COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE del LAZIO – sezione n. 1 – Sentenza 25 maggio 2013, n. 307
ACCERTAMENTO – CONTI CORRENTI CONTRIBUENTE – AUTORIZZAZIONE E UTILIZZAZIONE – MODALITA’
FATTO
In data 10.03.10 il signor D. S. A., titolare dell’omonima ditta individuale, proponeva ricorso, avanti la Commissione Tributaria Provinciale di Rieti, avverso l’avviso di accertamento n. …, notificatogli in data 12.09.09, anno di imposta 2004.
Con tale atto, che sostituiva un precedente .avviso di accertamento, emesso sulla scorta di una previa verifica fiscale effettuata dall’Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale di Rieti, conclusasi con l’emissione di un p.v.c. notificato in data 18.10.07, si richiedeva al contribuente il pagamento di Euro 496.270,00 ai fini Irpef, Euro 9.925,00 ai fini dell’addizionale regionale. Euro 46.870,00 ai fini Irap, Euro 213.328,00 ai fini Iva, euro 4.411,00 ai fini dell’addizionale comunale, oltre interessi, sanzioni ed oneri accessori.
Più precisamente. la pretesa impositiva scaturiva da una serie di rilievi che l’Amministrazione finanziaria aveva contestato al contribuente, ovvero:
– il recupero a tassazione per costi di manutenzione e riparazione eccedenti la quota fiscalmente deducibile per Euro 32.041,62;
– costi non di competenza per Euro 919,94;
– costi parzialmente indeducibili per Euro 337,76, più Iva indetraibile per Euro 55,74;
– indebita detrazione di costi di rappresentanza;
– il recupero a tassazione per costi non inerenti, quantificati in Euro 2.204,15, più Iva indetraibile per Euro 440,83;
– costi parzialmente indeducibili per Euro 367,58, più iva indetraibile per Euro 83,12;
– infine, a seguito di un’indagine effettuata sulle movimentazioni bancarie, l’Ufficio riprendeva a tassazione i versamenti non giustificati, contestati come operazioni imponibili non contabilizzate, ed i prelevamenti, che venivano valorizzati come acquisti in nero, il tutto per Euro 213.328,84.
Il contribuente chiedeva venisse dichiarata la nullità dell’atto impugnato, da ritenersi illegittimo:
– nella parte in cui l’Ufficio aveva operato i recuperi a tassazione, a seguito delle indagini bancarie, ritenendo che le risultanze bancarie potessero configurarsi quali presunzioni legali, nonostante fossero state irritualmente acquisite in violazione del diritto di difesa:
– nella parte ove l’Ufficio aveva recuperato a tassazione i dati bancari in violazione delle disposizioni di cui all’art. 32 del D.P.R. n. 600/73, attesa la mancata allegazione all’atto impugnato dell’autorizzazione necessaria all’espletamento delle indagini stesse da parte dell’Amministrazione;
– in quanto emesso in violazione dell’art. 6 del D.Lgs. n. 218/97; l’Ufficio, invero, aveva omesso di convocare il contribuente per la definizione dell’accertamento a seguito della rituale istanza presentata in relazione al p.v.c. del 18.10.07;
– in quanto infondato nel merito, in relazione ai recuperi a tassazione cosi come determinati dall’Ufficio a seguito del predetto p.v.c.
Sul punto il contribuente contestava ogni singolo recupero a tassazione, motivando l’erroneità della rettifica operata dall’Amministrazione;
– stante l’infondatezza della pretesa tributaria, in relazione ai recuperi a tassazione derivanti dalie indagini finanziarie ritenute, a loro volta, illegittime.
Anche su tale punto parte ricorrente formulava una serie di considerazioni (talune operazioni bancarie trovavano giustificazione nella contabilità della ditta, altre erano invece ascrivibili a soggetti terzi cointestatari dei conti esaminati dall’Ufficio); argomentava infine, in modo analitico, sui singoli prelevamenti e versamenti, contestando la determinazione del coefficiente di redditività applicato dall’Ufficio.
Si costituiva in giudizio l’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di Rieti, la quale chiedeva il rigetto dei ricorso e, per l’effetto, la conferma dell’atto impugnato stante la validità dell’operato della stessa.
