COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della LOMBARDIA – Sentenza 14 febbraio 2013, n. 40
RISCOSSIONE – CARTELLA DI PAGAMENTO – COLLABORAZIONE E BUONA FEDE TRA CONTRIBUENTE E FISCO-ERRORE NEL CALCOLO DEGLI INTERESSI – NON PRECLUSIONE ALLA VALIDITA’ DEL RAVVEDIMENTO – NON DEBENZA SANZIONE PARI AL 30% DEGLI IMPORTI TARDIVAMENTE VERSATI
MASSIMA
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Il ravvedimento operoso è valido anche nel caso in cui il contribuente in buona fede versi interessi inferiori rispetto a quelli effettivamente dovuti. L”incompleto versamento dei soli interessi non può determinare il mancato perfezionamento del ravvedimento operoso, quando la differenza tra il dovuto e il versato è irrisoria, e ciò anche in considerazione dei frequenti errori generati dai software di calcolo in commercio.Il rispetto dello spirito dello Statuto del contribuente, improntato al principio di collaborazione e buona fede tra contribuente ed Amministrazione Finanziaria, verrebbe meno se si dovesse ritenere legittima una sanzione consistente nel pagamento di rilevante importo a fronte di un errore di ammontare irrisorio, commesso in buona fede dal contribuente.Nel caso di specie, la buona fede del contribuente è dimostrata dalla volontà espressa dallo stesso di voler regolarizzare il mancato versamento di quanto dovuto.
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Fatto e svolgimento del processo
La società contribuente effettuava due versamenti, rispettivamente per Euro 274.988,00 ed Euro 236.500,00, a titolo di ravvedimento operoso per tardivo versamento di ritenute. Dai conteggi effettuati dall’Ufficio, emergeva un importo di interessi dovuti superiore a quanto effettivamente versato dalla società. Benché le cifre versate in meno risultassero molto modeste sia in termini assoluti che in termini di riferimento agli importi complessivi (rispettivamente Euro 142,79 ed Euro 6,03), l’Ufficio riteneva non perfezionato l’istituto del ravvedimento operoso ed iscriveva a ruolo l’intera sanzione del 30% degli importi tardivamente versati. La società ricorreva e l’Ufficio si costituiva.
La Commissione tributaria provinciale accoglieva il ricorso e compensava le spese. La sentenza veniva appellata tempestivamente dall’Ufficio che rilevava come ininfluenti dovessero essere ritenute le considerazioni dei primi giudici fondate su argomenti di indubbio impatto emotivo, ma di scarso valore giuridico. Uno dei requisiti indispensabili ai fini del perfezionamento del ravvedimento consiste infatti nel versamento dell’intero ammontare dovuto all’Erario a titolo di imposta, di sanzioni ridotte e di interessi e non vi è dubbio che la società ha versato un importo inferiore al dovuto. Né, nel caso in esame, può configurarsi come perfezionato un ravvedimento operoso parziale poiché l’istituto previsto dalla Risoluzione n 67/E del 23.06.2011 invocata da controparte è diretta a ravvedere solo una parte dell’importo non versato, mentre la volontà della contribuente non è pacificamente finalizzata ad un ravvedimento parziale. Allegava giurisprudenza di Cassazione e chiedeva la riforma della sentenza, con vittoria di spese di entrambi i gradi del giudizio.
La società si costituiva eccependo, in via preliminare, l’inammissibilità dell’appello per violazione dell’art. 53 del D.Lgs. 546/1992. L’Ufficio, infatti, non avrebbe espresso alcuna specifica censura alla sentenza in punto di violazione dei richiamati principi di buona fede e correttezza previsti dalla L. 27 luglio 2000, n. 212. Osservava poi che lo Statuto del contribuente disciplina i principi di buona fede, della collaborazione e dell’affidamento, principi che, se messi in atto, non possono giustificare la richiesta di pagamento di oltre 164.000 euro a fronte di un errore di calcolo, pacificamente commesso in buona fede, ammontante a 148 euro complessivi. Contestava ancora l’appello dell’Ufficio nelle considerazioni riferite alla giurisprudenza della Suprema Corte citata e chiedeva la declaratoria di inammissibilità dell’appello, la conferma della sentenza impugnata, ed, in via subordinata, lo sgravio della cartella di pagamento ed il riconoscimento della decurtazione degli importi già versati in conseguenza del ravvedimento operoso. Con vittoria di spese.
