COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di Bologna sentenza n. 1417 sez. 11 del 31 maggio 2016
ACCERTAMENTO – ILLEGITTIMITA’ DELL’ACCESSO DOMICILIARE – NULLITA’ ATTI CONSEGUENTI
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
L’Agenzia delle entrate di Rimini sulla base degli elementi desunti dal processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza, notificava alla società G. S.r.l., con sede in C., avviso diaccertamento di maggiori imposte IRES, IVA e IRAP, per complessivi euro 244.569,00 relativamente all’anno 2006, oltre sanzioni ed interessi. In detto verbale veniva evidenziato che mediante accesso presso l’abitazione della sig.ra F.G. (madre di G.D. rappresentante legale della società G. S.r.l.), autorizzato dal procuratore della Repubblica ai sensi dell’art. 52 del d.p.r. n. 633/72, era stata rinvenuta documentazione extracontabile riguardante le tre società facenti capo al G.D.. La società impugnava l’avviso, eccependo l’illegittimità dell’autorizzazione del procuratore della Repubblica all’accesso presso l’abitazione della sig.ra F.G. per carenza di motivazione sulla sussistenza dei gravi indizi di violazioni tributarie di cui all’art. 52 del d.p.r. n. 633/72 e ne chiedeva l’annullamento, perché fondato su pretesi elementi presuntivi, privi dei caratteri della gravità, precisione e concordanza, contestando che la documentazione acquisita fosse riconducibile alla G. S.r.l.. Nel costituirsi in giudizio l’Agenzia delle entrate contestava il fondamento delle eccezioni sollevate dalla società ricorrente e chiedeva il rigetto del ricorso, ritenendo legittimi l’autorizzazione del p.m. all’accesso domiciliare ed il proprio operato.
La Commissione Tributaria provinciale di Rimini, con sentenza n. 111/2/12, depositata l’11/06/2012, accoglieva il ricorso annullando l’avviso di accertamento impugnato, per non essere stato dimostrato dall’Ufficio che parte della documentazione acquisita dalla Guardia di Finanza, sulla base dell’autorizzazione del p.m., considerata legittimamente concessa, fosse ricollegabile alla società ricorrente L’Agenzia delle entrate ha proposto appello chiedendo la riforma della sentenza. La società G. S.r.l. ha interposto appello incidentale, eccependo l’illegittimità dell’autorizzazione del p.m. all’accesso della Guardia di Finanzia presso l’abitazione di un soggetto estraneo alla società, in mancanza dei gravi indizi previsti dall’art. 52 del d.p.r. n. 633/72, con conseguente conferma dell’annullamento dell’avviso di accertamento come pronunciato dal Giudice di primo grado, per non avere l’Ufficio dimostrato che parte della documentazione contabile acquisita fosse ricollegabile alla società.
MOTIVAZIONE
Va prioritariamente preso in esame l’appello incidentale proposto dalla società G. S.r.l., in quanto l’accoglimento del motivo assorbe l’esame dei motivi di gravame dell’Agenzia delle entrate che si incentrano sulla valutazione probatoria del contenuto di parte della documentazione reperita nel corso dell’accesso domiciliare, la cui utilizzabilità giuridica presuppone l’acccertamento della legittimità dell’accesso stesso.
Le Sezioni Unite della Cassazione, con sentenze n. 16424/2002 e nn. 18017 e 18018/2002 hanno condivisibilmente statuito che: “poiché l’autorizzazione del procuratore della Repubblica all’accesso domiciliare, prevista, in presenza di gravi indizi di violazioni delle norme tributarie, dall’art. 52, secondo comma, del DPR 26 ottobre 1972 n. 633 in materia di imposta sul valore aggiunto (reso applicabile anche ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi dal richiamo operato dall’art. 33 del DPR 29 settembre 1973 n. 600), costituisce un provvedimento amministrativo, il quale si inserisce nella fase preliminare del procedimento di formazione dell’atto impositivo ed ha lo scopo di verificare che gli elementi offerti dall’ufficio tributario (o dalla Guardia di Finanza nell’espletamento dei suoi compiti di collaborazione con detto ufficio) siano consistenti ed idonei ad integrare gravi indizi – da tale natura e funzione dell’autorizzazione discende, anche in considerazione del fatto che l’autorizzazione trova base logica nell’art. 14 Cost. sull’inviolabilità del domicilio, che il giudice tributario, davanti al quale sia in contestazione la pretesa impositiva avanzata sui risultati dell’accesso domiciliare, può essere chiamato a controllare (a) l’esistenza del decreto del pubblico ministero e (b) la presenza in esso degli indispensabili requisiti, tenendo conto, quanto al requisito motivazionale, che l’apprezzamento della gravità degli indizi è esternabile anche in modo sintetico, oppure indiretto, tramite il riferimento ai dati allegati dall’autorità richiedente.
Il giudice tributario, quindi, in sede di impugnazione dell’atto impositivo basato su libri, registri, documenti ed altre prove reperite, come nella specie, mediante accesso domiciliare autorizzato dal procuratore della Repubblica, ai sensi dell’art. 52 cit., ha il potere-dovere (1) di verificare la presenza, nel decreto autorizzativo, di motivazione (sia pure concisa o per relationem mediante recepimento dei rilievi dell’organo richiedente) circa il concorso di gravi indizi del verificarsi dell’illecito fiscale e (2) di controllare la correttezza in diritto del relativo apprezzamento, nel senso che faccia riferimento ad elementi cui l’ordinamento attribuisca valenza indiziaria ber cui, nell’esercizio di tale compito, esso giudice deve negare la legittimità dell’autorizzazione emessa esclusivamente sulla scorta di informazioni anonime, valutando consequenzialmente il fondamento della pretesa fiscale senza tenere conto di quelle prove” (Conformi: Cass. Civ. Sez. V 20/03/2009, n. 6836; Cass. 19/10/2012, n. 17957).