La Commissione Tributaria Provinciale di Rieti, con sentenza n. 29/01/12, depositata il 09.01.12, accoglieva parzialmente il ricorso del contribuente, rideterminando in “Euro 1.208.082,85 l’importo complessivo da recuperare a tassazione relativamente ai rilievo sub G; nel valore di 1,635 l’indice di redditività per l’anno 2004. Conferma nel resto l’atto impugnato e manda all’Ufficio per la rideterminazione delle imposte dovute e delle sanzioni da applicarsi nella misura minima. Spese compensate”.
Il contribuente ha proposto appello avanti la Commissione Tributaria Regionale di Roma chiedendo, in riforma dell’impugnata sentenza, l’accoglimento dell’atto di gravame e di “determinare i recuperi a tassazione derivanti da indagini finanziarie in Euro 148.288,93 in conformità con le risultanze della relazione del C.T.U. e del giudicato penale … nonché fissare il coefficiente di redditività in misura non superiore al 10% dei ricavi …”.
In subordine, parte appellante chiede disporsi una C.T.U., volta ad accertare l’ammontare dei presunti maggiori componenti positivi da recuperare a tassazione ai sensi dell’art. 32, del D.P.R. n. 600/73, anche in considerazione del notevole scostamento tra quanto emerso tra le risultanze della C.T.U. nell’ambito del procedimento penale e quanto quantificato dai primi giudici, stante anche la complessità della materia oggetto del contendere; infine la condanna alle spese dell’Ufficio.
In data 17.10.2012 l’Agenzia delle Entrate si è costituito in giudizio e ha proposto contestualmente appello incidentale, deducendo: 1) che la sentenza penale di assoluzione per ‘mancanza di prove’ non è suscettibile di conseguire automatica efficacia e fare stato nel processo tributario; 2) che la perizia depositata dal contribuente, predisposta in sede penale, non può avere alcuna rilevanza nel processo tributario ai fini di un’eventuale giustificazione delle movimentazioni bancarie; 3) la legittimità dei recuperi a tassazione conseguenti alle risultanze delle indagini finanziarie, stante il valore di presunzioni legali relative di queste e conseguente inversione dell’onere della prova in capo al contribuente; 4) la legittimità dei recuperi a tassazione in virtù delle presunzioni di cui all’art. 32 del D.P.R. n. 600/73, con riferimento ai ricavi, costi e loro deducibilità ed inerenza all’attività produttiva; 5) l’insussistenza della presunta violazione del diritto di difesa, atteso che il previo contraddittorio con il contribuente rappresenta una mera facoltà, non già un obbligo, per l’Amministrazione; del pari, per quanto concerne la mancata convocazione del contribuente a seguito della presentazione dell’istanza di accertamento con adesione e la mancata allegazione all’atto impugnato dell’autorizzazione alle indagini finanziarie; infine, la legittimità dei recuperi a tassazione concernenti i costi (spese di manutenzione e riparazione e relativa indeducibilità); 6) con appello incidentale, “con riferimento all’accertamento di natura finanziaria”, che “non sono indicate le ragioni specifiche che hanno indotto i giudici a ritenere giustificate alcune delle movimentazioni nella documentazione fornita dalla parte”, tenuto conto dei rilievi formulati dallo stesso Ufficio, con conseguente carenza della motivazione della sentenza impugnata; 7) con riferimento al recupero dell’ammontare dei prelevamenti e dei versamenti, l’Ufficio contesta la motivazione della decisione in ordine alla determinazione della percentuale di redditività (calcolata in 1,63 rispetto a quella determinata dall’Ufficio pari ai 60%).
Infine, l’Ufficio chiede la condanna alle spese di giudizio del contribuente in proprio favore.
In data 02.01.12 il contribuente ha depositato una memoria illustrativa, con la quale ribadisce sostanzialmente quanto già dedotto nel proprio atto di gravame, con particolare rilievo in merito alle eccezioni formulate dall’Ufficio alla sentenza resa dalla Commissione Provinciale con la proposizione dell’appello incidentale.
DIRITTO
Questa Commissione, esaminati gli elementi costitutivi del contenzioso, deve rilevare come la tesi sostenuta dalla Commissione Tributaria Provinciale, la quale ha parzialmente accolto il ricorso della ditta, debba essere riformata per le ragioni appresso indicate. Con riguardo alle singole censure proposte dal contribuente, il quale ha dedotto:
1) la illegittimità della decisione impugnata, nella parte in cui il Collegio di prime cure non ha ritenuto sussistere l’inversione dell’onere della prova in capo all’Ufficio in merito alle indagini finanziarie, lamentando il contribuente di non aver potuto esercitare in concreto il proprio diritto di difesa nell’ambito del contraddittorio preventivo.
