COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE EMILIA ROMAGNA – Ordinanza 15 novembre 2021, n. 215

Tributi – ICI – Esenzione – Presentazione della domanda di variazione catastale per il riconoscimento della ruralità – Previsione che richiede l’inserimento dell’annotazione negli atti catastali per il riconoscimento retroattivo nei casi in cui l’adempimento è stato riconosciuto tecnicamente impossibile, perché gli immobili sono stati soppressi. – Decreto-legge 31 agosto 2013, n. 102, convertito, con modificazioni, nella legge 28 ottobre 2013, n. 124, art. 2, comma 5-ter.

Ritenuto in fatto

Il giudizio di riassunzione è stato incardinato a seguito dell’ordinanza della Corte di Cassazione n. 28135/19, pronunciata il 28 maggio 2019 e depositata il 31 ottobre 2019, con la quale è stata annullata la sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna n. 2514/9/2017, depositata il 18 settembre 2017, non notificata, resa nel giudizio avverso l’avviso di accertamento per l’ICI 2006.

Il Caseificio sociale L.C. ha chiesto in via principale di accogliere il ricorso e per l’effetto di dichiarare nullo l’avviso di accertamento impugnato per i quattro fabbricati non oggetto di autotutela da parte del comune; in via subordinata, di sottoporre al vaglio di legittimità costituzionale la norma di riferimento, laddove non prescrive la possibilità di ottenere l’esenzione dei fabbricati a destinazione rurale non più censiti nel catasto edilizio, per violazione dell’art. 3 e 53 della Costituzione e dell’immanente principio di ragionevolezza; con condanna del Comune di Concordia sulla Secchia alle spese del giudizio di Cassazione e di rinvio.

Il resistente Comune di Concordia sulla Secchia chiede di dichiarare l’inammissibilità del ricorso per riassunzione; in subordine, di rigettare il ricorso, ritenendo dovuta l’ICI con riferimento ai quattro fabbricati privi di annotazione di ruralità ed oggetto di accertamento; e di condannare il contribuente alle spese del giudizio di legittimità e del presente grado.

Il Caseificio sociale L.C. era proprietario di sei fabbricati per i quali il Comune di Concordia sulla Secchia ha notificato il 25 luglio 2008 l’avviso n. 44/2008 prot. n. 4976 con il quale veniva accertata l’omessa dichiarazione (e l’omesso versamento del tributo) per l’annualità ICI 2006 per un ammontare complessivo di euro 15.686,21 oltre sanzioni ed interessi.

La sentenza n. 132 del 29 settembre 2009 della Commissione tributaria provinciale di Modena, Sezione 2, accoglieva il ricorso del contribuente (già «Caseificio S.P. soc. coop.») ritenendo dimostrata la natura rurale dei fabbricati, che dovevano considerarsi esclusi dall’ICI per mancanza del presupposto impositivo ai sensi dell’art. 23, comma 1-bis del decreto-legge n. 207/2008 e dell’art. 9, comma 3-bis del decreto-legge n. 557/1993.

Il comune proponeva appello e la Commissione tributaria regionale, con sentenza n. 26/13/11 del 18 aprile 2001, rigettava il ricorso, confermando l’esenzione ICI dei fabbricati in contestazione.

Il comune impugnava la sentenza di secondo grado in Cassazione, che con l’ordinanza n. 426 del 27 novembre 2013 cassava la sentenza con rinvio alla C.T.R. per la decisione di merito.

Il caseificio, riassumendo il giudizio, ribadiva la tesi della ruralità dei fabbricati contestati in virtù della domanda di variazione ex art. 7, comma 2-bis del decreto-legge n. 70/2011 presentata dalla cooperativa per tutti i fabbricati oggetto dell’accertamento, con la conseguente esenzione dall’ICI degli stessi. Nel corso del processo si riscontrava un ridimensionamento della pretesa comunale a quattro dei sei fabbricati in quanto, dagli atti di causa, emergeva l’annotazione della ruralità per due di essi, mentre per gli altri quattro, pur in presenza dell’istanza di cui al decreto-legge ex art. 7, comma 2-bis del decreto-legge n. 70/2011, non risultava alcuna annotazione, dato che detti fabbricati, a tale data, non erano più censiti nel catasto dei fabbricati rurali, in seguito a un frazionamento che aveva originato altri subalterni.

La Commissione tributaria regionale, con la sentenza n. 2216/01/2017 del 7 luglio 2017 accoglieva l’appello della contribuente e per l’effetto confermava l’esclusione dall’ICI, con compensazione delle spese di tutti i gradi di giudizio.

Avverso la nuova sentenza di secondo grado, il Comune di Concordia sulla Secchia proponeva ancora ricorso in Cassazione; la cooperativa, nel controricorso, replicava alle obiezioni del comune sottolineando in particolare l’impossibilità dell’annotazione della ruralità su fabbricati ormai non più censiti.

