COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE BARI – Sentenza 19 luglio 2013, n. 81
Tributi – Processo tributario – Spese – Compensazione – Motivazione – Necessità
La soc. SEA S.r.l. in persona dell’amministratore unico S. S. propone ricorso avverso gli avvisi di accertamento, notificati dall’Agenzia delle Entrate relativi all’imposta Ires e IRAP per agli anni d’imposta 2006 e 2007. La società per il periodo di imposta 2006 e 2007 per l’attività di locazione immobiliare di beni propri ha presentato le dichiarazioni dei redditi da cui risultava una perdita di bilancio; l’Ufficio ha tenuto conto delle disposizioni D.L. 223/2006 art. 35 commi 15 e 16 anno in corsa al 4 luglio 2006, ha modificato la materia in tema di società non operative contenuta nella legge 724/94, ed ha considerato la SEA S.r.l. società di comodo non avendo superato il “test di operatività”. La società ha presentato in data 04.05.2007 istanza di disapplicazione che è stata dichiarata improcedibile dal Direttore Regionale il 26.07.2007 cui ha fatto seguito istanza di riesame presentata il 29.10. 2007 che con provvedimento è stata rigettata poiché le ragioni del ricorrente non sono state ritenute idonee ad integrare le oggettive situazioni che avrebbero impedito alla società di superare il test di operatività ovvero di conseguire un reddito almeno pari a quello minimo presunto determinato ai sensi del comma 3 dell’art. 30 L. 724/94. L’Ufficio ha accertato per l’anno 2006 ai fini Ires il reddito di impresa di euro 122.298,53 e imposta di curo 40.358,00; ai fini IRAP il valore della produzione netta di euro 245.860,53 e imposta di curo 7.814,00; ha accertato per l’anno 2007 ai finì Ires il reddito di impresa di curo 122.874,41 e una imposta di curo 40.548,00 e ai fini IRAP un valore della produzione netta di euro 239789,41 e imposta di euro 7.702,0. La società, con oggetto la compravendita di fabbricati, ha acquistato immobili da ristrutturare prima di procedere alla locazione per renderli agibili. Le dichiarazioni annuali unico 2006 e 2007 presentavano una perdita fiscale e la società ha presentato istanza di disapplicazione per dimostrare che non era una società di comodo e che il discostamento dagli indici previsti dalla norma derivava da situazioni contingenti dovute alla ristrutturazione di alcune unità immobiliari. Nel 2008 dopo la ristrutturazione degli immobili la società ha conseguito utili derivanti dalla propria attività di locazione. La società ha presentato istanza di accertamento con adesione e in data 28.10.2010 ha formulato richiesta di annullamento in autotutela.
Il ricorrente ha impugnato gli accertamenti con ampia e articolata memoria difensiva per i seguenti motivi:
– Per le caratteristiche delle società di comodo e l’effettiva operatività della ricorrente;
– In ordine alla natura di presunzione semplice in quanto stabilito dall’art. 30, L. 724/94;
– Illegittimità dell’atto impugnato per errore sui presupposti di fatto e di diritto travisamento dei fatti illogicità manifesta;
– Congruità e coerenza della società rispetto agli studi di settore;
– Difetto di motivazione;
– Irretroattività dell’art. 35 D.L: 223/06; violazione L. 212/00 art. 3;
– Violazione art. 1 L, 296/06; Violazione art. 72 DPR 917/86;
– Violazione artt. 2727 e ss. C.C.;
– Inapplicabilità delle sanzioni;
– Illegittimità Cost. art. 30 L. 724/94; violazione Art.24 e art. 41 e 53 Cost; inaddebitabilità della maggiore IRAP;
Chiede di dichiarare la nullità dell’atto impugnato. L’Agenzia delle Entrate ha presentato controdeduzioni il 21.2.2011 proc. n. 43346 con le quali sostiene che le circostanze rappresentate da controparte a giustificazione della propria mancata operatività non sono rappresentative di situazioni oggettive; l’eccezione sollevata per difetto di motivazione risulta infondata poiché l’atto risulta adeguatamente motivato. Circa la non imponibilità dell’IRAP per l’anno d’imposta 2006 osserva che l’Ufficio ha provveduto ad annullare in autotutela la maggiore IRAP indebitamente accertata.