Il contribuente ribadisce in questa sede l’illegittimità della condotta dell’Amministrazione, la quale avrebbe concesso un termine molto ridotto per fornire le proprie giustificazioni alle risultanze bancarie nel corso del contraddittorio amministrativo, con evidente pregiudizio per lo stesso, il quale sarebbe stato costretto a sua volta a sopportare un’illegittima inversione dell’onere della prova a suo carico.
Questo Collegio ritiene di non poter accogliere il predetto motivo di censura formulato dal contribuente, anche a seguito dell’intervento della sentenza della Corte di Giustizia U.E. richiamato, in quanto, sebbene sia riconosciuto al contribuente il diritto al contraddittorio con l’Amministrazione finanziaria successivamente al rilascio del p.v.c., non può negarsi che il contribuente sia stato comunque in grado di esercitare il proprio diritto di difesa.
Tale circostanza risulta di tutta evidenza se si considerano le difese formulate da questo in sede processuale, che gli hanno peraltro consentito di fornire taluni elementi di prova che non gli era stato comunque possibile presentare in sede procedimentale amministrativa.
Inoltre, se è vero che ai sensi dell’art. 32, comma 1, n. 2 del D.P.R. n. 600/73 gli uffici possono richiedere al contribuente di comparire di persona o per mezzo di rappresentanti per fornire dati e notizie rilevanti ai fini delle indagini bancarie, e sebbene sia consolidata anche nei documenti di prassi tale opportunità, è altresì opinione abbastanza consolidata che la mancata instaurazione del contraddittorio non comporta la nullità dell’accertamento, e non “trasforma” le risultanze dell’Ufficio da presunzioni legali relative a semplici (Cass. n. 2821/08 e n. 20268/08).
2) Per quanto concerne il secondo motivo di censura, il contribuente deduce l’erroneità della decisione impugnata, nella parte in cui non ha ritenuto che la mancata allegazione dell’autorizzazione necessaria ad eseguire le indagini bancarie, da parte dell’Ufficio nei propri confronti, non era stata allegata all’avviso di accertamento con conseguente illegittimità di questo.
Tale omissione, da parte dell’Amministrazione, avrebbe comportato l’illegittimità dell’atto impugnato, emesso sulla scorta di risultanze illegittimamente acquisite nel corso di un procedimento amministrativo viziato ab origine, stante la mancata allegazione dell’autorizzazione all’espletamento delle indagini bancarie sui conti intestati al contribuente all’atto impositivo.
Il Collegio ritiene infondato tale motivo di censura.
Osserva altresì come il c.d. accertamento bancario non sia, in senso tecnico, un accertamento vero e proprio, bensì una particolare procedura che consente ai verificatori di reperire dati utili alla stesura dell’avviso di rettifica.
L’art. 32 del D.P.R. n. 600/73, inoltre, disciplina la possibilità, per l’Agenzia, di procedere ad indagini di tipo bancario e finanziario nei confronti dei contribuenti. Ne discende pertanto la possibilità per l’Ufficio, munito di regolare autorizzazione, di accedere ai conti correnti intestati al contribuente presso gli istituti di credito, di utilizzare gli elementi ritualmente acquisiti, e la conseguente legittimità, sotto questo profilo, dell’atto impositivo emesso.
3) Illegittimità della sentenza di cui si chiede la censura, nella parte in cui il Collegio avrebbe omesso di pronunciarsi in relazione allo specifico motivo di doglianza sollevato dal contribuente, in merito all’omessa convocazione dello stesso, a seguito dell’invio dell’istanza di accertamento con adesione a seguito della notifica dei p.v.c. in data 18.10.07 dall’Agenzia delle Entrate.
La mancata convocazione, secondo il contribuente, avrebbe infatti comportato la violazione di cui all’art. 6 del D.Lgs. n. 218/97, il Collegio, rilevato che i primi giudici hanno omesso di pronunciarsi in merito a tale eccezione, osserva come l’accertamento con adesione di cui al D.Lgs. n. 218/97 consente al contribuente di giungere alla definizione della controversia nella fase precontenziosa in contraddittorio con l’Ufficio.
