COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE del LAZIO – sezione n. 28 – Sentenza 16 maggio 2013, n. 114
RIMBORSO – IRPEF – INCENTIVO ALL’ESODO – DOMANDA DI RIMBORSO – DECADENZA – DECORRENZA
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E OGGETTO DELLA DOMANDA
Il sig. P.O. ha proposto appello per l’annullamento o la riforma della sentenza della Commissione tributaria provinciale di Roma n. 48/63/12 con la quale il primo giudice ha ritenuto legittimo il rigetto, per decadenza, a norma dell’art. 38 D.P.R. n. 602/1973, dell’istanza avanzata il 7 maggio 2008 da detto contribuente per il rimborso del 50% dell’Irpef trattenuta dal datore di lavoro sull’indennità di incentivo all’esodo corrisposta in occasione della cessazione del rapporto di lavoro avvenuta in data 30 giugno 2002. Ha in particolare esposto l’appellante:
– di aver cessato, in data 30 giugno 2002, il suo rapporto di lavoro con A. , con il riconoscimento di un’indennità di esodo in virtù della quale percepiva la somma complessiva di € 186.162,12, alla quale veniva applicata l’aliquota Irpef piena, con trattenuta di € 55.327,38;
– di non aver goduto, per ragioni di età e di sesso (in quanto cinquantatreenne uomo) dell’aliquota Irpef ridotta del 50% sulle somme corrisposte in occasione della cessazione del rapporto di lavoro per incentivare l’esodo: beneficio previsto (a norma dell’art. 19, comma 4 bis del D.P.R. 22 dicembre 1986, come modificato dal D.Lgs. 2 settembre 1997, n. n. 314 e dal successivo D.Lgs. 18 febbraio 2000, n. 47) a favore dei lavoratori di età superiore, al momento della cessazione del rapporto di lavoro, a 55 anni, se uomini e a 50 anni, se donne;
– di essersi visto respingere dal primo giudice (a motivo della decadenza di cui all’art. 38 del D.P.R. 602/1973) il ricorso proposto contro il silenzio rifiuto serbato dall’Ufficio sull’istanza avanzata in data 7 maggio 2008 volta ad ottenere il rimborso dell’imposta:
Ciò premesso, l’appellante, con un unico motivo d’appello, ha sostenuto l’infondatezza dell’eccezione di decadenza formulata dall’ufficio, ex art. 38 del D.P.R. n. 602/1973, e accolta dal giudice di primo grado, deducendo, in sostanza, che il suo diritto al rimborso era divenuta certo soltanto in seguito alle pronunce della Corte di giustizia CE, dalle quali derivava l’obbligo del giudice nazionale di disapplicare qualsiasi discriminazione contraria al diritto comunitario, senza doverne chiedere la previa rimozione da parte del legislatore, e senza che potesse opporsi agli aventi diritto decadenze maturate anteriormente al momento in cui il diritto era divenuto certo nell’ordinamento comunitario.
Nel merito l’appellante ha sostenuto che il carattere discriminatorio, in danno degli uomini, della disposizione di cui all’art. 19, comma 4 bis del D.P.R. 22 dicembre 1986, era stato affermato con sentenza 21 luglio 2005, causa C-207/04, con cui la Corte di giustizia dell’Unione europea aveva dichiarato che la direttiva del Consiglio CE 76/207 andava interpretata nel senso che essa osta ad una norma, quale quella controversa nella causa principale che consente, a titolo di incentivo all’esodo, il beneficio della tassazione con aliquota ridotta alla metà delle somme erogate in occasione dell’interruzione del rapporto di lavoro ai lavoratori che hanno superato i 50 anni, se donne, e i 55 anni, se uomini.
