COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE BARI – Sentenza 11 ottobre 2013, n. 68
Tributi – Accertamento – Reati tributari – Raddoppio dei termini di decadenza – Presupposto – Onere della prova a carico dell’Amministrazione Finanziaria
Fatto e svolgimento del rapporto contenzioso
Con sentenza n. 253/4/2011 pronunciata il 7.09.2011 e depositata in Segreteria il 19.12.2011, la Commissione Tributaria Provinciale di Bari – Sez. IV – ha accolto il ricorso proposto dalla C. s.r.l. corrente in Terlizzi (BA) avverso un avviso di accertamento notificato il 27.12.2010 con il quale l’Agenzia delle Entrate di Bari richiedeva il pagamento della somma di € 221,00 a titolo di IRAP e di € 30.000,00 a titolo di IVA per l’anno di imposta 2004.
Il recupero fiscale traeva origine da un processo verbale di constatazione del 1.10.2010 che aveva riscontrato operazioni inesistenti – e quindi emissione di fatture fittizie – eseguite, a detta dell’Ufficio, al solo scopo di ottenere finanziamenti agevolati: le fasi di dette operazioni prevedevano la vendita di un bene strumentale dalla C. s.r.l. alla G. s.r.l., esercente l’attività di vendita all’ingrosso di macchine agricole, che nello stesso giorno e senza applicare alcun ricarico, rivendeva il bene alla G. S.p.A. che, a sua volta, lo rivendeva alla C. s.r.l., per il medesimo corrispettivo, aumentato solo delle spese istruttorie e interessi che costituivano oggetto di autonoma fattura.
La società ricorrente impugnava l’accertamento per i seguenti motivi:
– nullità dell’avviso per decadenza dei termini di cui all’art. 57 del D.P.R. n. 633/72 in quanto
lo stesso andava notificato entro il 31.12.2009 e la proroga dei termini per reati penali previsti dal D.lgs. n. 74/2000 non poteva essere applicata se prima della scadenza del termine ordinario l’Ufficio non formalizzava, con una segnalazione scritta, l’ipotesi di reato tributario dal quale fare scaturire la proroga;
– infondatezza nel merito delle contestazioni fiscali in quanto per ciascun passaggio di vendita risulta contabilizzata una corretta operazione;
– insussistenza di evasione dell’IVA;
– abuso del diritto da parte dell’Ufficio, ritenuto vietato sia dalla normativa nazionale che comunitaria.
I primi giudici hanno accolto il primo motivo di ricorso, di natura pregiudiziale, dichiarando assorbiti gli altri motivi, pur riconosciuti fondati nel merito.
Propone appello l’Ufficio per le seguenti ragioni:
– errata motivazione della sentenza;
– violazione di legge per mancata applicazione dell’art. 37 commi dal 24 a 26 del D.L. n. 223/2006 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 248/2006, che prevede il raddoppio dei termini in caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 c.p.p. per uno dei reati previsti dal D.lgs. n. 74/2000.
A tal proposito l’appellante osserva che la denuncia di reato è stata regolarmente inviata alla Procura della Repubblica di Bari con nota del 30/07/2009, e quindi prima della scadenza del termine per accertare l’anno di imposta 2004, e nessuna norma prevede – come erroneamente indicato dai giudici di primo grado – che detta denuncia debba essere comunicata o allegata agli accertamenti, essendo un atto istruttorio obbligatorio interno.
Di conseguenza l’avviso di accertamento impugnato, contrariamente a quanto affermato dai giudici di prime cure, risulta regolarmente notificato entro i termini decadenziali previsti dagli artt. 57 comma 3 del D.P.R. n. 633/72 e 43 comma 3 del D.P.R. n. 600/73, in quanto vi sono tutti gli elementi richiesti dalla norma per raddoppiare i termini di decadenza.
