COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE CALABRIA – Sentenza 17 ottobre 2018, n. 326

Tributi – Accertamento – Riscossione – Remissione in termini – Notifica atti a mezzo del servizio postale – Procedimento – Contenzioso tributario

Svolgimento del processo

con ricorso in appello depositato il 12/7/2016, la società “V.P.C. s.r.l.” rappresentata e difesa dal dott. A.L. e dall’avv. S. R., ha proposto appello avverso la sentenza n. 1235/1/15 del 22/12/2015, resa dalla Commissione Tributaria Provinciale di Vibo Valentia, la quale ha dichiarato inammissibile per tardività il ricorso proposto avverso l’avviso di accertamento n. TD9030200416, in materia di IRAP ed IRES per l’anno 2009.

Lamenta l’appellante la violazione e falsa applicazione dell’art. 184-bis c.p.c., dell’art. 111 Cost. e dell’art. 10 della Legge n. 212/2000 con riguardo alla mancata remissione in termini; la erroneità della sentenza nella parte in cui il decidente ha ritenuto non cumulabile il periodo di sospensione feriale con quello previsto dall’art. 6 del D. Lgs. n. 218/1997; la violazione e falsa applicazione degli artt. 39 del D.P.R. n. 600/1973 e 2697 cod. civ. per assoluta inconsistenza degli elementi indiziari sui quali si fonda il recupero a tassazione delle quote di ammortamento relative a costi patrimonializzati assertivamente riferibili ad operazioni inesistenti; la neutralizzazione dell’operato recupero attraverso la contestuale variazione in diminuzione dei componenti positivi direttamente afferenti.

Si è costituita in giudizio l’Agenzia delle entrate, Direzione provinciale di Vibo Valentia, Ufficio legale, depositando controdeduzioni in data 11/11/2016, insistendo nella ritenuta inammissibilità del ricorso, in quanto l’istanza di accertamento con adesione risulta presentata oltre il termine di sessanta giorni dalla notifica dell’avviso di accertamento e rilevando la infondatezza dei restanti motivi di censura. Chiede quindi il rigetto integrale dell’appello.

All’udienza del 1° ottobre 2018, le parti presenti si sono riportate alle rispettive richieste, eccezioni e deduzioni.

Motivi della decisione

L’appello non può essere accolto con conseguente conferma della inammissibilità del ricorso di primo grado.

Agli atti del fascicolo di primo grado dell’Agenzia delle entrate è la prova che l’avviso di accertamento n. TD9030200416 è stato spedito a mezzo servizio postale il 25/6/2013, con raccomandata n. 765879299958, che sia stato immesso avviso nella cassetta postale del destinatario e che l’atto non sia successivamente stato ritirato presso l’Ufficio postale di giacenza.

Il regolamento del servizio di recapito adottato con D.M. 1 ottobre 2008, contenente la disciplina del servizio postale ordinario, si limita a prevedere che gli “invii a firma” (tra cui le raccomandate) che non sia stato possibile recapitare per assenza del destinatario o di altra persona abilitata al ritiro vengano consegnati presso l’ufficio postale di distribuzione (art. 24), ove i medesimi rimangono in giacenza per trenta giorni a decorrere dal giorno successivo al rilascio dell’avviso di giacenza (art. 25); nessuna disposizione di detto regolamento contiene – né, in considerazione dell’oggetto del regolamento, avrebbe ragione di contenere – una regola (analoga a quella dettata in materia di notifiche effettuate a mezzo posta dal quarto comma dell’articolo 8 l. 890/82) sul momento in cui si debba ritenere pervenuto al destinatario un atto che l’agente postale abbia depositato in giacenza presso l’ufficio postale a causa della impossibilità di recapitarlo per l’assenza del medesimo destinatario o di altra persona abilitata.

Nemmeno si può ancorare il momento del perfezionamento della notifica al ritiro dell’atto presso l’Ufficio postale; ciò non solo perché in tal modo si rimetterebbe al destinatario la scelta del momento da cui far decorrere il termine di impugnazione dell’atto notificato, ma soprattutto perché il “bilanciamento tra l’interesse del notificante e quello del notificatario” a cui fa riferimento la sentenza della Corte costituzionale n. 346/98 non consente di comprimere l’interesse del notificatore al punto da consentire al destinatario dell’atto di impedire gli effetti della notifica ex art. 14 della Legge n. 890/82 omettendo di recarsi a ritirare l’atto presso l’ufficio postale.