Ha pertanto chiesto l’appellante la riforma della sentenza gravata deducendo di avere diritto al rimborso, in quanto la norma di diritto interno vigente all’epoca dei fatti (che escludeva dal beneficio dell’aliquota ridotta gli uomini che avevano compiuto i 50 anni di età ma non i 55) era discriminatoria e contraria alla direttiva n. 76/207 CE. Essa andava pertanto disapplicata, limitatamente alla parte contraria alla suddetta direttiva come interpretata dalla Corte di giustizia CE, secondo i noti principi affermati dalla giurisprudenza della Corte costituzionale a cominciare dalla sentenza n. 170 del 1984.
L’Agenzia delle Entrate, Direzione provinciale di Roma, ha depositato controdeduzioni, con le quali ha eccepito l’inammissibilità dell’appello, a norma dell’art. 53, comma 1, del D.Lgs. 546/1992, non avendo l’appellate mosso specifiche critiche alla sentenza impugnata, in quanto si era, in sostanza, limitato a riproporre la domanda respinta in primo grado.
Nel merito ha chiesto la conferma della sentenza di primo grado, osservando che nel caso di specie il rapporto giuridico tributario, essendo intervenuta decadenza, doveva ormai considerarsi esaurito e pertanto non suscettibile di essere rimesso in discussione neppure in presenza delle pronunce della Corte di giustizia dell’Unione Europea che avevano reso evidente il diritto del contribuente. All’udienza del 27 marzo 2013 si è svolta la discussione orale nel corso della quale i rappresentati delle parti ha ribadito le loro rispettive posizioni e conclusioni.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Come esposto nella narrativa che precede l’appellante, in data 7 maggio 2008, ha avanzato istanza per il rimborso del 50% dell’Irpef trattenuta dal datore di lavoro sull’indennità di incentivo all’esodo corrisposta in occasione della cessazione del rapporto di lavoro avvenuta in data 30 giugno 2002, allorché il contribuente aveva l’età di 53 anni.
La domanda era volta ad ottenere l’applicazione del beneficio delle riduzione dell’aliquota fiscale sulle somme corrisposte dai datori di lavoro a titolo di incentivo all’esodo: beneficio che l’art. 19, comma 4-bis D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 prevedeva per i lavoratori che avessero al momento della cessazione del rapporto di lavoro 50 anni di età, se donne, e 55, se uomini, ma che dalle successive pronunce della Corte di giustizia CE avrebbe dovuto applicarsi, secondo l’appellante, anche agli uomini ultracinquantenni.
Il primo giudice ha rigettato il ricorso ritenendo che il contribuente era incorso nella decadenza prevista dall’art. 38 D.P.R. n. 602/1973, per essere trascorsi, alla data della domanda di rimborso, oltre 48 mesi dalla data in cui era stata applicata la trattenuta fiscale.
Ha per contro sostenuto l’odierno appellante di aver avanzato detta domanda di rimborso allorché il suo diritto era divenuto evidente per effetto delle pronunce della Corte dei giustizia dell’Unione europea, dalle quali derivava la necessità di disapplicare la disposizione interna discriminatoria (L’art. 19, comma 4-bis del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917) nella parte in cui aveva previsto età diverse tra uomini (55 anni) e donne (50 anni) per la fruizione del suddetto beneficio fiscale.
Da dette pronunce derivava inoltre l’obbligo dello Stato di applicare alla categoria sfavorita, uomini, la norma prevista per la categoria favorita, donne, con la conseguenza che avendo compiuto l’appellante cinquanta anni di età all’epoca della cessazione del rapporto di lavoro, aveva diritto al beneficio e al conseguente rimborso.
L’appellante ha concluso che non gli si poteva opporre la decadenza stabilita dell’art. 38 D.P.R. n. 602/1973, dato che il termine di 48 mesi ivi previsto non poteva decorrere da data anteriore a quella in cui l’esistenza del diritto al rimborso era divenuta evidente in seguito ai pronunciamenti della Corte di Lussemburgo.
Così riassunti i termini della controversia, va innanzitutto respinta l’eccezione dell’ufficio resistente di genericità dell’appello.