La definizione mediante adesione all’accertamento comporta, come noto, una serie di benefici in tema di eventuale riduzione della pretesa impositiva e delle relative sanzioni.
Secondo questo Consesso, tuttavia, l’eccezione sollevata dal contribuente non può trovare accoglimento, atteso che la stessa Corte di Cassazione ha stabilito che la mancata risposta all’stanza, da parte dell’Ufficio, non comporta alcuna nullità dell’atto impositivo, posto che essa ha come effetto la sola sospensione del termine per la proposizione del ricorso (Cass. n. 28051/09).
Di conseguenza, la convocazione nei quindici giorni successivi all’istanza, contemplata dall’ art. 6 del D.Lgs. n. 218/97, deve ritenersi non già un obbligo bensì una mera facoltà per gli uffici finanziari.
4) Il legittimità della decisione impugnata, laddove il Collegio avrebbe ritenuto infondato il motivo di doglianza evidenziato dal contribuente, esercente l’attività di autotrasporto merci in conto terzi, essendo questo regolarmente iscritto nei relativo albo degli autotrasportatori, in relazione al recupero a tassazione effettuato dall’Amministrazione concernente i costi di manutenzione e riparazione eccedenti la quota fiscalmente deducibile per Euro 32.041,62.
Preliminarmente, questo Collegio fa presente di aderire a quell’orientamento giurisprudenziale secondo il quale l’eventuale produzione tardiva di un documento in primo grado non si traduce nell’impossibilità di esaminare quello stesso documento in appello, ancorché preesistente (Cass. n. 232/09 e n. 16003/00). A nulla, dunque, valgono le eccezioni sollevate dall’Agenzia, nel proprio atto, in ordine all’inammissibilità di un’eventuale produzione di elementi probatori, da parte del contribuente, in sede di appello, siano essi nuovi e/o preesistenti. Ciò premesso questo Giudice, alla luce della documentazione in atti, non può che riformare tale capo di sentenza e ritenere infondato il recupero a tassazione per Euro 32.041,62 effettuato dall’Agenzia.
Invero il contribuente aveva allegato, già in primo grado, una visura camerale dalla quale si evinceva chiaramente l’iscrizione del contribuente all’albo degli autotrasportatori.
Ne discende che il contribuente, regolarmente iscritto al predetto albo, nonché esercente l’attività di autotrasporto di merci, anche per conto terzi, aveva tutto il diritto a vedersi riconosciuto il diritto alla detrazione integrale dei costi di manutenzione e riparazione di beni aziendali, così come risultante dal libro dei cespiti ammortizzabili.
Tale censura deve ritenersi fondata e, dunque, meritevole di accoglimento.
5) Il contribuente chiede, poi, la censura della sentenza emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale, nella parte in cui questa ha omesso di accogliere il motivo di doglianza concernente i recuperi a tassazione derivanti dalle indagini finanziarie, per errata applicazione delle disposizioni normative di cui all’art. 32 del D.P.R. n. 600/73.
Più specificamente, il contribuente lamenta la ricostruzione operata dall’Amministrazione, “consistente nella sommatoria dei versamenti e dei prelevamenti non giustificati da parte dell’Organo accertatore, in relazione ai conti correnti presi in considerazione, pari a complessivi Euro 1.777.740,38”.
Parte appellante eccepisce “l’impossibilità di fatto di poter conseguire una così consistente mole di ricavi non fatturati, alla luce delle caratteristiche dell’attività esercitata, la quale ha come clientela quasi esclusivamente enti pubblici e, pertanto, già fortemente controllata per quanto concerne la fatturazione dei lavori eseguiti, le modalità di pagamento, le attrezzature impiegate nei vari cantieri, nonché gli adempimenti previsti dalla normativa in vigore in merito alla forza lavoro impiegata nei vari cantieri”.
L’Agenzia delle Entrate, proponendo appello incidentale chiede, a sua volta, una censura su tale capo di sentenza eccependo che, “con riferimento all’accertamento di natura finanziaria”, “non sono indicate le ragioni specifiche che hanno indotto i giudici di primo grado a ritenere giustificate alcune delle movimentazioni nella documentazione fornita dalla parte”, tenuto conto dei rilievi formulati dallo stesso Ufficio, con conseguente carenza della motivazione della sentenza impugnata.