L’appellante Ufficio ribadisce inoltre che le operazioni contestate prevedevano tre soggetti, che contestualmente vendevano e riacquistavano lo stesso bene ad un medesimo prezzo, senza che nelle singole compravendite si potesse ravvisare alcuna ragione economicamente apprezzabile atta a giustificare le operazioni, con l’unico scopo di movimentare solo documentalmente un bene, al fine di ottenere vantaggi fiscali e di ottenere benefici economici, quali quelli previsti dalla legge c.d. “Sabatini”, anch’essa assistita da un trattamento fiscale di vantaggio.
L’operazione conosciuta come sale and sale back (c.d. vendita con vendita di ritorno) non si configura come fattispecie elusiva, in violazione della normativa sull’abuso di diritto, ma come una vera e propria operazione fraudolenta posta in essere apparentemente tra due soggetti, ma in realtà tre sono le parti coinvolte, di cui una fittiziamente interposta (nel caso di specie la G. s.r.l.).
Rileva inoltre l’appellante che con sentenza di questa Commissione Tributaria Regionale emessa nei confronti della G. S.p.A. e della G. Italia s.r.l., che curava la fase istruttoria volta ad ottenere il finanziamento da parte del M.B., sono stati integralmente confermati gli accertamenti emessi per l’anno di imposta 2004, relativi agli stessi fatti accertati. Chiede pertanto la integrale conferma della legittimità ed efficacia dell’avviso di accertamento impugnato, con vittoria di spese di giudizio e onorari.
Si costituisce la società con atto di controdeduzioni del 5.07.2012 con il quale preliminarmente evidenzia che l’operazione di sale and sale back altro non è che la vendita a terzi di propri beni e il riacquisto degli stessi mediante pagamento dilazionato del corrispettivo, con il chiaro scopo di ottenere immediata disponibilità di denaro per il tramite di un contratto di finanziamento di certo atipico, ma comunque lecito, rientrante nella autonomia contrattuale di cui all’art. 1322 c.c.
Osserva poi in relazione alla decadenza del potere accertativo previsto dall’art. 57 del D.P.R. n. 633/72 che l’Ufficio non ha dimostrato che la segnalazione scritta sia stata effettuata all’Autorità Giudiziaria prima dello spirare del termine ordinario di decadenza ovvero prima del 31.12.2009 e inoltre che per la società appellata non trova applicazione il raddoppio del termine in quanto
l’operazione contestata non configura una condotta posta in essere al fine di evadere, o far evadere, le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, e di conseguenza rilevabile penalmente per i reati previsti dal D.lgs. n. 74/2000.
Infine ripropone, per mero scrupolo difensivo e per l’ipotesi di accoglimento delle richieste di riesame della vicenda, tutte le questioni e i motivi già dedotti in primo grado, concludendo per il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza impugnata, con condanna della controparte al pagamento delle spese processuali e determinazione in via equitativa del risarcimento del danno subito.
Osserva la commissione
L’appello dell’Ufficio non appare fondato e merita pertanto di essere rigettato come da dispositivo. Nella fattispecie per cui è causa l’avviso di accertamento impugnato, relativo all’anno di imposta 2004, risulta notificato il 27.12.2010 e quindi un anno dopo la previsione normativa che dispone la decadenza per l’Amministrazione Finanziaria se l’avviso non viene notificato entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione.
Pur tuttavia, al fine di stabilire se ci si trovi di fronte ad una caso di decadenza o meno, è necessario valutare se risulta applicabile la disciplina normativa introdotta dal D.L. n. 223/2006 sul c.d. raddoppio dei termini di accertamento.
Come rammentato nella Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 28/E del 4.08.2006, contenente i primi chiarimenti sul c.d. decreto Bersani (D.L. n. 223/2006), l’art. 37 dello stesso, commi da 24 a 26, modifica – sia ai fini delle imposte sul reddito che ai fini IVA – la disciplina dei termini per l’attività di accertamento di cui, rispettivamente, all’art. 43 del D.P.R. n. 600/73 e all’art. 57 del D.P.R. n. 633/72.
