COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE del LAZIO – sezione 14 – Sentenza 10 aprile 2013, n. 264
ACCERTAMENTO – STUDI DI SETTORE – IL SENSO UNICO STRADALE “BLOCCA” GERICO – LA LIMITAZIONE DELL’AFFLUSSO DI AUTO GIUSTIFICA LO SCOSTAMENTO DAGLI STUDI DI SETTORE
massima
SVOLGIMENTO E MOTIVI DELLA DECISIONE
1. A.C. esercitava in Ciampino l’attività di laboratorio di pasticceria con annessa vendita. L’Agenzia delle Entrate di Albano Laziale, rilevato che per l’anno 2003 i ricavi erano inferiori a quelli determinati a mezzo degli studi di settore, notificava avviso di accertamento per maggiori ricavi di circa € 50.000,00 (ricavi dichiarati 111.000, contestati € 161.000), con conseguenti maggiori imposte per Irpef, Irap, Iva e sanzioni di legge. A.C. impugnava l’avviso di accertamento.
La Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso del A.C., affermando che il medesimo aveva addotto una serie di eventi, che impedivano l’applicazione ad essa del reddito quantificato dagli studi di settore.
In particolare, il locale era stato chiuso con ordinanza del Sindaco dal 13.9 al 31.12.2003, per la contestazione di violazioni sanitarie ed amministrative – il rapporto tra materie prime acquistate e ricavi dichiarati non aveva quindi valore in quanto per la chiusura, era stato impedito l’utilizzo di gran parte di esse, deperibili – la parte aveva aderito all’accertamento con adesione in base all’affermazione dell’ufficio, che i maggiori ricavi sarebbero stati calcolati in 8,5/12 dell’accertato con ulteriore riduzione del 10% per l’istituzione del senso unico sulla strada su cui l’esercizio si affacciava. La parte aveva inteso che tali percentuali riguardassero il totale del ricavato, mentre l’Ufficio le aveva applicate alla differenza tra dichiarato ed accertato. Il contribuente aveva quindi rinunciato a pagare quanto stabilito nella procedura di adesione e l’Agenzia delle Entrate aveva provveduto all’emissione di avviso di accertamento su tutto il ricavo presunto.
La Commissione Provinciale, ritenuta inapplicabile la ricostruzione effettuata con gli studi di settore, accoglieva il ricorso e condannava l’Ufficio alle spese.
2. Propone appello l’Agenzia deducendo: 1. difetto di motivazione. Afferma che il processo tributario non è diretto solo all’annullamento dell’atto impugnato ma alla pronuncia di una decisione di merito sostitutiva dell’accertamento, attribuendo al giudice la cognizione del rapporto tributario; la CTP avrebbe dovuto quindi quantificare la pretesa tributaria, nei limiti delle domande. 2. In base alla giurisprudenza della cassazione (2006/17229) la presunzione derivante dagli studi di settore, può essere utilizzata dall’Amministrazione Finanziaria, purché venga esperito il contraddittorio con il contribuente; lo strumento sarebbe stato correttamente usato, effettuando l’Agenzia delle correzioni ed accertando un reddito di € 56.000 a fronte di un dichiarato di € 1.906.
3. L’Agenzia altresì rileva che la disponibilità alla riduzione dell’accertato, manifestata dall’Ufficio in sede di accertamento con adesione, non comporta un riconoscimento delle ragioni del contribuente ma ha natura sostanzialmente transattiva, con la finalità di deflazionare il contenzioso. Avendovi la parte rinunciato, la pretesa tributaria rinasce per intero. Chiede pertanto la riforma della sentenza della Commissione Provinciale e la dichiarazione della legittimità dell’accertamento.
Si costituisce A.C., chiedendo la conferma della sentenza. Deduce in particolare, quanto agli studi di settore, che gli stessi devono fondarsi sull’esistenza di gravi incongruenze tra ricavi, compensi, corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dagli studi di settore. Ovvero occorre che i risultati di tali studi siano supportati dalla specifica realtà dell’impresa, esposta dal contribuente. Deduce essere infondata la dichiarazione di grave incongruenza dichiarata dall’Agenzia nella fattispecie, del rapporto tra materie prime acquistate per € 89.000 e ricavi dichiarati per € 111.000, in quanto l’improvvisa chiusura dell’esercizio aveva impedito l’utilizzo delle materie prime acquistate, in quanto deperibili.
Circa il calcolo delle riduzioni, sarebbe stato l’Ufficio ad avere equivocato, in quanto, dopo aver detto che avrebbe calcolato gli abbattimenti sull’intero ricavo, ciò che avrebbe portato il ricavo a meno del dichiarato, li aveva invece applicati solo sulla differenza tra dichiarato ed accertato. Da qui la mancata accettazione da parte del contribuente.
3. L’appello è infondato.
La Corte di Cassazione, con indirizzo uniforme, ha statuito che “la procedura di accertamento tributario standardizzato, mediante l’applicazione degli studi di settore, costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standards in sé considerati, ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli standards, o la specifica realtà economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello standard prescelto e con le ragioni per le quali sono disattese le contestazioni sollevate dal contribuente (cass. n. 26635 e n. 26638 del 18.12.2009)”.
Nel caso in esame, a fronte delle prove che nell’anno 2003 per tre mesi e mezzo l’esercizio era rimasto chiuso e che era stato istituito il senso unico sulla strada in cui il laboratorio si affacciava, nonché della considerazione del mancato utilizzo per il deperimento di molte materie prime, a causa della prolungata chiusura, non risultano esposte dall’Agenzia indicazioni ed argomenti che supportino la validità dell’accertamento derivante dallo standard, né dei valore presuntivo dei ricavi in base alle materie prime acquistate.
Nessun rilievo pertanto può darsi all’accertamento di ricavi ulteriori per circa € 50.000 e di un reddito non dichiarato di circa € 54.000. È poi ragionevole ritenere che la diminuzione delle entrate lorde a causa della chiusura e della mutata situazione ambientale data dall’istituzione del senso unico, incida sugli interi ricavi dell’anno.
L’appello proposto va quindi rigettato.
4. Consegue alla soccombenza la condanna alle spese dell’Amministrazione, determinate come in dispositivo per entrambi i gradi.
P.Q.M.
Rigetta l’appello dell’Ufficio, che condanna al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in € 1.400,00 per i due gradi.
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