Il Collegio ritiene di dover accogliere le doglianze del contribuente e di dover quindi riformare la sentenza impugnata anche su questo capo, tenuto conto che, nel caso di specie, si è trattato di conti correnti intestati a più soggetti circostanza, questa, che il ricorrente ha proceduto a giustificare con apposite prove documentali, in ordine alle singole operazioni di versamento e prelevamento” (v.d. prospetti riepilogativi allegati, buste paga, fatture attive e passive, partitario, distinte di versamento ed assegni, etc.), consentendo al Collegio di ritenere insussistente un’interposizione fittizia tra il beneficiario formale e quello effettivo.
Le indagini bancarie consentono all’Ufficio di acquisire elementi idonei a supportare processi di rideterminazione della base imponibile.
In particolare, i dati e gli elementi rinvenuti in sede di accertamento bancario possono essere utilizzati ai fini della rettifica della base imponibile dichiarata dal contribuente se questi non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione della base imponibile stessa o che non hanno avuto rilevanza allo stesso fine.
L’art. 32, comma, 1, n. 2 dei D.P.R. istituisce infatti una presunzione legale relativa. sia per i prelevamenti che per i versamenti, per cui incombe sul contribuente l’onere di dimostrare che i versamenti trovano giustificazione nella contabilità o che concernono fatti fiscalmente irrilevanti.
Alla luce di quanto sopra, a nulla valgono le eccezioni formulate dall’Ufficio, sia in relazione alla parte di sentenza ad essa sfavorevole in cui i Giudici hanno ritenuto giustificate alcune delle movimentazioni bancarie fornite dalla parte sia in ordine all’impossibilità da parte di questo Giudice di utilizzare in questa sede le risultanze penali.
L’Amministrazione, nel proprio atto, insiste nel chiedere che venga dichiarata la legittimità del proprio operato e la riforma della sentenza impugnata senza nulla aggiungere rispetto a quanto dedotto nel corso del giudizio di primo grado. Nel processo tributario vigono enormi limitazioni probatorie (è vietata la prova testimoniale), quindi è vero che il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza irrevocabile di condanna o di assoluzione dell’imputato in materia di reati tributari ed estendere gli effetti della stessa con riguardo all’azione accertatrice, ma lo stesso può e deve, in virtù del libero convincimento, esercitare i propri poteri di autonoma valutazione delle eccezioni dedotte dalle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (Cass. n. 7558/02, n. 8488/09, n. 16238/09). Quanto esposto non consente deroga nemmeno nell’ipotesi in cui il giudicato penale consista in un’assoluzione con la formula “perché il fatto non sussiste”.
Ciò detto, a fronte di quanto emerso sia dalle risultanze riportate nella C.T.U. redatta dal Rag. R. nell’ambito del procedimento penale allegata dal contribuente, che dalla documentazioni in atti dallo stesso depositata, questo Giudice rileva come l’Ufficio non sia stato in grado di fornire alcuna prova contraria, limitandosi a ribadire genericamente quanto già affermato nell’atto impositivo e nel ricorso introduttivo.
Dall’esame della predetta consulenza e dalla documentazione in atti emerge chiaramente come i componenti positivi che sarebbero stati omessi dal contribuente, per l’anno di imposta 2004, debbano essere determinati in Euro 148.288,93, in luogo di quelli indicati dall’Ufficio in Euro 1.777.740,38.
La semplice produzione della perizia disposta in sede penale è noto a questo Giudice che non possa ritenersi sufficiente a superare le presunzioni dell’Ufficio (Cass. n. 223636/10, n. 10036/11), tuttavia l’Agenzia delle Entrate non risulta aver fornito alcuna prova contraria idonea ad inficiare la documentazione prodotta in atti dal contribuente il quale, di contro, ha dimostrato con certezza l’assoluta irrilevanza fiscale di gran parte delle operazioni contestate.
Le prove offerte dalla difesa del contribuente debbono ritenersi quindi idonee a superare la ricostruzione dell’Ufficio in ordine alle operazioni di versamento e prelevamento determinate complessivamente in Euro 1.777,740,38, atteso che dalla documentazione prodotta si evince in modo inequivocabile che la restante somma, pari ad Euro 1.629.451,45, risulta essere stata giustificata in modo dettagliato con riferimento ad ogni singola operazione effettuata dal contribuente e da soggetti terzi ai quali erano imputabili le restanti operazioni di prelevamento e versamento ed il relativo beneficiario attivo di queste.