A seguito di dette modifiche l’attuale terzo comma del suindicato art. 57 in materia di IVA recita: “In caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale per uno dei reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, i termini di cui ai commi precedenti sono raddoppiati relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione.”
Non appare inutile richiamare preliminarmente quanto precisato nella predetta Circolare, al fine di delineare il quadro normativo in cui si snoda l’odierna vicenda processuale: “La norma è volta a garantire all’amministrazione finanziaria, a fronte di fattispecie che assumono rilevanza penale, l’utilizzabilità degli elementi istruttori che emergano nel corso delle indagini condotte dall ’autorità giudiziaria per un periodo di tempo più ampio rispetto a quello previsto a pena di decadenza per l’accertamento.
infatti, previsto che l’ordinario termine decadenziale per l’attività di accertamento è aumentato al doppio quando il contribuente abbia commesso una violazione che comporta obbligo di denuncia, ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale, per uno dei reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000 n. 74. Si tratta, in particolare, delle ipotesi in cui i pubblici ufficiali e gli incaricati di pubblico servizio abbiano notizia di reato perseguibile d’ufficio nell’esercizio o a causa delle loro funzioni o dei loro servizio, caso in cui detti soggetti sono tenuti a farne denuncia per iscritto.
In queste ipotesi l’amministrazione potrà, dunque, notificare gli avvisi di accertamento entro il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione e, nel caso di omessa presentazione o di presentazione di dichiarazione nulla, fino al 31 dicembre del decimo anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata, sia ai fini delle imposte sui redditi che dell’IVA. …
La disposizione che introduce il suddetto ampliamento trova applicazione, secondo quanto disposto dall’articolo 37, comma 26, del decreto, a partire dal periodo d’imposta per il quale, alla data del 4 luglio 2006 (data di entrata in vigore del decreto), i termini per l’accertamento, di cui al primo e secondo comma dell’articolo 43 del d. P.R. 600 del 1973 e dell’articolo 57 del d. P.R 633 del 1972, siano ancora pendenti”.
Nel caso di specie alla data del 4 luglio 2006 i suindicati termini per l’accertamento erano indubbiamente pendenti, mentre risultano scaduti alla data di notifica dell’avviso impugnato (27.12.2010); a ciò aggiungasi che detti termini risultavano scaduti già alla data del processo verbale di constatazione dell’Agenzia delle Entrate – Ufficio Direzione Provinciale di Bari posto a base dell’accertamento oggetto della presente controversia: si tratta quindi di stabilire se la stessa possa rientrare fra le ipotesi di c.d. raddoppio dei termini, secondo l’interpretazione della Corte Costituzionale di cui si dirà nel seguito.
E’ ben vero, come rammentato dall’appellante Ufficio, che vi è stata una denuncia di reato inviata alla Procura della Repubblica di Bari con nota del 30/07/2009, e quindi prima della scadenza del termine per accertare l’anno di imposta 2004, in relazione alla quale l’appellante osserva che “… nessuna norma prevede che la stessa debba essere comunicata o allegata agli accertamenti essendo un atto istruttorio obbligatorio interno.
La disciplina del raddoppio dei termini di decadenza per l’accertamento in presenza di una notizia di reato tributario ha, sin dalla sua introduzione, generato una serie di dubbi e incertezze interpretative.
La Corte Costituzionale è intervenuta sull’argomento (sentenza 25.07.2011 n. 247) ritenendo non incostituzionale – con riferimento, tra gli altri articoli, anche alla norma citata da parte appellata (art. 3 comma 3 della legge n. 212/2000 secondo cui “I termini di prescrizione e di decadenza per gli accertamenti di imposta non possono essere prorogati) – il combinato disposto dell’art. 57 comma 3 del D.P.R. n. 633/72 e dell’art. 37 comma 26 del D.L. n. 223/2006. Ciò in quanto le disposizioni dello Statuto dei diritti del contribuente non hanno rango costituzionale e non costituiscono, neppure come norme interposte, parametro idoneo a fondare il giudizio di legittimità costituzionale di leggi statali.