Motivi della decisione
Preliminarmente devesi qui respingere l’eccezione di inammissibilità dell’appello per violazione dell’art. 53 del D.Lgs. 546/1992. L’Ufficio appellante, infatti, impugna la sentenza sostenendo l’ininfluenza delle considerazioni dei primi giudici fondate sulla esiguità delle somme omesse e sulla volontà della contribuente di perfezionare il ravvedimento operoso. Censura poi la sentenza sostenendo che la Commissione tributaria provinciale non può ritenere contrario a correttezza e buona fede il comportamento che nega il perfezionamento del ravvedimento operoso per una differenza così irrisoria, trattandosi di argomento suggestivo ma inconsistente dal punto di vista giuridico ed affrontando dunque esplicitamente il tema della violazione dei principi sanciti nell’art. 10 dello Statuto del contribuente.
Bisogna invece osservare che la questione sollevata dall’Ufficio riguarda l’eventuale incompleto versamento dei soli interessi, avendo la società versato integralmente e correttamente sia le ritenute precedentemente omesse che le sanzioni calcolate nella misura ridotta. E, dunque, appare di tutta evidenza la buona fede della contribuente che si è avvalsa, per il calcolo, di un software commercialmente in uso, giammai potrebbe essere sospettata di aver voluto lucrare la differenza di 148 euro su di importi di molte centinaia di euro versate per perfezionare il ravvedimento operoso.
Se il calcolo degli interessi dovesse risultare dunque errato, si tratterebbe di un palese errore scusabile. Ma anche sul calcolo degli interessi l’Ufficio non è convincente. Come ha ben evidenziato la società/gli importi richiesti in cartella a titolo di interessi (Euro 1.869,89 ed Euro 2.174,19) risultano incomprensibili nel loro ammontare. Né in questa sede contenziosa viene esplicitato alcun elemento in merito alla metodologia utilizzata per il calcolo, risultando impossibile, non solo alla contribuente, ma anche all’attuale giudice, il controllo della correttezza dello stesso conteggio. Se infatti l’Ufficio ha chiarito la misura degli interessi risultati mancanti a seguito del ravvedimento operoso, ancora non si capisce la misura degli interessi che risultano iscritti a ruolo. L’art. 20 del DPR 602/1973 stabilisce che sulle imposte o sulle maggiori imposte dovute in base alla liquidazione ed al controllo formale della dichiarazione si applicano gli interessi nella misura pro tempore vigente, calcolati a partire dal giorno successivo a quello di scadenza del pagamento e fino alla data di consegna dei ruoli al concessionario. Risulta di tutta evidenza che la verifica delle due date sopra indicate è fondamentale per la determinazione degli interessi ed è sufficiente l’errore di un solo giorno per determinare una differenza di pochi euro (appunto l’irrisoria differenza che qui viene contestata alla società contribuente) che si pretenderebbe annullare la validità del ravvedimento.
Tanto premesso, si deve aggiungere che il rispetto dello spirito dello Statuto del contribuente, improntato al principio di collaborazione e buona fede tra contribuente ed amministrazione finanziaria, verrebbe meno se si dovesse ritenere legittima una sanzione consistente nel pagamento di oltre 164.000 euro per un errore di euro 148, errore eventualmente commesso in buona fede dal contribuente. E sulla buona fede della società non vi è dubbio alcuno. Né vi sono dubbi sulla volontà espressa dalla contribuente di voler regolarizzare il mancato versamento di ritenute alla fonte operate nel mese di dicembre 2007.
Disconoscere l’efficacia del ravvedimento operoso in simili condizioni sarebbe contrario anche al principio statuito dalla ordinanza dei giudici della Suprema Corte richiamata dallo stesso Ufficio.
Ed, infatti, detta sentenza si riferisce ad un caso di insufficiente versamento di somme a titolo di sanzioni ridotte, caso diverso da quello di insufficiente versamento di interessi. L’istituto del ravvedimenti è certamente istituto eccezionale che deroga alla regola generale e che sottosta a precise e rigide condizioni, tra cui quella dell’esatto ed integrale versamento di quanto dovuto, perché, se così non fosse, si aprirebbe la strada alla validazione di versamenti qualsiasi della già ridotta sanzione. Ma sempre di sanzione parla la citata sentenza, non di interessi, accessorio che è certamente dovuto, ma che non è elemento che può incidere sulla valutazione della volontà del contribuente, né risulta essere di agevole determinazione, per i motivi ben esplicitati più sopra.
Pare quindi a questo Collegio che la questione versi in tema di errore scusabile, principio generale di cui, contrariamente a quanto sostenuto dall’Ufficio, la stessa amministrazione finanziaria riconosce la rilevanza giuridica.
Per tali ragioni ritiene questa Commissione che l’appello dell’Ufficio non possa trovare accoglimento e che la sentenza qui impugnata debba essere confermata. La particolarità della fattispecie suggerisce la compensazione tra le parti delle spese del giudizio.
P.Q.M.
La Commissione tributaria regionale di Milano rigetta l’appello dell’Ufficio. Spese compensate.
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