COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE CALABRIA – Sentenza 05 febbraio 2018, n. 122
Tributi – Associazione sportiva dilettantistica – Agevolazioni fiscali – Presupposti – Clausole riguardanti la vita associativa, da inserire nell’atto costitutivo o nello statuto. – Responsabilità personale e solidale, in aggiunta a quella del fondo comune, delle persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione – Responsabilità del presidente o legale rappresentante in ragione della sua qualità – Esclusione
Svolgimento del processo
con ricorso in appello depositato il 1/10/2015, il dr. M. G. P., con il patrocinio del dr. G. C., ha proposto appello avverso la sentenza n. 304/3/15 del 2/2/2015, resa dalla Commissione Tributaria Provinciale di Catanzaro, la quale ha rigettato il ricorso proposto dal contribuente avverso e per l’annullamento dell’awiso di accertamento n.TDY04T400411/13, relativo ad Iva, Ires ed Irap del 2007.
Lamenta l’appellante la mancata notificazione del p.v.c. redatto dalla Guardia di Finanza ai danni della “Associazione sportiva dilettantistica L. V.”, dal quale scaturiva l’avviso di accertamento impugnato notificatigli quale debitore solidale e già legale rappresentante della associazione; eccepisce la prescrizione, in quanto riferendosi l’accertamento all’esercizio 2007, il relativo potere si sarebbe prescritto il 31/12/2012, mentre l’atto impegnato gli era stato notificato solo nel corso del 2013. Nel merito delle contestazioni deduce che le esenzioni delle quali aveva beneficiato l’Associazione nell’anno di imposta 2007 sarebbero comunque spettanti almeno sino alla soglia di euro 250.000,00 prevista dalla legge n. 389/1991 e che, comunque, la soglia di punibilità penale di cui al d. lgs. n. 74/2000, modificato dalla legge n. 138/2011 non sarebbe stata raggiunta. Chiede quindi la riforma della sentenza di primo grado con vittoria delle spese di lite.
Si è costituita in giudizio, con controdeduzioni depositate il 24/11/2015, l’Agenzia delle entrate, riproponendo letteralmente tutte le difese già spiegate nel corso del giudizio di primo grado ed indicando il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza della C.T.P.
All’udienza di discussione del 22/1/2018 la causa è stata decisa.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di appello il contribuente deduce sostanzialmente la violazione dello Statuto del contribuente, laddove a) egli sarebbe stato a chiamare a rispondere delle violazioni fiscali solo in quanto legale rappresentante dell’associazione negli anni di imposta 2007, 2008 e 2009;
b) non gli sarebbe stato notificato o comunicato il p.v.c. della Guardia di Finanza redatto a carico della “Associazione sportiva dilettantistica L. V. e del suo legale rappresentante.
1.1. Giova rammentare – per come ribadito dalla S.C. (Cass. civ., Sez. VI, 17 giugno 2015, n. 12472 e 12473) – che in ordine al tema d’indagine sollecitato dall’appellante, correlato alla responsabilità del soggetto che ha agito in nome e per conto dell’associazione non riconosciuta, si è ormai stratificata una giurisprudenza sintetizzata da Cass. n.20485/13, la quale ha chiarito che: “… Va osservato, infatti, che – secondo il costante insegnamento di questa Corte – la responsabilità personale e solidale, prevista dall’art. 38 c.c., di colui che agisce in nome e per conto dell’associazione non riconosciuta non è collegata alla mera titolarità della rappresentanza dell’associazione stessa, bensì all’attività negoziale concretamente svolta per suo conto e risoltasi nella creazione di rapporti obbligatori fra l’ente ed i terzi. Si è, altresì, precisato – al riguardo – che tale responsabilità non concerne, neppure in parte, un debito proprio dell’associato, ma ha carattere accessorio, anche se non sussidiario, rispetto alla responsabilità primaria dell’associazione, con la conseguenza che l’obbligazione, avente natura solidale, di colui che ha agito per essa è inquadrabile fra quelle di garanzia “ex lege”, assimilabili alla fideiussione (cfr., ex plurimis, Cass. 25748/08 e 29733/11). D’altro canto, la ratio della previsione di una responsabilità personale e solidale, in aggiunta a quella del fondo comune, delle persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione, è volta a contemperare l’assenza di un sistema di pubblicità legale riguardante il patrimonio dell’ente, con le esigenze di tutela dei creditori (che abbiano fatto affidamento sulla solvibilità e sul patrimonio di dette persone), e trascende, pertanto, la posizione astrattamente