COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE Cagliari – Sentenza n. 390 del 4 dicembre 2015
ACCERTAMENTO – ART. 38 E 41-BIS DEL DPR 600/73 – CAPACITA’ CONTRIBUTIVA IN RELAZIONE AI REDDITI CONSEGUITI
Svolgimento del processo
La Sig.ra A.G., residente in Olbia, Via L.C., rappresentata e difesa dagli Avv.ti F.M e P.S. con studio in Olbia, ha impugnato, avanti la Commissione Tributaria Provinciale di Sassari, gli avvisi di accertamento n. …/2010 e …/201, notificati rispettivamente in data 25/10/2010 e 20/12/2010, con i quali l’Agenzia delle Entrate, Ufficio di Sassari accertava al sensi dell’art. 38, comma 4 e 5 e 41-bis del DPR 600/73, la capacità contributiva in relazione ai redditi conseguiti negli anni di imposta 2005 e 2006 per cui nonostante i redditi esigui nel quinquennio considerato (2004/2008) la sig. A., risultava aver stipulato una polizza assicurativa annuale per € 94,00 ed acquistato un appartamento, nel comune di Torino, accatastato al foglio 176 map1662 sub38, pagando un corrispettivo di € 156.500,00. Veniva perciò accertata una disponibilità di beni elencati all’art. 2, secondo comma del DPR 600/73 e descritti nella tabella allegata al D.M. 10 settembre 1992, con conseguente determinazione di IRPEF, addizionale Reg.le e Com.le oltre sanzioni, per un totale di € 8.458,00 per l’anno 2005 e € 6.600,00 per l’anno 2006.
Nell’invito a comparire n. 100178/2010, al quale la contribuente non ha aderito, veniva richiesto di dimostrare, con mezzi idonei, che i redditi accertabili sinteticamente erano costituiti, in tutto o in parte, da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta, ovvero da smobilizzi patrimoniali.
La contribuente nell’istanza ex art. 6 secondo comma del D.Lgs. 218/97 dichiarava trattarsi di polizza infortuni, ed in merito all’appartamento esibiva gli originali di due assegni consegnati a pagamento del prezzo, ma non incassati dalla parte venditrice che, in quanto zia della ricorrente, sospendeva l’incasso in attesa che la nipote avesse la disponibilità necessaria, a tutt’oggi non maturata.
Nel ricorso con una prima difesa, la ricorrente precisava che la capacità contributiva dovesse essere valutata con riferimento ai redditi dell’intero nucleo familiare. In una seconda difesa asseriva che le polizze infortuni non sono ricoperte nell’elenco di cui al D.M. 10/09/92 e che gli assegni citati in rogito non sono stati ancora pagati in quanto non incassati, per cui l’esborso finanziario non c’è mai stato.
L’Ufficio nella sua memoria controdeduce sulle singole eccezioni e respingendo puntualmente sui singoli rilievi insite sulla sussistenza dei presupposti per l’accertamento sintetico e precisa che la parte non ha dato dimostrazione sulla costituzione dei maggiori redditi.
Con memorie aggiunte la ricorrente insiste sulla circostanza che gli assegni emessi in pagamento non sono mai stati incassati; sulla inesistenza della capacità contributiva affermata dall’Agenzia, che, venendo meno al suo onere probatorio, comunque non ha dato prova che il pagamento è avvenuto con altri mezzi.
La Commissione Tributaria Provinciale di Sassari, con sentenza n. 625/2/14 del 18/6/13 valutando la vendita non si perfeziona in assenza dell’obbligazione della corresponsione del prezzo da parte dell’acquirente e osservando: che il pagamento può essere avvenuto con altri mezzi e che non è stata data prova certa all’Ufficio che il bene non sia stato ancora pagato, ritenendo legittimo l’operato dell’Ufficio, rigettava il ricorso e condannava la ricorrente alle spese di giudizio.
Avverso tale sentenza la contribuente propone appello confermando le domande ed eccezioni del primo ricorso e precisando che la statuizione manifesta un palese errore di motivazione avendo disatteso gli ordinari principi in materia di onere della prova. Dato per certo che i 2 assegni bancari presentati in originale non sono stati incassati, l’Agenzia eccepiva, senza fornire alcuna prova, che il pagamento potrebbe essere avvenuto con altre modalità, dal che il primo giudicante respingeva il ricorso in quanto la ricorrente non avrebbe provato che la compravendita dell’immobile sarebbe avvenuta con altre modalità.
La signora A. ritiene che la vendita si perfeziona a seguito del consenso delle parti ex art. 1376 del c.c. e quindi di aver fornito la prova contraria circa la mera apparenza della capacità contributiva (Cass. 21442/2014), mentre ritiene che resti all’Agenzia l’onere di provare l’esistenza di un fatto sostenuto (avvenuto pagamento con altre modalità), peraltro indimostrabile per la ricorrente. E’ stata allegata all’appello una dichiarazione della venditrice che conferma, a fronte della cessione della nuda proprietà dell’immobile, l’accettazione degli assegni bancari, nella consapevolezza che, in quel momento non vi fosse sul conto bancario la relativa provvista, tant’è che non li ha portati all’incasso.
E’ stata avanzata richiesta di discutere la causa in udienza pubblica.