Chiede il rigetto dei ricorsi. Il ricorrente ha presentato in data 3.01.2012 memorie illustrative con le quali si riporta al ricorso introduttivo ed eccepisce quanto nelle controdeduzioni dall’Ufficio. La Commissione Tributaria Provinciale, Sez. XV di Bari, con sentenza n. 80/15/12, producendo attestazioni con le quali aveva dimostrato di avere svolto una effettiva attività economica e con la quale risulta superata la presunzione di mancata operatività, accoglieva i ricorsi riuniti ed annullava gli atti impugnati, compensando le spese.
Avverso la precitata sentenza l’Ufficio proponeva ricorso di appello per:
– Violazione Art. 30 della L. 23 dicembre n. 1994 n. 724 così come novellato ai sensi dell’art. 35 commi 15 e 16 del D. L. 4 luglio 2006 n. 223 convertito dalla L. 04/08/2006 n. 248 con effetto dall’anno in corso al 04/07/2006 e dall’art. 1 della L. 27/12/2006 n. 296 (Legge Finanziaria 2007);
– Insufficiente motivazione della sentenza, fondata su fatti e circostanze non valutate ai fini del libero convincimento dell’Organo Giudicante ed inoltre su argomentazioni non vere e non documentate da controparte, in violazione del principio dell’ onere della prova : onus probandi incumbit ei qui dicit.
– Illegittimità della sentenza che annulla gli avvisi di accertamento, in presenza di atti presupposti resisi definitivi in assenza di specifica impugnazione.
Il 09/01/2013 il Comune di Bari depositava relative note difensive con cui in merito alla previsione di una unica detrazione sull’abitazione principale non può ritenersi, come erroneamente sostenuto da controparte come mero escamotage fattuale; in realtà, il riconoscimento di una agevolazione per prima casa su due immobili contigui era subordinato alla presentazione di specifica richiesta di variazione catastale per unificazione in una unica unità abitativa; ciò è stato previsto dal regolamento per le aliquote ICI di cui alla delibera di Giunta Municipale numero 889 del 31 dicembre 2004, stabilisce espressamente (sulla falsariga delle precedenti sentenze 24986 del 24 novembre 2006 e 4739 del 25 febbraio 2008) che la previsione di una detrazione, è ammissibile “una sola volta per tutte le unità in presenza dei requisiti di legge”; Si osserva peraltro che la sentenza impugnata annulla totalmente l’avviso di accertamento senza considerare che è comunque dovuta la differenza di imposta, legittimando così una posizione di evasione totale in favore del contribuente appellato; la Civica Amministrazione, proprio in virtù di tale circostanza fattuale, aveva in ogni caso riconosciuto l’agevolazione su una sola unità immobiliare, mantenendo fermo il contenuto dell’avviso di accertamento per la restante parte.
Chiedeva quindi, in accoglimento dell’appello, di annullare la sentenza n. 80/15/2012, confermando la pretesa tributaria avanzata con gli avvisi di accertamento impugnati con condanna di controparte al pagamento delle spese, competenze ed onorari di giudizio, ex art. 15 D.Lgs. n. 546/92.
Avverso la precitata sentenza la parte propone relative controdeduzioni ed appello incidentale rilevando che la sentenza appare condivisibile nel merito, mentre è censurabile con riguardo alla immotivata compensazione delle spese sulla base della motivazione “Considerata la particolarità della fattispecie trattata si attiene compensare integralmente tra le parti le spese processuali:”.
L’oggetto della società era (ed è) l’attività di compravendita di fabbricati, suoli terreni o loro porzioni e, in genere, di immobili a qualsiasi destinazione, edificati in proprio acquistati o comunque acquisiti, nonché la gestione, sotto qualsiasi forma di immobili di qualsiasi genere, in proprio e per conto di terzi.