Si ritiene quindi (Cass., Sez. VI, 2 febbraio 2016, ord. 2047) che il suddetto bilanciamento debba rinvenirsi facendo applicazione – non diretta ma analogica – della regola dettata nell’articolo 8, quarto comma, Legge n. 890/82 secondo cui “La notificazione si ha per eseguita decorsi dieci giorni dalla data di spedizione della lettera raccomandata di cui al secondo comma ovvero dalla data del ritiro del piego, se anteriore“; peraltro, poiché il citato regolamento del servizio di recapito adottato non prevede la spedizione di una raccomandata contenente l’avviso di giacenza, ma soltanto, all’art. 25, il “rilascio dell’avviso di giacenza”, la regola da applicare per individuare la data di perfezionamento della notifica ex art. 14 Legge n. 890/82, in caso di mancato recapito della raccomandata all’indirizzo del destinatario, è quella che la notificazione si ha per eseguita decorsi dieci giorni dalla data del rilascio dell’avviso di giacenza (o, nei caso o in cui l’agente postale abbia, ancorché non tenuto, trasmesso l’avviso di giacenza tramite raccomandata, dalla data di spedizione di quest’ultima), ovvero dalla data del ritiro del piego, se anteriore.

A tale giurisprudenza il Collegio ritiene di aderire con la conseguenza che nella fattispecie, l’atto va ritenuto notificato regolarmente alla data del 10 luglio 2013, mentre l’istanza con adesione è stata depositata presso l’Agenzia delle entrate il successivo 13 novembre 2013, quindi ben oltre il termine massimo di sessanta giorni entro i quali andava presentata l’istanza di cui all’art. 6, comma 2 del D. Lgs. 19 giugno 1997, n. 218, anche volendosi ritenere operante il termine di sospensione di 45 giorni applicabile, ratione temporis, agli atti processuali e previsto poi con norma di interpretazione successiva.

Peraltro è pacifico che in tema di accertamento con adesione, la presentazione dell’istanza di definizione determina la sospensione, ex art. 6 del d. lgs. 19 giugno 1997, n. 218, del termine fissato dall’art. 21 del d. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, con la conseguenza che la prova della tempestività del ricorso si estende alla prova del fatto generativo della sospensione; ne consegue ancora che, in mancanza di tale prova da parte del ricorrente (che la alleghi nel ricorso introduttivo), il giudice di merito deve rilevarne d’ufficio la tardività e dichiarare l’inammissibilità del ricorso (Cass., Sez. V – VI, 20 febbraio 2013, ord. 4247).

Si è ormai stabilmente affermato che la sospensione del termine per l’impugnazione degli atti d’imposizione tributaria prevista dall’art. 6, comma 3 del d. lgs. n. 218/1997 è volta a garantire un concreto spatium deliberandi in vista dell’accertamento con adesione (il cui esperimento resta, appunto, consentito) e va riferita al relativo procedimento, che ha natura amministrativa (cfr. Cass. n. 28051/2009), per di più escludendo la cumulabilità della sospensione disposta da detta disposizione con quella prevista in tema di condono – art. 15 Legge n. 289/2002, specificamente ritenendo che “… la sospensione prevista dalla legge sul condono incide sui tempi per la proposizione del ricorso giurisdizionale in concordanza col tempo concesso per il perfezionamento 4 della definizione agevolata (art. 15, comma 2)”.

D’altro canto se si volesse ritenere, sulla base dell’art. 1 – quater, comma 18 del D.L. 22 ottobre 2016, n. 193, convertito con modificazioni dalla Legge 1 dicembre 2016, n. 225, norma richiamata espressamente dal contribuente in sede di discussione orale della causa, che ha esteso la sospensione feriale dei termini anche all’accertamento con adesione, che tale norma operi in maniera retroattiva, vi sarebbe che comunque l’istanza dì cui all’art. 6, comma 2 del D. Lgs. 19 giugno 1997, n. 218, rimenava intempestiva.

Di tali principi ha fatto corretta applicazione la C.T.P. la cui statuizione merita conferma. In conclusione l’appello, per quanto di ragione, non può essere accolto e la sentenza di primo grado va confermata integralmente.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate, al minimo, come in dispositivo, sulla base del valore di causa dichiarato dalla parte e giusta i parametri di cui al D.M. 55/2014 e ridotte del 20% quanto all’Agenzia delle entrate, in applicazione dell’art. 15, comma 2-sexies del D. Lgs. n. 546/1992.

P.Q.M.

Definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria istanza, richiesta, eccezione e deduzione, rigetta l’appello e conferma la sentenza di inammissibilità di primo grado.

Condanna parte appellante, alle spese e competenze di giudizio, liquidate in favore dell’Agenzia delle entrate, per il primo grado, in euro 3.774,40, oltre spese generali 15% per euro 566,16 e, per il secondo grado, in euro 4.037,60, oltre spese generali 15% per euro 605,64.