COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE del LAZIO – sezione 21 – Sentenza 9 aprile 2013, n. 92
ICI – TERRENO EDIFICABILE UTILIZZATO AI FINI AGRICOLI – CONDIZIONE DEL SOGGETTO PASSIVO QUALE COLTIVATORE DIRETTO – CORRISPONDENZA DEL REDDITO DA LAVORO AGRICOLO AD ALMENO IL 60% DEL REDDITO COMPLESSIVO
massima
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Il terreno edificabile utilizzato ai fini agricoli da un imprenditore agricolo non paga l’ICI, a condizione, tuttavia, che il proprietario del fondo sia iscritto negli appositi elenchi comunali e che il reddito conseguito dall’agricoltore, sia pure coadiuvato dalla famiglia, sia pari almeno al sessanta per cento del reddito complessivo.
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FATTO
Il Sig. E.M. ricorreva contro tre avvisi di accertamento notificati dal Comune di M., relativi all’imposta comunale sugli immobili per gli anni 2003, 2004 e 2005, per complessivi euro 154.239,05 in relazione alla proprietà di un terreno della superficie di mq 39.428 ricadente, sulla base del P.R.G., in area edificabile.
Sosteneva il contribuente che il terreno doveva essere considerato terreno agricolo, sussistendo il presupposto della conduzione diretta, quale coltivatore diretto iscritto presso la camera di commercio di Roma e negli elenchi di cui all’art. 1 della legge n. 9 del 1953. Sosteneva, inoltre, l’inedificabilità dell’area, in quanto ricadente nel parco dell’Appia Antica adottato con D.C.D. n. 17 del 29.7.2002 e sottoposta alla sospensione delle previsioni urbanistiche di tipo edificatorio in contrasto con le misure di salvaguardia previste dall’art. 8 della legge n. 29/97.
La Commissione tributaria provinciale, con sentenza n. 57/48/12 dell’8 marzo 2012, ha accolto solo parzialmente il ricorso, considerando non comprovata la natura di terreno agricolo alla luce della norma regolamentare inserita all’art. 3, lett. b) del Regolamento ICI del Comune di M., secondo cui, affinché il terreno possa considerarsi agricolo, in base al secondo periodo della lett. b) del comma 1 dell’art. 2 del D.Lgs. n. 504/1992, occorre, oltre alla condizione del soggetto passivo quale coltivatore diretto iscritto negli appositi elenchi comunali – nella specie posseduta – anche quella della corrispondenza del reddito da lavoro agricolo da parte del contribuente e dei familiari pari ad almeno il 60% del reddito complessivo, nella specie mancante in base al modello Unico persone fisiche presentato in relazione ai corrispondenti anni d’imposta.
Quanto alla natura agricola del suolo, varrebbe l’interpretazione di area fabbricabile contenuta nell’art. 11 quaterdecies, comma 16 del D.L. n. 203 del 2005.
Quanto, infine, al vincolo di inedificabilità derivante dal ricadere il terreno nel parco dell’Appia Antica, esso varrebbe esclusivamente ai fini della quantificazione del valore venale dell’area, tale da ridurre la base imponibile presa in considerazione negli avvisi di accertamento del 50%. Ha, quindi, in parziale accoglimento del ricorso, rideterminato nel 50% del valore accertato la pretesa tributaria del Comune.
Ha proposto appello il contribuente, affidato a due motivi di ricorso.
In primo luogo, il riferimento al reddito da lavoro agricolo contenuto nel regolamento comunale non potrebbe essere interpretato alla stregua del reddito dominicale ed agrario dichiarato nel quadro RA, bensì alla luce dei ricavi desumibili dalla dichiarazione ai fini IRAP, di entità largamente superiore al 60% del reddito totale.
Inoltre, la sospensione di tutte le previsioni urbanistiche di tipo edificatorio dell’area in questione non potrebbe che comportare l’inutilizzabilità dell’area a fini edificatori, con la conseguenza che l’imposta ICI andrebbe calcolata considerando il terreno come agricolo. A sostegno, richiama la risoluzione n. 209 del 17.10.1997 del Ministero delle Finanze.
Si è costituito in giudizio il Comune di M., chiedendo il rigetto dell’appello ed, in via subordinata, l’invito al ricorrente di pervenire ad un accordo sul valore imponibile dell’area come indicato dalla Commissione tributaria provinciale.
All’udienza pubblica del 12 marzo 2013, il ricorso è stato discusso e la Commissione se ne è riservata la decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La questione all’esame della Commissione attiene all’individuazione delle condizioni per considerare, ai fini dell’applicazione dell’imposta comunale sugli immobili, un terreno ricadente, in base al piano regolatore generale, in area edificabile alla stregua di area non fabbricabile, alla luce di quanto previsto dall’art. 2, comma 1, lett. b) del D.Lgs. 30.12.1992, n. 504.
Detta disposizione prevede che per area fabbricabile si intende l’area utilizzabile a scopo edificatorio in base agli strumenti urbanistici ovvero in base alle possibilità effettive di edificazione determinate secondo i criteri previsti agli effetti dell’indennità di espropriazione per pubblica utilità. Soggiunge la norma che, tuttavia, sono considerati non fabbricabili i terreni posseduti e condotti da coltivatori diretti o da imprenditori agricoli che esplicano la loro attività a titolo principale, purché dai medesimi condotti (art. 9, comma 1 del medesimo decreto legislativo), sui quali persiste l’utilizzazione agro-silvo-pastorale mediante l’esercizio di attività dirette alla coltivazione del fondo, alla silvicoltura, alla funghicoltura ed all’allevamento di animali.