La costituzione della società era diretta a creare una fonte alternativa di reddito per i soci. Infatti., poco tempo dopo il sig. S. Alessandro recedeva dal mandato di agente generale di una primaria compagnia di assicurazione.
Alla cessazione del rapporto di agenzia ha fatto seguito anche la perdita del posto di lavoro da parte del sig. S. S., sino ad allora impiegato presso la stessa agenzia di assicurazione. Con la costituzione della società, pertanto, i sigg.ri S. procedevano a reinvestire i propri risparmi al fine di creare una nuova impresa diretta alla gestione (nel senso dell’acquisto, rivendita, ristrutturazione, locazione, ecc.) degli immobili acquistati, onde ricavare gli opportuni profitti. Negli anni successivi la società acquistava ulteriori immobili, scegliendo ovviamente quelli da ristrutturare, aventi un prezzo vantaggioso.
Prima di procedere alla loro locazione o vendita la società provvedeva alla loro ristrutturazione per renderli agibili ed anche appetibili, onde ottenere prezzi di vendita più vantaggiosi o più convenienti canoni di locazione.
Per fare ciò ha dovuto recuperare i finanziamenti necessari e richiedere le previste autorizzazioni amministrative.
La ricorrente presentava nell’anno 2007 la dichiarazione annuale UNICO 2006 ove dichiarava una perdita di bilancio di € 58.471,00 che, in presenza di variazioni in aumento, determinava una perdita fiscale di € 18.884,00. Nell’anno 2008 la dichiarazione annuale UNICO 2007 ove dichiarava una perdita di bilancio di € 49.817,00 che, in presenza di variazioni in aumento, determinava una perdita fiscale di €53.284,00.
Per tali anni la società presentava l’istanza di disapplicazione prevista dall’art. 30, L. 724/94, siccome modificato dall’art. 35, c. 15 e 16, D.L. 223/06, in quanto, pur non superando il c.d. “test di operatività”, intendeva dimostrare di non essere una “società di comodo” e che il discostamento dagli indici previsti dalla suddetta norma era derivante da una situazione contingente.
Infatti, la SEA S.r.l. evidenziava che alcune unità immobiliari erano state interessate da opere di ristrutturazione.
Le rispettive istanze venivano dichiarate improcedibili con provvedimento del Direttore Regionale, a cui faceva seguito istanza di riesame, rigettata cor un nuovo provvedimento.
Secondo il provvedimento amministrativo, infatti, la società non avrebbe “provveduto a meglio precisare quegli incerti elementi che avevano portato” l’Agenzia” a rigettare l’istanza.
Al rigetto della istanza di disapplicazione conseguiva:
a) ai fini delle imposte dirette, la rideterminazione del reddito in base alla misura prevista dalla predetta normativa;
b) ai fini IRAP, la rideterminazione del valore della produzione netta in base alla misura prevista dalla legge. I provvedimenti di rigetto dell’istanza di disapplicazione — aventi mero carattere interpretativo -non venivano impugnati seguendo le indicazioni della stessa Agenzia delle Entrate. Dopo la ristrutturazione degli immobili (o la loro alienazione) la società, a partire dall’anno 2008, incominciava a raccogliere i frutti sperati, conseguendo i ricavi derivanti dalla propria attività di locazione (nonché dalla alienazione) degli immobili in precedenza acquistati e ristrutturati. Al mancato adeguamento della contribuente conseguivano gli avvisi di accertamento, con i quali oltre a maggiori Ires e IRAP, venivano richiesti interessi e sanzioni.