assunta dal soggetto nell’ambito della compagine sociale, ricollegandosi piuttosto ad una concreta ingerenza dell’agente nell’attività dell’ente (Cass. 5746/07). Ne consegue, dunque, che chi invoca in giudizio tale responsabilità ha l’onere di provare la concreta attività svolta in nome e nell’interesse dell’associazione, non essendo sufficiente la prova in ordine alla carica rivestita all’interno dell’ente (cfr., explurimis, Cass. 26290/07, 25748/08). Il principio suesposto, in riferimento alla responsabilità solidale, ex art. 38 c.c, di coloro che agiscono in nome per conto dell’associazione non riconosciuta, ponendo in essere, a prescindere dalla rappresentanza formale dell’ente, la concreta attività negoziale riferibile all’associazione stessa, è stato – di poi – ritenuto da questa Corte applicabile anche ai debiti di natura tributaria (v. Cass. 16344/08, 19486/09), pur senza trascurare, tuttavia, una caratteristica fondamentale che connota siffatte obbligazioni. Si è – per vero – rilevato, in proposito, che il principio in questione non esclude, peraltro, che per i debiti d’imposta, i quali non sorgono su base negoziale, ma “ex lege” al verificarsi del relativo presupposto, sia chiamato a rispondere solidalmente, tanto per le sanzioni pecuniarie quanto per il tributo non corrisposto, il soggetto che, in forza del ruolo rivestito, abbia diretto la complessiva gestione associativa nel periodo considerato. Ciò nondimeno, il richiamo all’effettività dell’ingerenza – implicito nel riferimento all’aver “agito in nome e per conto dell’associazione”, contenuto nell’art. 38 c.c. – vale a circoscrivere la responsabilità personale del soggetto investito di cariche sociali alle sole obbligazioni che siano concretamente insorte nel periodo di relativa investitura – Cass. n.5746/07″.
Vi è quindi che le responsabilità per le operazioni compiute per conto dell’associazione sono attribuite solo verso coloro che in concreto abbiano agito in nome di essa. Si deduce, quindi, che la responsabilità del presidente non derivi in via automatica dalla sua carica e non sussista laddove le obbligazioni siano state contratte da altri soggetti che abbiano agito in via autonoma.
In buona sostanza la S.C. ha voluto cristallizzare il principio secondo il quale, nelle associazioni non riconosciute, la responsabilità personale e solidale prevista dall’art. 38 cod. civ. di colui che agisce in nome e per conto dell’associazione, non è collegata alla mera titolarità della rappresentanza dell’associazione stessa, bensì all’attività negoziale concretamente svolta per suo conto. Principio che, secondo il costante insegnamento della Suprema Corte (cfr. Cass. 16344/08), si applica anche ai debiti di natura tributaria.
Nel merito della questione va, quindi, puntualizzato che l’articolo 38 del c.c. non qualifica in via diretta la responsabilità in capo al presidente o rappresentante legale dell’associazione, ma mira ad identificare sempre e comunque «chi agisce in nome e per conto dell’associazione».
Per cui anche se, in linea di principio, le persone che possono giuridicamente spendere il nome dell’ente sono il presidente e in alcuni casi il consiglio direttivo, in relazione ai singoli casi concreti l’attribuzione di responsabilità potrebbe non sempre essere così chiara e immediata e finire con il coinvolgere anche altri attori della vita associativa.
Ne consegue, che per affermare la responsabilità personale e solidale del rappresentante legale di un’associazione non riconosciuta, da parte dell’ente impositore, non è sufficiente rinviare alla carica sociale rivestita dal soggetto, ma occorre accertare l’awenuto svolgimento di atti concreti di gestione e di definizione dei rapporti tributari (Cass. civ., Sez. Trib., 17 giugno 2008, n. 16344; 10 settembre 2009, n. 19488 e n. 19486; C.T.R. Lombardia, Sez. LXVII, 15 dicembre 2016, n.6903).
Pertanto, sul piano processuale, posta l’insufficienza della sola prova della carica rivestita da un soggetto all’interno dell’ente (Cass. civ., sez. lav., 4 marzo 2000, n. 2471; sez. Ili, 14 dicembre 2007, n. 26290 e 24 ottobre 2008, n. 25748), l’onere della prova dell’effettivo compimento di atti di gestione incombe sull’ente impositore (Cass. civ., sez. trib., 10 settembre 2009, n. 19486; C.T.R. Liguria, 9 febbraio 2015, n. 185); infatti, chi invoca in giudizio tale responsabilità ha l’onere di provare la concreta attività svolta in nome e nell’interesse dell’associazione, non essendo sufficiente la prova in ordine alla carica rivestita all’interno dell’ente.
