COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della Lombardia sentenza n. 2639 sez. 5 del 19 giugno 2019
Esenzione – Circolare ministeriale – Vincolatività – Giudice – Comune – Concessionario per la riscossione – Non sussiste
La società I. S.R.L., in qualità di concessionaria del servizio di accertamento e riscossione dell’imposta comunale di pubblicità per conto del Comune di R., notificava alla società I. S.P.A. l’avviso di accertamento n. ../2016, relativo all’anno 2016, con cui assoggettava ad imposizione i pannelli pubblicitari (di dimensione pari a cm 32,5 x 31 = 1007,5 cmq.) applicati sui carrelli spesa del centro commerciale A. sito nel Comune di R..
Avverso l’avviso di accertamento proponeva ricorso la società I. s.p.a., ricorso che la Commissione Tributaria Provinciale di Milano, sezione 4, con sentenza n. 4640/17, pronunciata il 24/05/17 e depositata il 7/7/17, accoglieva compensando integralmente tra le parti le spese di lite.
Appellava la concessionaria evidenziando, preliminarmente, che il Ministero dell’Economia e delle Finanze non può dettare linee interpretative in tema di liquidazione, accertamento e riscossione delle entrate degli enti locali e che, in ogni caso, le circolari e le risoluzioni ministeriali non vincolano né i contribuenti, né i giudici, né costituiscono fonti di diritto.
Nel merito, sosteneva che la fattispecie pubblicitaria di cui si discute non poteva rientrare tra le ipotesi di esenzione di cui all’art. 17, comma 1, lett. a), del D.Lgs. n. 507 /1993, norma che non consente un’interpretazione estensiva.
I mezzi pubblicitari oggetto di accertamento sono posizionati nel parcheggio, sia interno sia esterno, e, quindi, visibili a tutti e, pertanto, oggettivamente idonei a far conoscere, indiscriminatamente, a tutti il nome o il prodotto dell’azienda.
In conseguenza di quanto sopra, chiedeva, in riforma della sentenza impugnata, la conferma dell’avviso di accertamento in contestazione con vittoria di spese.
Controdeduceva la società I. s.p.a. eccependo preliminarmente la nullità dell’appello in quanto mancante dei motivi specifici di impugnazione.
La contribuente lamentava inoltre la violazione dell’art. 57, comma 2, del D.Lgs. n. 546/1992 in relazione all’eccezione sollevata da controparte in ordine all’asserito divieto di interpretazione analogica estensiva delle norme tributarie ed in particolare dell’art. 17, comma 1, lett. a), del D.Lgs. n. 507/1993.
In ogni caso, affermava che, come statuito dalla Corte di Cassazione, l’interpretazione analogica in materia tributaria non è affatto preclusa.
Nel merito ribadiva che la fattispecie in esame rientrava a pieno titolo tra i casi di esenzione disciplinati dal più volte citato art. 17, circostanza confermata dallo stesso Ministero delle Finanze che, con risoluzione prot. 48696 del 23/12/2014 ha chiarito che l’esenzione in parola si applica anche nel caso dei centri commerciali e, quindi, anche nel caso di visibilità dei messaggi anche dai clienti di altri esercizi che fanno parte del medesimo centro commerciale.
La società, nel citare una serie di precedenti giurisprudenziali favorevoli alla tesi sostenuta, chiedeva:
in via preliminare, di dichiarare inammissibile l’appello;
in via preliminare subordinata di dichiarare inammissibile l’eccezione sollevata dall’appellante per la prima volta con l’atto di appello circa l’asserita violazione del divieto di interpretazione analogica/evolutiva in materia tributaria;
Nel merito, respingere l’appello poiché infondato in fatto ed in diritto;
in ogni caso, condannare controparte alla refusione di spese, onorari e diritti di entrambi i gradi di giudizio, con specifica richiesta di rimborso del contributo unificato, con distrazione delle spese in favore del procuratore antistatario.
La società depositava memoria illustrativa e di replica insistendo nelle conclusioni rassegnate in sede di controdeduzioni.
Con discussione in pubblica udienza, questa Commissione, sentite le parti presenti, ha deliberato come da dispositivo.
Motivi della decisione
In via preliminare la contribuente eccepisce la nullità dell’appello dell’Agenzia delle Entrate in quanto mancante dei motivi specifici di impugnazione richiesti dall’art. 53 del D.Lgs. n. 546/1992.
In particolare, secondo la contribuente, l’appellante, non formula motivi specifici di censura ma si limita a ripropone quanto già esposto nelle proprie controdeduzioni.
L’art. 53 citato stabilisce che l’indicazione dei motivi specifici dell’impugnazione costituisce un requisito essenziale dell’atto di appello. Con la formulazione dei motivi specifici, l’appellante individua le questioni che formano l’oggetto e l’ambito del riesame chiesto al giudice di seconde cure, denunciando gli errori commessi dai primi giudici e precisando le ragioni concrete per cui chiede la riforma della sentenza impugnata.
