso avverso un atto non autonomamente impugnabile, sia perché non previsto dall’art. 19 del D.Lgs. 546/92 sia perché tale provvedimento non aveva valore dispositivo ma semplicemente consultivo. Nel merito, l’Ufficio assumeva che la società ricorrente non aveva rappresentato né documentato le asserite situazioni oggettive che avrebbero impedito la realizzazione dell’opificio, ed il conseguente raggiungimento dei ricavi minimi previsti dalla normativa antielusiva, nel notevole arco temporale trascorso dalla sua costituzione o comunque dall’ottenimento della concessione.
Chiedeva pertanto preliminarmente di dichiarare l’inammissibilità del ricorso; nel merito, di rigettarlo confermando la legittimità e fondatezza del provvedimento impugnato, con vittoria di spese.
La CTP, con sentenza 119/17/11, pronunciata il 10 novembre 2011, ritenuto ammissibile il ricorso, lo rigettava però nel merito compensando le spese del giudizio. Avverso tale decisione ha proposto appello la società, contro la Direzione Regionale e la Direzione Provinciale dell’Agenzia delle Entrate, per erronea ed insufficiente motivazione in ordine all’errata e falsa interpretazione della normativa prevista in materia di società di comodo e sulla natura della società deducente. Chiede pertanto che, in riforma della sentenza appellata, venga dichiarata la illegittimità e l’inefficacia del provvedimento di rigetto della istanza di interpello disapplicativo, con vittoria di spese.
Si sono costituite in giudizio, con separati atti di controdeduzioni ed appello incidentale, sia la Direzione Regionale che la Direzione Provinciale dell’A.E. impugnando la sentenza per non aver accolto l’eccezione di inammissibilità del ricorso introduttivo e, insistendo sulle deduzioni già svolte in primo grado, evidenziavano come la forma di tutela legittima del contribuente sia soltanto quella dell’impugnazione dell’avviso di accertamento emesso a seguito del mancato adeguamento da parte della società alle determinazioni contenute nel provvedimento di rigetto dell’istanza di disapplicazione. Infatti, assume l’Ufficio, non è ammissibile, alla luce del principio del ne bis in idem, che la stessa questione possa essere valutata in sede di ricorso avverso il rigetto dell’istanza di disapplicazione ed in sede di ricorso avverso l’accertamento con il rischio che si pervenga a giudicati diversi e contrastanti, proprio come è accaduto nel caso di specie. Infatti la CTP di Bari, con sentenza 165/19/11, ha accolto il ricorso della società avverso l’avviso di accertamento notificatole per l’anno 2008 che è oggetto anche del presente giudizio. Pertanto, per evidenti ragioni di connessione oggettiva e soggettiva, l’Ufficio chiede la riunione del presente procedimento a quello rubricato al numero di R.G.A. 2588/12, relativo all’appello dell’Ufficio avverso la sentenza della CTP di Bari che accoglieva il ricorso della società avverso gli avvisi di accertamento emessi per gli anni 2006, 2007 e 2008.
Nel merito l’Ufficio ribadisce che la dichiarata mancanza da parte della società degli ingenti capitali necessari, al momento non disponibili, risultando giustificazioni di carattere soggettivo legate a scelte e valutazioni imprenditoriali, non possono costituire una esimente al fine della disapplicazione della disciplina antielusiva che intende scoraggiare la permanenza in vita anche di quelle società che, pur non essendo state costituite per finalità elusive, sono prive di obiettivi imprenditoriali concreti ed immediati e non svolgono alcuna attività.
L’Ufficio chiede pertanto preliminarmente, in accoglimento dell’appello incidentale, di dichiarare inammissibile il ricorso della società; in subordine, nella denegata ipotesi che la Commissione ritenga ammissibile il ricorso ed il conseguente appello, di rigettarlo confermando la legittimità e fondatezza del provvedimento impugnato, con vittoria di spese.
