COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DI MARCHE – Sentenza 08 ottobre 2018, n. 615
Reddito societario – Cessione quote di partecipazione – Difformità di contenuto tra contratto preliminare e contratto definitivo – Occultamento plusvalenza
Il contribuente ricorre avverso l’atto impositivo de quo con il quale l’Agenzia, sulla scorta del p.v.c. della GdF n. 147/2015, procedeva alla rideterminazione del reddito della società aumentandolo di euro 908.181,00 di cui €. 400.100,00 quale importo di utili portato in diminuzione sul conto economico applicando il regime di cui all’art. 87 del TUIR senza possederne i requisiti previsti dalla legge ed €uro 508.072,00 quale plusvalenza occultata in sede di stipula di un atto definito di vendita di quote di partecipazione laddove il prezzo di cessione veniva indicato in misura di molto inferiore rispetto a quello concordato con il preliminare relativo.
Il maggior reddito accertato derivava pertanto dalla rivalutazione del prezzo dichiarato nell’atto definitivo di vendita del 9.1.2008 a favore della “Società Immobiliare E. di L.P. sas” delle quote sociali di partecipazione (il cui valore nominale complessivo era di €. 12.000,00) che il contribuente (congiuntamente ad altri due soci) possedeva nella società “P.C. srl,” , fissato in €. 1.275.500,00 e quindi in misura molto più bassa rispetto a quello concordato nel prodromico contratto preliminare sottoscritto in data 5.9.2007 ivi indicato in €. 2.800.000,00, contratto che è stato distrutto ed è stato rinvenuto in copia per puro caso dagli Agenti della GdF in occasione di altro accertamento presso la stessa ditta V.C. srl.
L’agenzia sosteneva inoltre che nei tre anni precedenti la stipula dell’atto di cessione di quote del 9.1.2008, la società P.C. srl in realtà non aveva svolto attività commerciale per cui il contribuente non aveva diritto alla esenzione delle plusvalenze da cessione di cui all’art. 87 del TUIR.
Il contribuente impugnava l’atto impositivo sostenendo la legittimità del proprio operato ricordando che la società P.C. srl, contrariamente a quanto sostenuto dall’ufficio, nei tre anni precedenti aveva effettuato due vendite immobiliari e quindi svolto attività commerciale ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 55 del TUIR e 2195 c.c. per cui aveva diritto ai benefici di cui al cit. art. 87 cit.
Deduceva altresì che il minor prezzo indicato nell’atto definitivo di cessione era in realtà un prezzo veritiero in quanto la società “acquistata”, contrariamente a quanto assicurato dal venditore nel preliminare, aveva posizione debitorie passive che in sede di stipula del definitivo l’acquirente si era accollato per cui il prezzo di vendita, al netto degli oneri accollatisi dal venditore, non poteva che essere inferiore a quello concordato nel preliminare (a sostegno produceva una perizia contabile di parte).
Da ultimo, solo in sede di discussione dinanzi ai primi giudici, ha eccepito la tardività dell’accertamento fiscale perché eseguito oltre i termini di legge.
Resisteva l’amministrazione finanziaria adducendo la bontà della verifica prima e dell’avviso dell’accertamento poi chiedendo quindi il rigetto del ricorso con la condanna del ricorrente alle spese di lite.
La CTP, accedendo alle argomentazione della GdF e quindi dell’Ufficio finanziario, respingeva il ricorso del contribuente con contestuale sua condanna alla spese di lite.
Impugnava la società V.C. srl lamentando che la sentenza gravata era priva di motivazione in quanto si sostanziava in una pedissequa ripetizione delle argomentazioni del p.v.c. e quindi ribadendo le proprie tesi sia in merito alla differenza del prezzo del definitivo rispetto al preliminare che in relazione al diritto all’esenzione delle plusvalenze ricavate dalla cessione di quote.
Chiedeva pertanto la riforma della sentenza di prime cure e il favore delle spese.
Resisteva l’amministrazione che invocava il rigetto del gravame – vinte le spese di lite.
Medio- tempore l’appellante chiedeva ed otteneva la sospensiva sia dell’atto impugnato che della sentenza di prime cure.
La causa quindi veniva discussa e decisa nella udienza pubblica del 30.1.2018 laddove la CTR si riservava di decidere.
Motivazione
L’appello è infondato e pertanto va respinto.
Nulla quaestio circa la tardività dell’accertamento in quanto tale eccezione oltre che essere è stata tardivamente sollevata in primo grado sarebbe comunque infondata atteso il diritto in capo all’amministrazione del beneficio del raddoppio dei termini visto che la fattispecie riveste i requisiti di illecito penale (oltretutto formalmente introdotto ) e da ultimo in quanto, in ogni caso, respinta dai primi giudici, non è stata oggetto di gravame e quindi sulla stessa si è formato il giudicato (di reiezione).
Altresì infondata è l’eccezione di carenza di motivazione di cui sarebbe affetta la sentenza di prime cure.
Detta sentenza è ampiamente e condivisibilmente motivata in ogni sua parte ed è del tutto irrilevante il fatto che i primi giudici, nel loro motivare, abbiano riprodotte argomentazioni degli agenti accertatori che hanno condiviso dopo averli attentamente esaminati e averne spiegato le ragioni ancorché ripercorrendo l’iter logico giuridico dagli stessi seguito.
Andando al merito.
Del tutto condivisibile si appalesa la sentenza di prime cure.