In base all’art. 59, comma 1 D.Lgs. 15.12.1997, n. 446, i comuni, con proprio regolamento, possono stabilire ulteriori condizioni ai fini dell’applicazione della suddetta disposizione, anche con riguardo alla quantità e qualità del lavoro effettivamente dedicato all’attività agricola da parte dei proprietari del terreno e del loro nucleo familiare.
Il Comune di M., con regolamento approvato il 29 gennaio 1999, ha a riguardo stabilito (art. 3) le condizioni affinché aree fabbricabili possano essere considerate alla stregua di terreni agricoli ai fini dell’applicazione dell’ ICI, consistenti:
a) nell’iscrizione del contribuente coltivatore diretto o imprenditore agricolo negli elenchi comunali dei coltivatori diretti, mezzadri coloni ed appartenenti ai rispettivi nuclei familiari;
b) nella circostanza che “il lavoro effettivamente dedicato all’attività agricola da parte del soggetto passivo e dei componenti del nucleo familiare deve fornire un reddito pari al 60% del reddito complessivo imponibile IRPEF determinato per l’anno precedente”.
Nel caso in esame, il contribuente soddisfa la prima condizione (iscrizione negli elenchi), mentre dal modello UNICO considerato ai fini dell’applicazione dell’ICI da parte dell’Amministrazione comunale, il reddito dominicale dichiarato nel quadro RA risulta inferiore al 60% del totale del reddito dichiarato, consistente per larga parte in reddito da fabbricati.
Il contribuente contesta la legittimità del criterio, in quanto non in grado di misurare il reddito da lavoro agricolo effettivamente percepito, che egli desume, invece, dalla dichiarazione ai fini dell’applicazione dell’imposta sulle attività produttive, che comprova ricavi da lavoro agricolo ben superiori al 60% del reddito IRPEF complessivo.
Il motivo è fondato.
La disposizione contenuta nel regolamento comunale non può che essere interpretata conformemente alla disciplina generale in materia di IRPEF e di ICI.
Sotto il primo aspetto, vale considerare che l’attività agricola produce redditi d’impresa solo per i soggetti IRES e le società di persone. Per gli imprenditori individuali, invece, la tassazione avviene nell’ambito della determinazione del reddito catastale del reddito agrario, nel quadro RA. Ai sensi degli artt. 32 e 34 TUIR, infatti, il reddito agrario, costituito dalla parte del reddito medio ordinario dei terreni imputabile al capitale d’esercizio e al lavoro di organizzazione impiegati, nei limiti della potenzialità del terreno, nell’esercizio di attività agricole su di esso, è determinato mediante l’applicazione di tariffe d’estimo stabilite per ciascuna qualità e classe secondo le norme della legge catastale.
Ne discende che il riferimento al “reddito da lavoro agricolo” contenuto nel regolamento comunale – che, in base alle particolari condizioni richieste dal Comune, deve essere pari almeno al 60% del reddito complessivo del coltivatore diretto e dell’imprenditore agricolo – non può riferirsi al reddito dominicale (sensibilmente inferiore ai ricavi effettivi da lavoro agricolo), bensì al reddito effettivamente percepito come corrispettivo del lavoro in agricoltura.
A questo scopo, deve considerarsi adeguato elemento di prova la dichiarazione presentata a fini IRAP, dai quali si desumono, nella specie, proventi pari a circa 30.000 euro annui, largamente superiori al 60% del reddito complessivo IRPEF del contribuente.
Tale interpretazione risponde, peraltro, sia alla volontà del legislatore (che tiene conto del lavoro effettivamente dedicato all’attività agricola) sia all’interpretazione dell’art. 2, comma 1, lett. b) D.Lgs. n. 504/1992 fornita dalla giurisprudenza (Cass. Sez. V, 20.6.2010, n. 15566), che ancora la natura agricola di un terreno rientrante in area edificabile a tre condizioni di natura oggettiva, consistenti:
a) nel possesso da parte di coltivatore diretto o imprenditore agricolo a titolo principale;
b) nella diretta conduzione da parte del medesimo;
c) nella persistenza dell’utilizzazione agro-silvo-pastorale, mediante esercizio di attività dirette alla coltivazione.
Dette condizioni risultano, nella specie, rispettate.
Irrilevante, allora, appare, nella fattispecie, il richiamo all’art. 11, quaterdecies, comma 16 del D.L. 30.9.2005, n. 203, intervenuto ad interpretare la disposizione ai fini di considerare edificatoria un’area indipendentemente dall’adozione degli strumenti urbanistici attuativi.
Nel caso che occupa, anche a non voler dubitare (questione introdotta con il secondo motivo di ricorso) della natura edificabile dell’area, sovviene la disposizione di cui al secondo periodo della lett. b) dell’art. 2 del D.Lgs. n. 504/1992 che considera, tuttavia, non fabbricabile il terreno sul quale persiste l’utilizzazione agro-silvo-pastorale.
Tale utilizzazione è di fatto dimostrata in tutte le sue condizioni (compresa l’entità del reddito da agricoltura, dimostrata dalle risultanze della dichiarazione IRAP), sicché l’appello avverso la parziale reiezione del ricorso deve essere accolto.
Resta assorbito il secondo motivo di ricorso.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Commissione accoglie l’appello del contribuente e condanna il Comune di M. al pagamento delle spese del doppio grado, liquidate in euro 1.500,00 (millecinquecento).
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