Nella sentenza impugnata viene dato atto che il procuratore della Repubblica ha ritenuto fondata la richiesta di accesso avanzata dalla Guardia di Finanza il 21/07/2008, in quanto “la segnalazione di una certa propensione ad effettuare da parte delle predette aziende operazioni non contabilizzate di acquisto e cessione di beni, emergente sia dalle informazioni raccolte dai militari dell’arma che dall’esposto di una ex dipendente di una delle società, unitamente alla composizione prettamente familiare della struttura societaria ed alla adiacenza della sede di una società alla abitazione della madre dei due soci, rendeva del tutto ragionevole l’ipotesi che le merci o le annotazioni ufficiose delle transazioni occulte fossero custodite nei luoghi oggetto di ispezione”. Nel caso di specie occorre stabilire se la richiesta avanzata dalla Guardia di Finanza e l’autorizzazione all’accesso all’abitazione di un terzo estraneo alle verifiche fiscali disposta dal procuratore della Repubblica, alla luce delle predette affermazioni, fossero adeguatamente motivate e integrassero “gravi indizi” di violazioni esistenti. Invero, non potrebbe essere ritenuto legittimo un accesso domiciliare operato in dipendenza di una richiesta e di una concessa autorizzazione, prive di puntuali e specifici riferimenti a fatti integranti “gravi indizi”. Nella disciplina civilistica delle prove, operante anche nei rapporti tributari in mancanza di espresse deroghe, la nozione di indizio è ricavabile dagli artt. 2727 e segg. cod. civ., che contemplano la prova per presunzioni gravi, precise e concordanti.
L’indizio non costituisce prova, nemmeno presuntiva, perché si esaurisce nella cognizione di un accadimento diverso da quello da dimostrare e in sé insufficiente per desumere il verificarsi di un fatto che va dimostrato secondo parametri di rilevante probabilità logica (id quod plerumque accidit). Una notizia, appresa da fonte genericamente indicata o non individuabile, o un semplice sospetto, non assumono il valore di indizio, al pari di una dichiarazione resa da persona non identificabile che lascia spazio soltanto ad illazioni o congetture. Così come rilevato dalla giurisprudenza di legittimità citata, un accesso ispettivo all’abitazione va ritenuto illegittimo se avvenuto a seguito di delazione anonima, senza che siano stati attuati un minimo di indagine e di riscontro per acquisire la cognizione di fatti, sia pure dotati di semplice valore indiziario. Il giudice di prime cure nella sua decisione ha giudicato legittimo l’accesso all’abitazione della madre del rappresentante legale della società de qua, oggetto della verifica e dell’accertamento, in presenza di non meglio specificate segnalazioni, operate non si conosce da chi, e di un esposto di persona rimasta nell’anonimato, venendo così meno al suo potere-dovere di verificare la presenza, sia nella richiesta della Guardia di Finanza, sia nel decreto autorizzativo del p.m., di una adeguata motivazione sul concorso di gravi indizi del verificarsi dell’illecito fiscale e senza che sia stata controllata la correttezza in diritto del relativo apprezzamento che avrebbe dovuto far leva su fatti e circostanze a cui l’ordinamento attribuisce valenza indiziaria. Nella sentenza di prime cure non è stata indicata e conseguentemente valutata la consistenza e la provenienza delle asserite segnalazioni e delle informazioni raccolte dalla Guardia di Finanza, né se nell’esposto anonimo fossero effettivamente esistenti indizi, in presenza dei quali l’art. 52 del d.p.r. n. 633/72 consente di autorizzare l’accesso in luoghi di dimora privata di persona peraltro estranea all’attività societaria e, soprattutto, se gli indizi fossero “gravi”, come la norma richiede per consentire di derogare al diritto costituzionale di inviolabilità del domicilio previsto dall’art. 14 della Costituzione.
Ne deriva che l’attuato accesso, illegittimamente autorizzato, rende viziati di nullità tutti gli atti conseguenti, come si desume dall’art. 189 c.p.p., richiamato dal disposto dell’art. 75 del d.p.r. n. 633/72 riguardante gli atti procedimentali successivi che si collegano al primo con un rapporto di causalità.
L’appello incidentale della società è fondato e va accolto, con conferma del già pronunciato annullamento dell’avviso di accertamento impugnato, in quanto inficiato di nullità.
Ad colorandum, pur ritenendosi assorbito da tale pronunciamento l’esame dei motivi spiegati dall’Agenzia delle entrate, si palesano infondate le censure prospettate dall’appellante principale, in quanto “l’onus probandi incubit ei qui dicit”, che, solo se assolto, sposta in capo al contribuente l’onere della prova contraria: l’ufficio, per le ragioni sopra esposte, non avrebbe potuto utilizzare, ai fini probatori, la documentazione illegittimamente acquisita dai verbalizzanti sulla quale l’Ufficio ha fondato l’avviso di accertamento de quo.
Le spese processuali seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
la Commissione, in accoglimento dell’appello incidentale, conferma la sentenza impugnata e condanna l’Amministrazione finanziaria al pagamento delle spese processuali del grado che si liquidano complessivamente in euro 5.000,00, oltre accessori.
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