La Corte di Cassazione ha sostenuto che l’indicazione dei motivi non deve necessariamente consistere in una rigorosa e formalistica enunciazione delle ragioni dell’impugnazione, ma, piuttosto, un’esposizione chiara e univoca del devolutum per ottenere la riforma della sentenza impugnata con l’accoglimento della domanda iniziale.
Pertanto, l’inammissibilità va dichiarata solo nel caso in cui l’enunciazione dei motivi manchi o sia assolutamente incerta, ovvero quando essa, si presenta tale da non consentire l’individuazione del nucleo della censura rivolta contro la decisione impugnata. (Cass. 13/11/2015, n. 23226; Cass. 21/10/2013, n. 23719; Cass. 30/10/2010, n. 24454; Cass. 20/12/2007, n. 26842).
Nel caso di specie il requisito richiesto è stato rispettato. Non siamo, infatti, in presenza né di una richiesta generica di riforma della sentenza impugnata, né del puro e semplice rinvio al ricorso introduttivo od alle controdeduzioni depositate nel giudizio di primo grado, ma ad un appello strutturato in cui, ovviamente, sono riproposte le stesse tesi già sollevate in precedenza e che la Commissione Tributaria Provinciale aveva ritenuto di non accogliere.
La Commissione ricorda poi che se è vero che il Ministero delle Finanze non ha potere ispettivo e di controllo nei confronti degli enti locali in materia di liquidazione, accertamento e riscossione delle entrate degli enti stessi, è parimenti vero che questi ultimi non hanno facoltà di intervenire in materia di individuazione e definizione delle fattispecie imponibili, dei soggetti passivi e delle aliquote massime dei vari tributi.
Le circolari ministeriali sono atti tipicamente amministrativi con i quali il Ministero detta ai dipendenti uffici istruzioni per la retta applicazione della legge, risolvendo le eventuali perplessità cui può dar luogo il testo della legge.
Che le circolari, proprio perché semplici atti amministrativi, non possano vincolare il giudice ad accogliere l’interpretazione data alla legge è cosa assolutamente pacifica. Per quanto concerne, invece, l’efficacia della circolare nei confronti dell’Ufficio destinatario è opinione prevalente che quest’ultimo sia tenuto a uniformarsi.
Nel merito, l’appellante sostiene che i mezzi pubblicitari di cui si discute (mezzi pubblicitari sui carrelli della spesa) non possono rientrare nell’ipotesi di esenzione di cui all’art. 17, comma 1, lett. a), del D.Lgs. n. 507 /1993 e che le esenzioni in materia di imposta sulla pubblicità disciplinate dal suddetto articolo non possono essere soggette ad interpretazione analogica.
La tesi non appare fondata e deve, pertanto, essere respinta.
L’art. 17 citato stabilisce, al primo comma lettera a), che è esente dall’imposta “la pubblicità realizzata all’interno di locali adibiti alla vendita di beni o alla prestazione di servizi quando si riferisca all’attività negli stessi esercitata …”.
La questione di cui si discute non involge una eventuale interpretazione analogica dell’art. 17, ma, più semplicemente, richiede di stabilire, ai fini dell’esenzione dall’imposta di pubblicità, se i parcheggi, interni ed esterni, dei centri commerciali sono o meno parte integrante, dei locali adibiti alla vendita.
Sul punto ha avuto modo di pronunciarsi il Ministero dell’Economia e delle Finanze che, con Risoluzione n. 48696 del 23 dicembre 2014, ha nuovamente chiarito che: “Alla luce di tale disposizione, come è sempre stato sostenuto in materia – si ricorda a tale proposito la Risoluzione n. 901 del 16 luglio 1982 – non sono, pertanto, rilevanti ai fini della assoggettabilità al tributo né le dimensioni né le caratteristiche del mezzo tantomeno l’occasionale visibilità all’esterno del messaggio tributario diffuso mediante la circolazione del carrello all’interno del centro commerciale o del parcheggio”.
Da ultimo, la Commissione rileva l’inconferenza dell’Ordinanza citata dall’appellante (Cass. civ. Sez. V, 15 marzo 2017, n. 6714) avendo la stessa per oggetto una fattispecie diversa da quella in esame, (la Corte ha statuito su cartelloni pubblicitari posti in un centro commerciale all’interno del quale erano presenti poste, banche, bar, ristorante, albergo ed università).
Alla luce di quanto sopra, la Commissione, ritenendo che la pubblicità posta sui carrelli della spesa, ancorché gli stessi circolino all’interno del centro commerciale e del parcheggio esterno, rientri nell’esenzione di cui all’art. 17, comma 1, lett. a), del D.Lgs. n. 507/1993, respinge l’appello della società I. s.r.l. e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.
La natura prevalentemente interpretativa delle questioni affrontate giustifica l’integrale compensazione delle spese tra le parti.
P.Q.M.
La Commissione respinge l’appello e compensa le spese.
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