Con successive memorie illustrative, la società appellante illustra che, come già evidenziato alla Regione Puglia, con la missiva del 15/3/2013, per le eventuali conseguenze circa la permanenza della concessione amministrativa, il mancato avvio dell’attività è dipeso anche dalle lungaggini burocratiche per ottenere le necessarie autorizzazioni. Ritiene quindi di aver dimostrato di non essere inattiva per cui nei suoi confronti non possono operare le presunzioni di reddito minimo, ai fini IRES, e di valore minimo di produzione, ai fini IRAP.
Insiste pertanto sulla richiesta di riforma della sentenza impugnata, con vittoria delle spese relative al doppio grado di giudizio.
Motivi della decisione
A seguito dell’appello incidentale dell’Ufficio, la questione pregiudiziale devoluta alla cognizione di questa Commissione è la natura del provvedimento di rigetto di cui trattasi e la sua suscettibilità ad essere autonomamente impugnabile. La decisione dei giudici di prime cure, secondo i quali risulterebbe acclarata la possibilità di ricorso alle Commissioni Tributarie avverso il diniego di disapplicazione della norma antielusiva, richiesta con istanza ai sensi dell’art. 37 bis, comma 8, del DPR 600/73, non può essere condivisa.
Questo Collegio ritiene invece che il ricorso introduttivo della società contribuente sia inammissibile, essendo stato proposto avverso un atto non autonomamente impugnabile, qual è appunto quello di rigetto di un interpello del contribuente.
E ciò non solo perché l’atto impugnato non è specificatamente indicato nell’elenco dei provvedimenti impugnabili contenuto nell’art. 19 del DPR 546/92, ma anche perché la risposta resa ad una istanza di interpello non ha un contenuto di carattere impositivo, sia dal punto di vista formale che sostanziale, tale da suscitare l’interesse immediato del destinatario ad insorgere giudizialmente contro di essa per evitare effetti lesivi della propria sfera giuridica.
Essa non comporta infatti la formalizzazione di alcuna pretesa tributaria, limitandosi a costituire un contributo interpretativo dell’Amministrazione cui il contribuente ha la facoltà di conformarsi o meno.
Né l’obbligatorietà dell’istanza di cui trattasi può mutare il carattere non vincolante del rigetto, né tanto meno preclude all’istante la possibilità di dimostrare, anche successivamente, la sussistenza delle condizioni che legittimano l’accesso al regime derogatorio.
Peraltro gli isolati riferimenti giurisprudenziali favorevoli alla tesi sostenuta dai primi giudici non si appalesano idonei ad inficiare la diversa e prevalente teoria della non autonoma impugnabilità.
Quindi l’unica forma di tutela legittima dell’interesse del contribuente, nella fattispecie, è quella dell’impugnazione dell’avviso di accertamento emesso a seguito del mancato adeguamento alle determinazioni contenute nel provvedimento di rigetto dell’istanza di disapplicazione.
Se così non fosse, potrebbe accadere che la stessa questione venga valutata in sede di ricorso avverso la risposta data all’istanza di disapplicazione ed in sede di ricorso avverso l’accertamento, con evidente violazione del principio del ne bis in idem e con il rischio che si pervenga a giudicati diversi e contrastanti.
Ciò che è esattamente accaduto proprio nel caso di specie, perché la CTP di Bari, con sentenza 165/19/11, ha accolto il ricorso della società ” F.A. s.r.l.” avverso l’avviso di accertamento emesso dall’ufficio, ai sensi dell’art. 30 della L. 724/94, per lo stesso anno 2008 oggetto del presente giudizio.
La dichiarata inammissibilità del ricorso preclude ogni decisione di merito relativamente all’appello principale della società contribuente.
Alla soccombenza deve conseguire la condanna al pagamento delle spese del giudizio.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso della contribuente in accoglimento dell’appello incidentale e condanna la contribuente al pagamento delle spese del doppio grado del giudizio che si liquidano in € 1.000,00, oltre accessori di legge.
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