COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE dell’Aquila sentenza n. 203 sez . 5 del 22 febbraio 2016
ACCERTAMENTO – NON VI E’ OBBLIGO DI CONTRADDITTORIO ENDOPROCEDIMENTALE PER GLI ACCERTAMENTI “A TAVOLINO”.
FATTO
L’Agenzia delle entrate di Teramo effettuava una serie di controlli bancari nei confronti della società immobiliare — Srl, facente riferimento al dott. A.T., dai quali si evidenziavano operazioni sospette sotto il profilo fiscale, con riferimento agli anni 2006 e 2007. La parte veniva informata di ciò ed invitata a fornire chiarimenti. I prospetti relativi venivano compilati e, sulla base dei chiarimenti forniti, l’Ufficio emetteva due distinti avvisi di accertamento, uno relativo al 2006, nel quale venivano accertati maggiori compensi per euro 416.828,00= ed uno per il 2007 nel quale venivano accertati maggiori compensi per euro 204.391,00=.
La società contribuente impugnava i due avvisi di accertamento avanti la Commissione tributaria provinciale di Teramo, rilevando, nella sostanza, in primo luogo la violazione del principio del contraddittorio ed in secondo luogo l’errata determinazione e qualificazione del maggior reddito accertato. La Commissione tributaria adita, dopo aver disposto una consulenza tecnica d’ufficio che evidenziava, tra l’altro, come alcune somme contestate configurassero la restituzione di finanziamenti effettuati dal T. alla società, decideva con sentenza n. 284 del 27 marzo 2014, depositata l’undici luglio successivo, accogliendo il ricorso e condannando l’Amministrazione alla refusione delle spese di lite. La decisione si fondava esclusivamente sulla considerazione che il processo verbale di constatazione era stato redatto e comunicato al contribuente in data 21 dicembre 2011, ed era stato subito seguito dagli avvisi di accertamento notificati il 28 dicembre 2011. Tale successione temporale avrebbe violato il settimo comma dell’art. 12 dello statuto del contribuente, il quale stabilisce che l’avviso di accertamento non possa essere emesso prima di sessanta giorni dalla notifica del verbale di chiusura delle operazioni, tranne particolari motivi di urgenza che nel caso concreto non si rinvenivano.
Tale sentenza veniva appellata dall’Amministrazione finanziaria con atto del 13 febbraio 2015, nel quale si evidenziava come il termine di sessanta giorni, di cui all’art. 12 comma 7 dello statuto del contribuente non si applicasse al caso di specie, in quanto lo stesso era riferibile esclusivamente alla fattispecie di controlli e verifiche nel domicilio del contribuente e non alla diversa fattispecie di controlli eseguiti dall’Ufficio sulla base di meri riscontri documentali, nella specie bancari.
Il contribuente si costituiva con controdeduzioni del 10 aprile 2015, ribadendo le proprie ragioni in ordine a tale aspetto ed insistendo per la conferma della decisione impugnata. L’Ufficio illustrava ulteriormente le proprie tesi con memoria del 7 gennaio 2016.
All’udienza del 21 gennaio 2016, presenti il dr. A.L.Q. per l’Ufficio e l’avv. A.F. per il contribuente, i quali insistevano nelle rispettive richieste così come da verbale d’udienza, la questione veniva decisa come da dispositivo. Diritto Il ricorso in appello proposto dall’Amministrazione finanziaria merita di essere accolto in quanto il comma 7 dell’art. 12 dello statuto del contribuente non si applica al caso di specie.
In tal senso la recentissima Cass., S.U., 9 dicembre 2015 n. 24823 ha delineato l’ambito di operatività del comma 7 dell’art. 12 dello statuto del contribuente, negando che nell’ordinamento italiano vi sia un “obbligo di contraddittorio endoprocedimentale” in assenza di una specifica disposizione, trattandosi di accertamenti cosiddetti “a tavolino” che non necessitano di accessi e visite nei locali del contribuente: solo per questi ultimi, infatti, la norma che impone il contraddittorio prima dell’accertamento è espressamente prevista. In concreto, poi, l’Ufficio ha tenuto ampiamente conto delle osservazioni del contribuente, tanto è vero che ha notevolmente ridotto, sia prima che durante il giudizio, la propria pretesa impositiva anche rispetto agli importi risultanti dalla espletata consulenza tecnica d’ufficio. Il che dimostra – sotto altro profilo – come tra l’Amministrazione ed il contribuente si sia realizzato un effettivo e concreto dialogo, che permette di escludere la violazione del principio del contraddittorio.
Venendo al merito della questione, non affrontato in primo grado, occorre rilevare come sulla base dell’espletata consulenza tecnica sia possibile rideterminare gli importi accertati in euro 102.065,50= per l’anno 2006 ed in euro 49.285,13= per l’anno 2007.
Si tratta di importi che discendono da un analitico esame delle somme movimentate sul conto corrente del contribuente e delle motivazioni offerte, e che tengono conto sia delle osservazioni e delle giustificazioni del contribuente stesso, sia delle osservazioni del consulente tecnico contenute nella relazione del 2 dicembre 2013, che evidenziano, per i due anni in discussione, motivazioni assenti, o mancanti di prova, o riferite ad operazioni non inerenti all’attività d’impresa.
Ne consegue che il reddito accertato per l’anno 2006 può essere determinato, in euro 102.065,50=, mentre quello per l’anno 2007 in euro 49.285,13=. Alla condanna del contribuente in riferimento a tali somme consegue l’applicazione delle sanzioni nella misura di legge, così come correttamente applicate dall’Ufficio, ovviamente ricalcolate sulla base degli importi concretamente accertati in questa sede. In questo ordine di idee tutte le rimanenti questioni possono ritenersi assorbite. Le spese di lite dei due gradi di giudizio possono essere interamente compensate in virtù del cambiamento di giurisprudenza, peraltro assai recente, segnato dalla citata Cass., S.U., 9 dicembre 2015 n. 24823. Le spese di consulenza tecnica, liquidate nella misura già determinata in primo grado, devono essere poste a carico della società contribuente sulla base del principio della parziale soccombenza.
PQM
La Commissione regionale dell’Abruzzo, quinta sezione, accoglie l’appello dell’Amministrazione finanziaria e, in parziale riforma della decisione impugnata, ridetermina il reddito accertato come da motivazione. Compensa integralmente le spese di lite dei due gradi del giudizio e pone a carico del contribuente quelle della CTU nella misura già liquidata in primo grado.
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