Ritiene infatti il collegio che i soggetti persone fisiche, soci della V.C. srl ( quale detentrice di quote di partecipazione della P.C. srl insieme ad altri due soci) abbiano creato società (P.C. srl- e C.C. srl ) e quindi concluso una sequela di contratti ( contratto preliminare di permuta del 30.12.2004 con la società I. srl e la sig.ra F. – contratto preliminare di cessione di quote del 5.9.2007 a favore del sig. L.P. che ricomprendeva altresì il contratto di permuta del 30.12.2004 – contratto di cessione del 100% del capitale sociale del 9.1.2008 laddove veniva escluso il contratto di permuta previsto nel preliminare e quindi contratto preliminare di vendita in data 14.1.2008 tra la ditta cessionaria delle quote della P.C. srl (S.I. E. di L.P. sas) da una parte e l’I. e la sig.ra F., dall’altra, avente ad oggetto lo stesso bene immobile di cui al preliminare del 30.12.2004 cit., che hanno di fatto realizzato un coacerva di atti tendenti ad una indebita evasione di imposta.
Infatti, pur riconoscendo legittimo che il contratto preliminare non sempre debba esattamente corrispondere al contratto definitivo per diversissimi motivi, non vi è alcuna ragione di distruggerlo in concomitanza della stesura del definitivo senza che in quest’ultimo se ne faccia menzione alcuna e senza spiegare i motivi perché il contenuto del secondo sia sostanzialmente diverso dal prodromico accordo obbligatorio (nel definitivo viene omessa la cessione dei beni acquisiti in permuta con il preliminare del 30.12.2004.
E se a detta ragionevole osservazione associamo il fatto che le parti comunque hanno di fatto onorato integralmente il contratto preliminare concluso nel settembre 2007 a mezzo stipula ,dopo pochi giorni (e cioè in data 14.1.2008) della firma del definitivo, di altro atto preliminare tra i cessionari delle quote della P.C. (S.I.E. di L.P. sas per l’85% e arch. P. per il restante 15%) e gli stessi soggetti I. e F., firmatari insieme alla P.C. del preliminare del 30.12.2004, allora risulta evidente che le uniche ragioni che hanno mosso le parti ad operare in tal senso sono quelle di eludere le imposte dovute siccome condivisibilmente spiegato dagli agenti accertatori e ribadito dai giudici di prime cure.
Di nessun valore probatorio è la perizia di parte a firma del dott. V. del 6.6.2008 perché, oltre che essere di parte, in ogni caso come ben evidenziato dai primi giudici non fa menzione alcuna del contratto preliminare di permuta (di rilevante valore) inserito nel preliminare di cessione e scomparso nel definitivo e quindi del tutto inattendibile per cui anche le argomentazione costi addotte per giustificare il minor prezzo di vendita (assunzione da parte degli acquirenti dei debiti della P.C. che in sede di preliminare la promittente cedente si era impegnata ad estinguere prima della stesura del definitivo) non possono costituire elemento (peraltro unico) idoneo e sufficiente a giustificare il minor prezzo di cessione fissato con il contratto definitivo rispetto a quello concordato con il preliminare.
Pertanto sul punto corretta e condivisibile è la decisione dei primi giudici.
Altrettanto dicasi per quanto riguarda l’applicazione del regime di esenzione della tassazione previsto dall’art. 87 del DPR n. 917/( detta PEX).
Anche qui il comportamento tenuto dai soci della P.C. srl è di natura elusiva.
Tale società, costituita nel 2001 con capitale sociale complessivo di €.12.000,00, avente come oggetto sociale “la costruzione di edifici”, non ha mai operato in tal senso, come del resto ammesso esplicitamente dal ctp dott. V., e cioè mai ha costruito edifici non possedendo né sedi, ne personale, né macchinari, né cantieri, né avendo stipulato contatti di energia, né avuto disponibilità di mezzi finanziari propri.
L’appellante rappresenta che in ogni caso la P.C. srl ha posto in essere attività commerciale (art. 55 del TUIR richiamato dall’art. 87 e 2195 c.c.) e a sostegno richiama A) l’acquisto del Palazzo V. in data 26.06.2006 e rivenduto alla C.E.V.I. costruzioni in data 17.12.2007 ( i cui soci sono gli stessi della P.C. srl) e B) l’acquisto degli immobili in agro di Camerario poi ceduti al gruppo L. tramite la cessione di quote di cui si è detto.
Orbene la prima operazione , come condivisibilmente affermato dai primi giudici, in realtà costituisce mero artifizio al fine di par apparire all’esterno che la P.C. srl svolgeva attività “commerciale” . Infatti il rilievo dell’appellante circa la previsione di tale circostanza in sede di stipula del contratto preliminare del 5.9.2007 pluricitato è del tutto irrilevante ai fini del beneficio fiscale di cui all’art. 87 del TUIR atteso che detta clausola era solo destinata a precisare che dal contratto di cessione delle quote era escluso il palazzo V. che sarebbe di fatto sarebbe rimasto in proprietà dei soci della P.C. srl che per l’effetto è stata preventivamente ceduto nel 2007, e cioè prima della cessione definitiva delle quote del 9.1.2008, a diversa società facente capo agli stessi soci. Quindi tale operazione non può esser considerata operazione commerciale sostanzialmente intesa come attività di scambio e ciò è come vendita di bene al fine di generare ricavi.
Di conseguenza nella fattispecie difetta uno dei requisiti voluti dalla norma per fruire dell’invocato beneficio (PEX) e cioè lo svolgimento per tre anni consecutivi di attività di impresa e/o di attività commerciale.
Pertanto il gravame proposto va respinto e per l’effetto confermata la impugnata decisione.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
A scioglimento della riserva assunta e definitivamente pronunciando, respinge l’appello del contribuente che condanna alla rifusione delle spese del grado a favore dell’appellato che liquida in complessivi €. 4.000,00 oltre rimborso forfettario delle spese in ragione del 15% e accessori di legge se ed in quanto dovuti.
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