Secondo la Corte ” … i termini raddoppiati di accertamento non costituiscono una “proroga” di quelli ordinari, da disporsi a discrezione dell’amministrazione finanziaria procedente, in presenza dì “eventi peculiari ed eccezionali”. Al contrario, i termini raddoppiati sono anch’essi termini fissati direttamente dalla legge, operanti automaticamente in presenza di una speciale condizione obiettiva (allorché, cioè, sussista l’obbligo di denuncia penale per i reati tributari previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000), senza che all’amministrazione finanziaria sia riservato alcun margine di discrezionalità per la loro applicazione. … i termini “brevi” e quelli raddoppiati si riferiscono a fattispecie ab origine diverse, che non interferiscono tra loro ed alle quali si connettono diversi termini di accertamento”.
Pertanto presupposto per il raddoppio dei termini non è la commissione di una violazione rilevante ai fini penali, ma l’accertamento da parte di un pubblico ufficiale dell’Amministrazione Finanziaria di una notizia di reato che lo obbliga, in quanto tale, a fame denuncia all’Autorità giudiziaria competente.
Ma al fine di garantire il diritto di difesa del contribuente, minacciato dalla circostanza che l’Amministrazione Finanziaria potrebbe ritenere, infondatamente, l’avvenuta violazione di una norma che comporti l’obbligo della denunzia penale, il Giudice delle leggi indica la strada della “… controllabilità giudiziale circa la sussistenza dei precisi ed obiettivi presupposti richiesti dalla legge e dalla giurisprudenza perché sorga detto obbligo. …Il giudice tributario, infatti, dovrà controllare, se richiesto con i motivi di impugnazione, la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, compiendo al riguardo una valutazione ora per allora (cosiddetta “prognosi postuma”) circa la loro ricorrenza ed accertando, quindi, se l’amministrazione finanziaria abbia agito con imparzialità od abbia, invece, fatto un uso pretestuoso e strumentale delle disposizioni denunciate al fine di fruire ingiustificatamente di un più ampio termine di accertamento.” (sent. Corte Costituzionale n. 247/2011 surrichiamata).
Di conseguenza l’onere di provare detti presupposti è a carico dell’Amministrazione Finanziaria che ha l’obbligo di giustificare il più ampio potere accertativo attribuitole dal terzo comma dell’art. 57 D.P.R. n. 633/72, atteso che il raddoppio dei termini non può dipendere da una valutazione soggettiva della parte pubblica del processo tributario, mentre l’oggetto della valutazione a carico del giudice tributario è circoscritto al riscontro dei presupposti dell’obbligo di denuncia penale.
Orbene nel caso di specie detta valutazione non si è potuta effettuare perché solo in questo grado di giudizio l’appellante Ufficio ha prodotto la segnalazione di reato del 30.07.2009; a ciò deve aggiungersi che la stessa non riguarda la società odierna appellata e le fatture alla stessa contestate, ma concerne solo la G. s.r.l.
Pertanto, non avendo potuto verificare la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, il raddoppio in questione non è legittimo (in tal senso la CTP di Milano con le sentenze nn. 231/40/2011 e 327/5/2011, la CTP di Reggio Emilia con la sentenza n. 135/1/2012, la CTP di Treviso con la sentenza n. e la CTP di Lecco con la sentenza n. 74/1/12).
Il rigetto del motivo di ricorso riguardante la presunta violazione del c.d. Decreto Bersani risulta assorbente di qualsiasi altra ragione d’appello.
La complessità della materia trattata, interessata da recenti interventi legislativi e oggetto di intensi dibattiti giurisprudenziali e dottrinari, impone di compensare le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Definitivamente pronunciando, rigetta l’appello dell’Ufficio e conferma la sentenza di I grado. Spese compensate.
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