L’appellante ha infatti mosso alla sentenza gravata, come si è visto sopra, la specifica critica secondo la quale i primi giudici avevano male applicato il disposto dell’art. 38 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, non considerando che il termine di decadenza di 48 mesi della domanda di rimborso ivi previsto non poteva decorrere da data anteriore a quella in cui era divenuto evidente il diritto al rimborso per effetto della pronunce della Corte di giustizia CE.
Orbene, la formulazione di tale doglianza soddisfa adeguatamente all’onere di specificazione dei motivi d’appello previsto all’art. 53 del D.Lgs. 31 dicembre 1992,n. 546 e dall’art. 342 del c.p.c., onde va respinta l’eccezione dell’ufficio resistente.
Passando all’esame del merito della questione oggetto dell’appello, è necessario brevemente rammentare che l’art. 19, comma 4-bis, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, prevedeva l’applicazione di un’aliquota dell’Irpef agevolata (50% di quella ordinaria) sulle somme percepite, all’atto della cessazione del rapporto di lavoro, a titolo di incentivo all’esodo, dai lavoratori che al momento della cessazione del rapporto avessero superato cinquant’anni di età, se donne, e cinquantacinque, se uomini.
Con sentenza del 21 luglio 2005, in causa C-207/04, la Corte di Giustizia CE ha dichiarato che tale disposizione contrastava con la direttiva del Consiglio della CE 9 febbraio 1976, n. 76/207/CEE, relativa all’attuazione del principio di parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro. La direttiva, secondo la Corte di giustizia, andava infatti interpretata nel senso che ad essa ostava la norma di diritto interno che differenziava l’età della donna da quella degli uomini, quale requisito per il beneficio fiscale connesso all’incentivo all’esodo.
In seguito a tale pronuncia il legislatore interno è intervenuto con l’art. 36, comma 23, del decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, nella legge 4 agosto 2006, n. 248. Con tale disposizione è stato abrogato del tutto il suddetto art. 19, comma 4-bis T.U. n. 917/1986, con la conseguente radicale esclusione del beneficio di cui si tratta nel diritto interno, sia per gli uomini che per donne.
La Corte di giustizia è però intervenuta di nuovo, affermando, con ordinanza del 16 gennaio 2008 (in cause riunite da C-128/07 a C-131/07) che qualora sia stata accertata una discriminazione incompatibile con il diritto comunitario, finché non siano adottate misure volte a ripristinare la parità di trattamento, il giudice nazionale è tenuto a disapplicare qualsiasi disposizione discriminatoria, senza doverne chiedere o ottenere la previa rimozione da parte del legislatore, e deve applicare ai componenti della categoria sfavorita lo stesso regime che viene riservato ai componenti dell’altra categoria”.
In seguito a tale ordinanza l’Agenzia delle Entrate, con circolare n. 62/E del 29 dicembre 2008, ha dato disposizioni a se stessa e ai propri uffici, in relazione ai casi che ratione temporis erano ancora disciplinati dell’abrogato art. 19, comma 4-bis T.U. n. 917/1986, di applicare anche agli uomini la disciplina prevista per le donne, fatta però esclusione per i rapporti giuridici ormai esauriti per effetto della prescrizione, della decadenza o del giudicato.