La Suprema Corte, con ordinanza n. 28135-19, ha accolto il ricorso proposto dal comune, cassando la sentenza impugnata n. 2514/9/2017, con nuovo rinvio alla C.T.R. dell’Emilia-Romagna per la decisione di merito. La sentenza di rinvio conclude precisando espressamente che la legittimità della norma si fonda sulla annotazione della ruralità, nella specie non sussistente, e quindi rimanda la decisione alla C.T.R. dell’Emilia-Romagna, che si dovrà attenere al principio di diritto affermato.

Trattenuta in decisione in data 11 dicembre 2020, con ordinanza del 9 febbraio 2021 – ritenuta l’opportunità di sentire le parti – la causa è stata rimessa sul ruolo.

Le parti hanno presentato ulteriori memorie e sono state ammesse alla discussione all’udienza del 6 luglio 2021, al termine della quale il Collegio ha trattenuto la causa in decisione.

Considerato in diritto

Nella sua ultima produzione prima della discussione, il comune ha allegato la recente sentenza n. 226/1/2021 di questa Commissione tributaria regionale, che in un caso analogo a quello in esame ha rigettato il ricorso in riassunzione «in quanto si fonda sul tentativo di rimettere in discussione i principi di diritto enunciati, pretendendo un riconoscimento della ruralità non fondato sulle risultanze catastali, ma su argomentazioni diverse, come la circostanza che il nuovo fabbricato ha i requisiti di ruralità e quindi anche quelli soppressi ed in questo inglobati devono essere considerati rurali. La parte cerca inammissibilmente di pervenire a conclusioni diverse dal principio enunciato dalla Corte».

Questo orientamento, che certamente ha il pregio di ricomporre un contrasto tra giurisprudenza di merito e di legittimità verificatosi sul tema non solo nel caso di specie (in cui si registra il secondo rinvio alla C.T.R.), ma non rende giustizia sostanziale, neppure ricercando una soluzione costituzionalmente orientata all’interno dell’ordinamento, come si preciserà di seguito. Occorre dunque esaminare la questione di legittimità costituzionale posta con la domanda subordinata.

Termini e motivi della questione di costituzionalità.

1. Termini.

Oggetto: art. 2, comma 5-ter del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 102, convertito, con modificazioni, in legge 28 ottobre 2013, n. 124.

Parametri: articoli 3 e 53 della Costituzione.

2. Motivi.

Non manifesta infondatezza.

Non è in discussione il principio di diritto affermato dalla Corte di cassazione, ossia che l’annotazione costituisca il fondamento per l’attuale riconoscimento della ruralità di un fabbricato, quanto se – nel caso specifico, che riguarda una vicenda di fatto consumatasi anteriormente al regime previsto dalle norme richiamate – tale orientamento possa comportare la lesione di diritti tutelati dalla Costituzione, in particolare negli articoli 3 e 53, come lamentato dal contribuente nella domanda subordinata.

Si è cercato di approfondire anzitutto se il giudizio possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale, procedendo ad una valutazione sul merito della pretesa impositiva, di cui la Suprema Corte non può essere investita (cfr. Cassazione, SS.UU., 25 ottobre 2013, n. 24148, secondo cui la portata vincolante della sentenza rescindente «è limitata all’enunciazione della corretta interpretazione della norma di legge, e non si estende alla sussunzione della norma stessa nella fattispecie concreta»).

L’esito di tale esame appare tuttavia negativo, atteso che l’ipotesi dell’equivalenza dell’annotazione di ruralità di riferimento sulle particelle catastali generate dal frazionamento del fabbricato soppresso è già stata percorsa dalla precedente pronuncia di questa Commissione, cassata dall’ordinanza di rinvio; la questione è stata espressamente esaminata in diritto ed esclusa dalla Corte di cassazione.

Sostiene infatti la Suprema Corte nell’ordinanza di rinvio: «va in primo luogo, qui ribadito l’orientamento di legittimità in terna di ICI dei fabbricati rurali secondo cui, per la dimostrazione della ruralità dei fabbricati, ai fini del trattamento esonerativo, è dirimente l’oggettiva classificazione catastale con attribuzione della relativa categoria (A/6 per le unità abitative, o A/10 per gli immobili strumentali); sicché l’immobile che sia stato iscritto come “rurale”, in conseguenza della riconosciuta ricorrenza dei requisiti previsti dal decreto-legge 30 dicembre 1993, n. 557, art. 9 (conv. In legge 26 febbraio 1994, n. 133) non è soggetto all’imposta ai sensi del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 207, art. 23, comma 1-bis (conv. in legge 27 febbraio 2009, n. 14) e del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, art. 2, comma 1, lettera a); per converso, qualora l’immobile sia iscritto in una diversa categoria catastale (di non ruralità), è onere del contribuente, che invochi l’esenzione dall’imposta, impugnare l’atto di classamento per la ritenuta ruralità del fabbricato, restandovi altrimenti quest’ultimo assoggettato; – allo stesso modo, il comune deve impugnare autonomamente l’attribuzione della categoria catastale A/6 o D/10, al fine di poter legittimamente pretendere l’assoggettamento del fabbricato all’ICI. Si tratta di orientamento già fissato dalla sentenza SS.UU. n. 18565/09, secondo cui (in motivazione): “in tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), l’immobile che sia stato iscritto nel catasto fabbricati come rurale, con l’attribuzione della relativa categoria (A/6 o D/10), in conseguenza della riconosciuta ricorrenza dei requisiti previsti dal decreto-legge n. 557 del 1993, art. 9, conv. con legge n. 133 del 1994, e successive modificazioni, non è soggetto all’imposta ai sensi del combinato disposto del decreto-legge n. 207 del 2008, art. 23, comma 1-bis, convertito con modificazioni dalla legge n. 14 del 2009 e del decreto legislativo n. 504 del 1992, art. 2, comma 1, lettera a). L’attribuzione all’immobile di una diversa categoria catastale deve essere impugnata specificamente dal contribuente che pretenda la non soggezione all’imposta per la ritenuta ruralità del fabbricato, restando altrimenti quest’ultimo assoggettato ad ICI: allo stesso modo il comune dovrà impugnare l’attribuzione della categoria catastale A/6 o D/10 al fine di potere legittimamente pretendere l’assoggettamento del fabbricato all’imposta”.