1.1.2. A questo punto va evidenziato che le condotte individuate a pag.15 dell’avviso di accertamento vengono addossate all’odierno appellante nella sua qualità di legale rappresentante dell’associazione sportiva, destinataria dell’accertamento, sulla scorta di un preciso ragionamento logico deduttivo svolto dagli organi accertatori i quali non hanno rinvenuto, con riferimento agli anni di imposta oggetto di contestazione, alcun verbale assembleare e/o degli organi direttivi dell’associazione. Quindi non risponde al vero quanto dedotto dall’appellante nel primo motivo di ricorso per cui egli sarebbe stato individuato quale responsabile sulla scorta di un dato oggettivo, costituito dalla legale rappresentanza dell’associazione negli anni di imposta contestati – circostanza questa che, se vera, destituirebbe di fondamento giuridico l’avviso di accertamento – bensì è vero che egli risulta aver agito quale dominus dell’associazione in quanto, nella sua qualità di presidente, non ha provveduto a convocare gli organi sociali ed a far approvare a questi una serie di atti fondanti della vita dell’associazione i quali appaiono così a lui solo riferibili.
Tali inferenze logiche traspaiono dalla letture delle pagg. 6 e 7 dell’avviso di accertamento e valgono a concretare una precisa contestazione in capo all’odierno appellante di condotte puntuali ed affatto generiche.
1.2. Sotto un diverso profilo viene lamentata la violazione delle norme dello Statuto del contribuente che disciplinano l’obbligo di comunicazione o notificazione degli atti procedimentali all’interessato, ivi incluse le verifiche fiscali che danno luogo agli atti impositivi e di accertamento. Il motivo è infondato.
Ancora una volta scorgendo l’avviso di accertamento impugnato emergono ampi, esaustivi e puntuali riferimenti al contenuto della verifica mossa all’associazione sportiva a fronte dei quali l’odierno appellante ben avrebbe potuto replicare, rendendosi conto, in ogni caso, del contenuto delle contestazioni relative alle condotte omissive e commissive che gli venivano contestate.
La S.C. (Cass. civ., Sez. VI, 12 febbraio 2016, ord. 2877) ha più volte affermato che “nel regime introdotto dall’art. 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212, l’obbligo di motivazione degli atti tributari può essere adempiuto anche “per relationem”, ovverosia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, che siano collegati all’atto notificato, quando lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, cioè l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento necessarie e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, la cui indicazione consente al contribuente – ed al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale – di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono le parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento; (Cass. 9032/2013).
In particolare è stato precisato che “in tema di imposte sui redditi, l’obbligo di motivazione degli atti tributari, come disciplinato dall’art. 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212, e dall’art. 42 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, è soddisfatto dall’avviso di accertamento dei redditi del socio che rinvii “per relationem” a quello riguardante i redditi della società, ancorché solo a quest’ultima notificato, giacché il socio, ex art. 2261 cod. civ., ha il potere di consultare la documentazione relativa alla società e, quindi, di prendere visione dell’accertamento presupposto e dei suoi documenti giustificativi. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di merito che aveva annullato l’atto impositivo nei confronti del socio per l’omessa allegazione del processo verbale di costatazione reso nei confronti della società)” (Cass. 25296/2014; v. Cass. 5645/2014).
Nell’ipotesi in questione risulta che l’avviso di accertamento emesso nei confronti dell’associazione sportiva riproduce nei suoi elementi essenziali il p.v.c. (v. precisa indicazione dei rilievi afferenti gli anni 2007, 2008 e 2009:
omessa contabilizzazione di ricavi, indebita deduzione di costi, ecc. ecc.);
siffatto avviso di accertamento societario è stato poi richiamato nell’avviso di accertamento emesso nei confronti dell’odierni appellante; di conseguenza, anche a voler prescindere dal suindicato potere di consultazione, deve ritenersi che l’appellante, attraverso l’allegazione dell’avviso societario e la sintesi (in quest’ultimo contenuta) del p.v.c. redatto nei confronti dell’associazione, ben poteva individuare la pretesa fiscale ed esercitare quindi, al riguardo, il suo diritto di difesa.
