COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE del Lazio sezione 14 sentenza n. 45 del 30 gennaio 2013
ACCERTAMENTO – SINTETICO – NECESSITA’ PRESUNZIONI GRAVI PRECISE E CONCORDANTI – NESSUNA DISCRASIA TRA IL TENORE DI VITA ED I REDDITI PERCEPITI
SUCCINTA ESPOSIZIONE DEI FATTI RILEVANTI DELLA CAUSA
La ricorrente T.M.A. ha impugnato gli avvisi di accertamento e la cartella di pagamento, emessi dall’Agenzia delle Entrate relativamente agli anni 2003 e 2004, mediante i quali, sulla base del processo verbale della G. di Finanza del 30/3/2009 in cui venivano riscontrate evidenti discrasie tra l’elevato tenore di vita della medesima (possesso di autovetture di lusso, immobili in proprietà, locazioni immobiliari, notevoli flussi finanziari sui conti correnti) e i redditi dichiarati dalla stessa e del suo coniuge G.C.
I verbalizzanti al fine di ricostruire la reale capacità reddituale della ricorrente hanno attivato una indagine finanziaria a carico della stessa che si è concentrata sui rapporti di conto corrente accesi presso la BNL, la Banca di Roma e Banca Intesa ed in seguito chiedere giustificazioni alla ricorrente circa le somme movimentate nei conti correnti. Pertanto per l’anno 2003 e 2004 non risultano giustificati rispettivamente gli importi pari ad € 262.455,49 ed € 151.164,74 e, pertanto, l’Ufficio a provveduto a tassare tali somme ex art. 67, lett. i TUIR 917/86, come redditi diversi e nel notificare l’avviso di accertamento ha respinto le memorie presentate dalla contribuente poiché lacunose e confuse.
Nei motivi del ricorso eccepiva una serie di rilievi e contestazioni che si possono brevemente riassumere nella tardività dell’avviso di accertamento stante l’inapplicabilità dell’art. 43, 3° comma, del D.P.R. n. 600/73; carenza di motivazione degli avvisi di accertamento impugnati, sotto il profilo del rigetto delle puntuali giustificazioni fornite dalla ricorrente e della riconducibilità dei versamenti bancari sopra specificati all’esercizio di una attività produttiva di redditi imponibili e, ove ciò potesse ritenersi provato, mancata deduzione del maggior reddito accertato di una congrua somma per costi di produzione; l’inapplicabilità al caso in specie dell’art. 38 in quanto la stessa aveva già prima del 2003 disponibilità finanziarie tali da giustificare pienamente la sua capacità di spesa poiché aveva stipulato un contratto di compravendita di un immobile di sua proprietà e a fronte del quale l’acquirente le aveva versato un congruo importo; mancanza di prova che i versamenti ritenuti non giustificati si riferiscono ad operazioni imponibili.
In ordine alla cartella per l’intero ammontare dei tributi dovuti ha dedotto il difetto di motivazione circa l’applicazione degli artt. 11, terzo comma e 15 bis del D.P.R. n. 600/73.
Si costituiva in giudizio E.G. che ha dedotto il difetto di legittimazione passiva poiché i motivi del ricorso attengono esclusivamente all’esercizio dei poteri propri dell’Agenzia.
La Commissione Tributaria adita con la sentenza n. 381/36/11 ha accolto parzialmente i ricorsi riuniti confermando in toto l’annualità 2004 e riducendo l’imponibile per il 2003. Avverso la sentenza propone appello la contribuente richiamando pressoché integralmente le difese svolte in primo grado e insiste sulla illegittimità della statuizione delle spese di giudizio.
L’ufficio resiste analiticamente con articolati motivi ai rilievi di parte avversa e conclude con il rigetto dell’appello e la condanna alle spese di lite.
La vertenza è venuta in decisione in data 18 dicembre 2012, previa discussione in pubblica udienza.
RAGIONI GIURIDICHE DELLA DECISIONE
Questo collegio in via preliminare esamina le eccezioni ribadite, anche in questo grado di giudizio, in ordine alla illegittimità della statuizione per violazione e falsa applicazione dell’art. 43, comma 3, del D.P.R. n. 600/73. Secondo il contribuente l’atto impositivo relativo al periodo d’imposta 2003 è stato notificato, in deroga ai termini ordinari previsti per l’azione accertatrice, solo il 17/12/2009, ovvero l’Ufficio ha ritenuto di poter usufruire della proroga dei termini di accertamento prevista dall’art. 43, comma 3, del citato D.P.R. n. 600/73 e, quindi, ritiene conseguente la prescrizione della pretesa impositiva dell’ufficio. Su tale rilievo questo collegio rileva e condivide la tesi dei primi giudici ed in conseguenza ritiene di non discostarsi dal deciso in quanto l’eccezione di parte (raddoppio dei termini ordinari) deve essere disattesa poiché, come richiamato dal predetto articolo, tale raddoppio è necessario qualora l’ente fiscale ravvisa la presenza di violazioni particolarmente gravi (obbligo di denuncia di cui all’art. 331 c.p.p.) e quindi tale raddoppio è necessario in quanto in caso contrario tale proroga non avrebbe trovato giustificazioni. Pertanto la paventata illegittimità e carenza motivazionale dell’accertamento deve essere disattesa poiché la riapertura dei termini non pregiudica il diritto di difesa con la conseguenza che quanto statuito dai primi giudici legittima l’accertamento anche in ordine alla retroattività prevista dall’art. 37, comma 24, D.L. n. 223/2006. Nel merito della controversia questa commissione ritiene che l’appello della contribuente possa essere accolto non mancando, nel caso de quo, valide e fondamentali basi alle argomentazioni proposte.