La contribuente presentava istanze di accertamento con adesione, alle quali facevano seguito memorie illustrative con cui si evidenziavano le ragioni per le quali l’Ufficio avrebbe dovuto procedere ad annullamento in via di autotutela degli atti impugnati, dichiarando di essere disposta a fornire la documentazione probatoria su richiesta dello stesso Ufficio. La Commissione osserva ed evidenzia:
Inammissibilità dell’atto di appello principale Art. 53, 56 e 57 D.Lgs. 546/92 ed art. 115 C.p.c. L’avverso atto di appello è assolutamente inammissibile innanzitutto perché non va a scalfire la specifica motivazione posta dal primo giudice a fondamento della propria decisione. Inoltre, con l’appello vengono formulati dei motivi che l’Agenzia non aveva mai sollevato nella fase del primo grado non ha svolto alcun tipo di critica nei confronti della sentenza impugnata e non contiene alcun motivo specifico di impugnazione siccome previsto dall’art. 53 D.Lgs. 546/92. A supporto della propria decisione la Commissione di prime cure aggiungeva che la società era stata congrua e coerente.
Le doglianze contenute nell’atto di appello invece nulla hanno a che fare con la decisione. L’appellante principale, infatti, si è limitato ad una generica disamina della disciplina della società di comodo e si limita ad affermare: “In ordine ai motivi da prendere in considerazione ai fini della decisione di secondo grado, si rinvia alle ampie motivazioni addotte a base dei provvedimenti di rigetto delle istanze di disapplicazione, nonché alle argomentazioni dedotte dall’Ufficio in sede di atto di costituzione nel giudizio di primo grado, assolutamente ed inspiegabilmente ignorate dalla CTP di Bari nella sentenza oggetto del presente grave”.
L’unica vera e propria critica alla sentenza riguarda la questione della congruità e della coerenza agli studi di settore.
Ne deriva, che la sentenza in oggetto può essere solo scalfita, ma non certamente incrinata dall’avverso gravarne. Inoltre, in entrambi i ricorsi venivano evidenziati una serie di aspetti di illegittimità degli atti impugnati, e per il 2006 veniva evidenziata la congruità e la coerenza della società con riferimento agli studi di settore. Su tali punti in particolare ma anche su tutte le altre questioni, l’Agenzia delle Entrate non ha opposto alcuna contestazione ed invece pretende di formulare nuove eccezioni in appello.
In via incidentale inoltre si rileva che la sentenza impugnata è stata emessa in violazione dell’art. 15 D.lgs. 546/92 e degli artt. 91 e 92 c.p.c, per aver illegittimamente e immotivatamente compensato le spese di lite. Invero, in ordine alla disposta compensazione delle spese il primo giudice ha omesso di fornire la dovuta motivazione. Né a tal fine appare sufficiente affermare che ” Considerata la particolarità della fattispecie trattata si ritiene compensare integralmente tra le parti le spese processuali: “. Invero, la ricorrente ha dovuto intraprendere un giudizio — con l’esborso delle relative spese — per il riconoscimento di un proprio legittimo diritto vedendosi poi compensare le spese. Questo Collegio ritiene pertanto legittimo, la condanna della controparte alla rifusione delle spese processuali in virtù dell’art. 15 del D.Lgs. 546/92 e dell’art. 91 c.p.c. non essendo possibile che sul contribuente ricadano in ogni caso le spese necessarie a far valere un proprio diritto negato da un comportamento omissivo dell’amministrazione. La condanna alle spese di soccombenza, infatti, rappresenta l’attuazione del principio costituzionale del diritto alla difesa, essendo evidente che tale diritto spettante all’attore quanto al convenuto, verrebbe ad essere menomato, se per ottenere la tutela, la parte fosse costretta a sostenere in via definitiva le spese processuali, subendo perciò una diminuzione patrimoniale
La statuizione del giudice che dispone pertanto la compensazione, deve essere congruamente motivata, tenuto conto che il regime delle spese è governato dal principio di causalità e che il riconoscimento in materia di uno spazio di pura discrezionalità, oltre a costituire una anomalia del sistema, si risolverebbe in un sostanziale diniego di tutela.
P.Q.M.
Rigetta l’appello principale, accoglie l’appello incidentale e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, condanna l’Ufficio al pagamento delle spese che liquida: relativamente al primo grado in € 2.300,00 di cui 6 300,00 per spese; relativamente al secondo grado in € 3.200,00, di cui € 200,00 per spese. Conferma nel resto l’impugnata sentenza.
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