2. Anche il terzo motivo di diritto inerente la decadenza della potestà accertati va in capo all’Amministrazione finanziaria per decorso del termine massimo fissato dall’art.43 del D.P.R. n.600/1973, è infondato e non può essere accolto.
Nel caso in cui ricorrano violazioni penalmente rilevanti è infatti previsto il raddoppio del termine per l’accertamento, ai sensi del disposto dell’art. 43 comma 3 del d.P.R. 600/73. La denuncia che consente il raddoppio dei termini non è subordinata al vaglio della colpevolezza del contribuente ovvero alla valutazione della ricorrenza della prescrizione, in quanto è esclusivo compito del magistrato accertare la responsabilità penale dei soggetti coinvolti, oltre che statuire in merito all’eventuale prescrizione del reato ipotizzato (cfr. C.T.R. Piemonte, Sez. XXVI, 9 febbraio 2016, n.180). Secondo la S.C. (Cass. Civ., Sez.V-VI, 26 aprile 2017, n. 10345) il c.d. raddoppio dei termini previsto dagli artt. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973, per l’IRPEF, e 57 del d.P.R. n. 633 del 1972, per l’IVA, non integra un’ipotesi di proroga dei termini ordinari, trattandosi di fattispecie distinte disciplinate direttamente ed autonomamente dalla legge in relazione a presupposti diversi, costituiti dal riscontro di elementi obiettivi tali da rendere obbligatoria la denuncia penale (per i primi) e dalla sussistenza di violazioni tributarie per le quali, invece, tale obbligo di denuncia non sussiste (per i secondi). Nel caso di specie risulta che la Guardia di Finanza abbia proceduto alla denuncia all’A.G. del legale rappresentante dell’associazione in carica al momento della verifica fiscale, con la conseguenza che la denunciata violazione non sussiste.
3. Con il quarto motivo di appello viene rappresentato come, in ogni caso, le agevolazioni fiscali in favore dell’associazione sarebbero comunque spettate, almeno nella misura minima di legge, individuata in euro 250.000,00, onde il recupero di imposta calcolato nell’avviso di accertamento sarebbe viziato in eccesso. Il motivo è infondato.
Le agevolazioni tributarie previste in favore di enti di tipo associativo non commerciale, come le associazioni dilettantistiche senza scopo di lucro, dall’art. Ili (ora 148) del D.P.R. 917 del 1986 si applicano solo a condizione che le associazioni interessate si conformino alle clausole riguardanti la vita associativa, da inserire nell’atto costitutivo o nello statuto. La conformità peraltro deve essere non meramente formalistica, essendo richiesta la concreta osservanza delle corrispondenti clausole (C.T.R. Toscana, Sez. VIII, 7 luglio 2016, n.1264). Nel caso di specie tra le condotte contestate e sanzionate figura la mancanza dei documenti fondanti dai quali risulta l’effettiva volontà dell’associazione sportiva destinataria principale dell’avviso di accertamento, di conformarsi alle clausole legali. In altri termini l’associazione de quo non poteva avvantaggiarsi di alcun beneficio fiscale tra quelli previsti dall’ordinamento semplicemente perché non risultava costituita nelle forme di legge e non risultava amministrata secundum iuris.
In conclusione la sentenza di primo grado merita conferma, seppur per le motivazioni in diritto sopra esplicitate e, quindi, sulla scorta di una diversa motivazione.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate, al minimo, come in dispositivo, sulla base del valore dichiarato dall’appellante e giusta i parametri di cui al D.M. 55/2014 e ridotte del 20% quanto all’Agenzia delle entrate, in applicazione dell’art.15, comma 2-sexies del D. Lgs. n. 546/1992. Trattandosi di appello notificato dopo il 30 gennaio 2013, segue l’accertamento dell’obbligo del soccombente di versare, a titolo di contributo unificato, un ulteriore importo pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 (cfr. Cass. civ., Sez. un., 18 febbraio 2014 n. 3774).
P.Q.M.
Rigetta l’appello e conferma la sentenza di primo grado.
Liquida in favore dell’Agenzia delle entrate le spese e competenze del presente grado di giudizio, in € 5.754,40, oltre spese generali 15% per € 863,16, poste a carico dell’appellante.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115/2002, accerta a carico dell’appellante l’obbligo di versare, a titolo di contributo unificato, un ulteriore importo pari a quello dovuto per l’impugnazione.
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