Da ciò si ritiene di dover riformare la sentenza impugnata, che ha statuito la legittimità dell’atto impositivo anche nella parte in cui ha ritenuto di recuperare a tassazione, ritenendole non giustificate e quindi ricavi presuntivamente non contabilizzati, talune movimentazioni bancarie come in essa indicate, a fronte delle giustificazioni fornite dal contribuente per Euro 1.629.451,45.
Si ritiene quindi fondata la cesura mossa dal contribuente, il quale ha dimostrato la non rilevanza fiscale della gran parte delle movimentazioni bancarie, e si stabilisce che il recupero a tassazione debba avvenire limitatamente ai componenti positivi che risultano omessi dalla parte, per hanno di imposta 2004, che vanno determinati in Euro 148.288,93.
6) “Illegittimità della decisione impugnata laddove il Collegio giudicante non accoglie integralmente il motivo di doglianza evidenziato dall’appellante in merito al coefficiente di redditività da applicare all’importo complessivo da recuperare a tassazione derivante dalle indagini finanziarie e determina lo stesso nel valore di 1,635”, alla luce dell’attività esercitata e della relativa clientela.
Anche tale capo di sentenza è stato impugnato dall’Ufficio il quale, con riferimento al recupero dell’ammontare dei prelevamenti e dei versamenti, contesta la motivazione della decisione in ordine alla determinazione della percentuale di redditività (calcolata dal Collegio di prime cure in 1,63 rispetto a quella determinata dall’Ufficio pari al 60%).
Per quanto concerne la determinazione della percentuale di redditività che ha caratterizzato l’attività del contribuente, nell’anno di imposta accertato, necessita un esame, sia in ordine alla congruità che alla coerenza degli stessi, che in relazione alla determinazione dei ricavi cosi come risultante all’esito del giudizio.
Ora va da sé come la tesi dell’Ufficio, il quale vorrebbe che venisse confermata la redditività del 60%, valore elaborato su una serie di elementi che si sono rivelati errati, e dunque non più applicabili al caso di specie, non possa trovare accoglimento.
Parimenti, per lo stesso principio, il coefficiente di redditività indicato dai primi giudici nella misura di 1,635 deve essere valutato alla luce della rideterminazione dei ricavi così come sopra indicata.
Per tale ragione, dal momento che l’indice di redditività per l’anno 2004, oltre a rispettare i requisiti di congruità e coerenza previsti dallo studio di settore, risultava essere in linea con quella dichiarato nell’anno 2003, in relazione al quale il contribuente è stato già oggetto di verifica dallo stesso Ufficio (cfr. avviso di accertamento allegato in atti), e per il quale questo non ha contestato una redditività significativamente maggiore rispetto a quella dichiarata, si ritiene di dover confermare quello indicato dal contribuente, peraltro in linea con il tariffario per le attività edili esercitate nella regione in cui opera la ditta del contribuente che va quindi individuato nella misura del 10%.
Questo Collegio, pertanto, esaminata tutta la documentazione in atti nel fascicolo d’ufficio, non può che riformare la sentenza resa dai primi giudici, dichiarando parzialmente illegittimo l’avviso di accertamento n. …/2009, anno d’imposta 2004, statuendo che il recupero a tassazione da parte dell’Amministrazione finanziaria debba avvenire nei confronti del contribuente limitatamente ad Euro 148.288,93.
Stabilisce altresì che l’indice di redditività, per i suindicati ricavi, venga ricalcolato dall’Ufficio nella misura del 10%, e che le sanzioni vengano applicate nella misura minima.
Le spese di lite del presente giudizio, tenuto conto della parziale reciproca soccombenza in entrambi i gradi di giudizio, debbono ritenersi compensate tra le parti.
P.Q.M.
La Commissione accoglie in parte l’appello del contribuente come in motivazione, respinge l’appello incidentale dell’Ufficio. Stante la complessità della materia in trattazione e comunque la soccombenza parziale delle parti in causa, le spese processuali restano a carico di coloro che le hanno sopportate.
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