Così riassunto il quadro giuridico, ritiene il Collegio che non sia sostenibile la premessa implicitamente sottesa alle argomentazioni dell’ufficio resistente ed al contenuto della circolare appena menzionata per le quale, in sostanza, la prevalenza della normativa comunitaria imponeva l’onere all’odierno appellante di far valere il suo diritto anche in presenza di una norma dell’ordinamento interno che vi si opponeva, il che egli avrebbe potuto fare, in teoria, ancor prima della pronuncia del 2005 della Corte di giustizia, appellandosi direttamente al principio di non discriminazione desumibile dalla direttiva del Consiglio della CE 9 febbraio 1976. Questa Commissione tributaria regionale ritiene che tale ragionamento non possa essere seguito, non potendosi pretendere la sussistenza di un onere del cittadino dello Stato membro di avanzare ricorso giurisdizionale semplicemente sulla base di una direttiva comunitaria suscettibile di diversi modi di trasposizione nel diritto interno. La Corte di giustizia CE ha al riguardo affermato che non possono essere di ostacolo all’applicazione del diritto comunitario, così come interpretato dalla stessa Corte di giustizia, le norme di diritto interno sulla prescrizione e sulla decadenza, in relazione al periodo in cui sia esistita, a causa della mancata trasposizione di una direttiva comunitaria nel diritto interno, una situazione d’incertezza del diritto per i singoli potenziali beneficiari della direttiva stessa: stato d’incertezza che viene meno solo con la corretta trasposizione della direttiva che renda la certezza giuridica necessaria per pretendere che i singoli facciano valere i loro diritti (così, Corte di giustizia della Comunità Europee 25 luglio 1991, Emmot, resa nella causa C-208/90).
Per quanto attiene alla questione oggetto del presente appello, deve rilevarsi che solo con la sentenza del 21 luglio 2005, in causa C-207/04 la Corte di Giustizia CE ha affermato per la prima volta il carattere discriminatorio del disposto dell’ art. 19, comma 4-bis T.U. n. 917/1986 e la sua contrarietà con la direttiva del Consiglio della CE 9 febbraio 1976, n. 76/207/CEE, in mancanza di una trasposizione nell’ordinamento interno italiano.
Inoltre, solo con l’ordinanza della stessa Corte di giustizia del 2008 è sorto l’obbligo per i giudici interni di applicare anche agli uomini la disposizione più favorevole vigente nel diritto interno, in relazione ai rapporti giuridici anteriori all’abrogazione del beneficio per cui è causa nel frattempo intervenuta ad opera dell’art. 36, comma 23, del decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, nella legge 4 agosto 2006, n. 248.
All’epoca in cui è stata applicata la trattenuta sulla somma corrisposta all’appellante a titolo di incentivo all’esodo era vigente, sia pure nella forma discriminatoria di cui si è detto, la disposizione di diritto interno che prevedeva il beneficio dell’aliquota ridotta sulle somme percepite dal lavoratore a titolo d’incentivo all’esodo. Da ciò deriva che dovendosi nel caso di specie fare applicazione della disposizione del diritto comunitario così come interpretata dalla Corte di giustizia, per il noto principio della prevalenza del diritto comunitario stesso su quello interno, va riconosciuto all’appellante, ultracinquantenne all’epoca della cessazione del rapporto di lavoro, il diritto al beneficio in questione. Infatti nel caso di disposizione interna discriminatoria, va applicata, come affermato dalla citato ordinanza della Corte di giustizia del 2008, la norma prevista per la categoria favorita, che nel caso di specie erano le donne, a cui il beneficio spettava, appunto, se ultracinquantenni.
La domanda di rimborso è da ritenere pertanto tempestiva, per essere il diritto divenuto certo soltanto con l’ordinanza della Corte di Giustizia CE del 16 gennaio 2008 (in cause riunite da C-128/07 a C-131/07), prima della quale, in relazione al caso di specie, non può ritenersi decorso alcun termine di prescrizione o di decadenza.
L’appello va pertanto accolto, nel senso che spetta al contribuente l’applicazione del beneficio dell’aliquota ridotta del 50% sulle somme percepite a titolo d’incentivo all’esodo e va conseguentemente accolta la sua domanda di rimborso. In considerazione della complessità della questione trattata ritiene il Collegio che sussistano le ragioni per disporre la compensazione delle spese.
P.Q.M.
La Commissione tributaria regionale accoglie l’appello del contribuente. Spese compensate.
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