È opportuno precisare, tuttavia, che l’accertamento sintetico del reddito, ex art. 38, 4 comma, del D.P.R. n. 600/73, è previsto tutte le volte che vi siano elementi e circostanze di fatto certi e in base ai quali possa attribuirsi al contribuente un reddito complessivo superiore a quello risultante dalla determinazione analitica e che vi siano elementi e circostanze da cui l’ufficio può attingere da qualsiasi fonte. In altre parole l’accertamento sintetico si rivolge a quelle situazioni in cui le manifestazioni di capacità contributiva non sono coerenti con i livelli di reddito dichiarati dai contribuenti. Tale accertamento è legittimo ed è esperibile nei confronti delle persone fisiche e ha la peculiarità di fondarsi sulla sussistenza di elementi e circostanze di fatto certi (ad esempio acquisto a titolo oneroso di immobili, acquisto di titoli di stato, azioni, movimenti bancari, obbligazioni, conferimenti per la costituzione di società) che fanno presumere una capacità di spesa correlata a esborsi di denaro e a spese di gestione da confrontare con il reddito imponibile dichiarato. Ma, al di là di questa puntualizzazione c’è da rilevare che data la delicatezza applicativa di questa tipologia di accertamento e il grado della sua approssimazione, il suo impiego deve essere effettuato con la massima attenzione e ponderazione dal momento che la contribuente anche in sede di contraddittorio e nella fase contenziosa ha fornito prove ed elementi che non giustificavano l’accertamento e che si trattava di presunzioni del tutto inconsistenti e prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza tali da non giustificare l’emissione di accertamenti basati sull’art. 38, comma 3, del D.P.R. n. 600/73.
Orbene è bene precisare che la Suprema Corte (Cass. Sezione 5, Sentenza n. 4589 del 26.02.2009) ha precisato che “nel processo tributario, nel caso in cui l’accertamento effettuato dall’ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, è onere del contribuente, a carico del quale si determina una inversione dell’onere della prova, dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non siano riferibili ad operazioni imponibili, mentre l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto, per legge, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti”. Nella circostanza la contribuente ha dimostrato che non esiste nessuna discrasia tra il tenore di vita ed i redditi percepiti dal momento che ha chiarito che le disponibilità finanziarie fin dall’anno 2003 erano dovute dalla vendita di titoli (€ 55.000,00) e di un fabbricato (€ 100.000,00 percepiti nel 2002 e 2003) situato in Rocca di Papa, tali da giustificare la sua capacità di spesa.
Ad ulteriore elemento e a supporto della fondatezza di quanto dimostrato dalla contribuente è opportuno evidenziare che in sede di definizione mediante procedura di accertamento con adesione di due accertamenti per le annualità 2005 e 2006 (emessi ai sensi dell’art. 38) l’ufficio ha annullato gli accertamenti sintetici ritenendo valide le giustificazioni riportate dalla contribuente, sicuramente tenendo anche conto che il processo penale instaurato a carico della stessa era stato archiviato.
In conclusione da quanto risulta in atti è opportuno evidenziare che sia la G. di Finanza che l’Ufficio non hanno mai sostenuto la riconducibilità delle movimentazioni bancarie ad operazioni illecite e dimostrato, altresì, dalla parte la restituzione di importi da parte del M. (E.R., rimborso assicurazione), anticipati dalla contribuente per la realizzazioni di immobili ed essendo tale circostanza non verificatasi gli importi venivano restituiti si deve ritenere che gli accertamenti sono illegittimi in presenza di una piena condivisione delle ragioni e delle giustificazioni esposte dalla contribuente.
Pertanto, alla luce di quanto premesso, nell’accertamento operato dall’ufficio non sono presenti gli elementi di precisione e di ponderazione necessari per rendere attendibile la ricostruzione sintetica del volume di affari, questo Collegio in riforma totale della sentenza impugnata afferma la illegittimità dell’avviso di accertamento e contestualmente si annullano gli avvisi di accertamento per gli anni 2003 e 2004 insieme alla cartella di pagamento emessa da E. ai sensi e per gli effetti dell’art. 15 bis del D.P.R. n. 602/73.
Viste le previsioni dell’art. 15 del D.Lgs. n. 546/92 il collegio tenuto conto della complessità dei motivi trattati, dispone la compensazione delle spese di giudizio fra le parti processuali.
P.Q.M.
Accoglie l’appello del contribuente. Spese compensate.
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