L’Agenzia nelle controdeduzioni preliminarmente osserva che dall’atto di vendita emerge, sulla base del reddito ricostruito dall’Ufficio, l’acquisto della nuda proprietà di un immobile al prezzo convenuto di €156.500,00, già pagato alla parte venditrice che ne dà quietanza con rinuncia all’ipoteca legale, dando atto delle modalità di pagamento, richieste ex art. 52, comma 4 e 5 del DPR 131/86 al fine di ottenere la tassazione al c.d. “prezzo valore” di cui all’art. 1, comma 497 della L. 266/2005 (valore catastale); condizione per usufruire di tale tassazione l’atto deve contenere l’intero prezzo pattuito e le analitiche modalità di pagamento. Ciò contrasta con le affermazioni della ricorrente sia in ordine al prezzo della cosa verso il corrispettivo del prezzo. La tassazione al “prezzo valore” comporta che le modalità di pagamento siano tracciate, qui gli assegni non sono mai stati incassati; ciò non esclude, come statuito dai primi giudici, “che il pagamento non sia avvenuto con altri mezzi”, di cui non è stata data prova all’Agenzia.
Con le memorie aggiunte dell’11 novembre 2015, la ricorrente in replica all’Agenzia, richiamando la capacità contributiva sancita dall’art. 53 della Costituzione, ribadisce la più recente giurisprudenza per confermare che il contribuente può dare prova del pagamento dichiarato in atto, dimostrando che in realtà manca della disponibilità patrimoniale, essendo questa del tutto apparente (Cass. Sent. 17085/2012 e CTR Lazio n. 1866 del 15.1.2015).
La causa, discussa in pubblica udienza, è stata decisa sulle conclusioni sopratrascritte.
Motivi della decisione
La Commissione esaminati gli atti di causa e sentire le parti in udienza pubblica ritiene lacunosa la sentenza impugnata e non esaustive le motivazioni contenute nell’avviso di accertamento emesso. Il Collegio infatti non può esimersi dal rilevare che sia nell’accertamento che nel primo giudicato viene trascurato il dato essenziale della fattispecie in causa. Si tratta della cessione della “nuda proprietà” di un immobile che una zia vedova, non risposata, vende alla sua nipote, nubile, la quale entra da subito nel possesso del bene, accollandosi tutti gli oneri presenti e futuri derivanti da vizi sulla cosa venduta e dichiarando di voler trasferire entro 18 mesi la residenza nel comune in cui è sito l’immobile, verosimilmente dalla zia.
Nel rogito viene regolarizzato, con il consenso delle parti, il trasferimento del cespite verso il corrispettivo del prezzo, dietro consegna di due assegni bancari non trasferibili intestati alla venditrice P.M.A. e a tutt’oggi non messi all’incasso.
Tutto ciò non inficia in alcun modo a parere di questo Collegio, la regolarità dell’atto di vendita e non consente al giudice tributario di disquisire sul perfezionamento o meno dell’obbligazione, né all’Ufficio di prefigurare possibili risoluzioni contrattuali che attengono alle scelte e diritti dei contraenti. Le questioni dirimenti in causa restano il maggior reddito accertato e che la contribuente non avrebbe dato nessuna dimostrazione atta a giustificare la provenienza. In tema di accertamento del reddito con metodo sintetico, ai sensi dell’art. 38, sesto comma, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, è ammessa la prova contraria da parte del contribuente, che può consistere anche nella dimostrazione che i beni o gli importi contestati quali indici di capacità contributiva non siano effettivamente entrati nella sua disponibilità, in quanto derivanti da un atto (simulato), che non ne implica la corrispondente e reale disponibilità economica.
Orbene se l’Agenzia avesse valutato le prove fornite dalla contribuente e le reali intenzioni espresse nell’atto, nonché tenuto in conto il precetto insuperabile dell’art. 53 della Costituzione, secondo cui la tassazione deve avvenire in relazione al reale reddito percepito e quindi manifestato come in questo caso dalla contribuente, non avrebbe proceduto ad accertamento inteso quale capacità reddituale dell’acquirente”. Infatti la Corte di Cassazione, già con la sentenza n. 5991 del 17 marzo 2006, ha sancito che una volta dimostrato il mancato pagamento del prezzo “l’effettuata acquisizione dei beni, non denoterebbe una reale disponibilità economica, suscettibile di valutazione ai fini fiscali, poiché il contratto stipulato in ragione della sua natura simulata, avrebbe una causa gratuita anziché quella onerosa apparente”. Tra le prove contrarie ammesse vi è anche la dimostrazione che il versamento degli importi contestati non è avvenuto e che pertanto “non sussiste una reale disponibilità economica, essendo questa meramente apparente, per avere l’atto in questione natura simulata”. (Corte di cassazione, sentenza n. 21442 depositata il 10 ottobre 2014).
E’ pertanto da escludere a parere di questo Collegio che “(…) la somma derivi dal conseguimento di redditi ulteriori rispetto a quelli dichiarati nell’anno d’imposta interessato ed in quelli precedenti”, non solo perché in presenza di disponibilità meramente apparenti, ma soprattutto perché, come statuito dalla Suprema Corte con la sentenza 21972 del 28 ottobre 2015, non può trattarsi di “mere supposizioni” dell’Ufficio erariale, con la conseguenza della totale assenza dei presupposti per effettuare l’accertamento da redditometro.
Restando con ciò assorbite le ulteriori questioni trattate, valutata l’assenza di richiami nell’atto di accertamento alla regolarità contabile e gestionale, resta la ragionevolezza di quanto disposto, oltre ai giusti motivi per compensare fra le parti le spese di giudizio.
P.Q.M.
Accoglie l’appello e per gli effetti annulla la sentenza impugnata. Compensa le spese di giudizio tra le parti.
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