Tuttavia, vanno evidenziati, quale ius superveniens, i seguenti disposti che hanno incidenza per l’esito della presente controversia:

1) Il decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, che all’art. 7, comma 2-bis ha previsto che, ai fini del riconoscimento della ruralità degli immobili, i contribuenti avessero la facoltà (esercitabile entro il 30 settembre 2011) di presentare all’allora Agenzia del territorio una domanda di variazione della categoria catastale per l’attribuzione della categoria A/6 e D/10, a seconda della destinazione, abitativa o strumentale dell’immobile, sulla base di una autocertificazione attestante che l’immobile possedeva i requisiti di ruralità di cui al decreto-legge n. 557 del 1993, art. 9, convertito in legge n. 133 del 1994, e modificato dal decreto-legge 1° ottobre 2007, n. 159, art. 42-bis, convertito con modificazioni in legge 29 novembre 2007, n. 159, “in via continuativa a decorrere dal quinto anno antecedente a quello di presentazione della domanda”;

2) dal decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 214, convertito, con modificazioni in legge 22 dicembre 2011, n. 214, che ha quindi previsto all’art. 13, comma 14-bis, che le domande di variazione di cui al predetto decreto-legge n. 70 del 2011 producessero “gli effetti previsti in relazione al riconoscimento del requisito della ruralità fermo restando il classamento originario degli immobili ad uso abitativo”;

3) il decreto ministeriale economia e finanze 26 luglio 2012, che ha stabilito, all’art. 1, che “Ai fabbricati rurali destinati ad abitazione ed ai fabbricati strumentali all’esercizio dell’attività agricola è attribuito il classamento, in base alle regole ordinarie, in una delle categorie catastali previste nel quadro generale di qualificazione. Ai fini dell’iscrizione negli atti del catasto della sussistenza del requisito di ruralità in capo ai fabbricati rurali di cui al comma 1, diversi da quelli censibili nella categoria D/10 (Fabbricati per funzioni produttive connesse alle attività agricole), è apposta una specifica annotazione. Per il riconoscimento del requisito di ruralità, si applicano le disposizioni richiamate al decreto-legge 30 dicembre 1993, n. 557, art. 91 convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1994, n. 133 e art. 2 “Presentazione delle domande per il riconoscimento del requisito di ruralità”; 4) dal decreto-legge 31 agosto 2013, n. 102, convertito, con modificazioni, in legge 28 ottobre 2013, n. 124, all’art. 2, comma 5-ter, che ha stabilito che “ai sensi della legge 27 luglio 2000, n. 212, art. 1, comma 2, decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, art. 3, comma 14-bis, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, deve intendersi nel senso che le domande di variazione catastale presentate ai sensi del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, art. 7, comma 2-bis, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 maggio 2011, n. 106, e l’inserimento dell’annotazione degli atti catastali, producono gli effetti previsti per il requisito di ruralità di cui al decreto-legge 30 dicembre, n. 557, art. 9, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1994, n. 133 e successive modificazioni, a decorrere dal quinto anno antecedente a quello di presentazione della domanda”.

Si tratta di disposizioni che rafforzano l’orientamento esegetico già adottato dalle SS.UU. nel 2009, in quanto disciplinano le modalità (di variazione-annotazione) attraverso le quali è possibile pervenire alla classificazione della ruralità dei fabbricati, anche retroattivamente, onde beneficiare dell’esenzione ICI; sulla base di una procedura ad hoc che non avrebbe avuto ragion d’essere qualora la natura esonerativa della ruralità fosse dipesa dal solo fatto di essere gli immobili concretamente strumentali all’attività agricola, a prescindere dalla loro classificazione catastale conforme. Secondo il dettato normativo, su menzionato, di cui al decreto-legge n. 102 del 2013, art. 2, comma 5-ter, convertito in legge n. 124 del 2013 le domande di variazione catastale, ai fini del riconoscimento del requisito di ruralità, producono effetto “a decorrere dal quinto anno antecedente a quello di presentazione della domanda” (da ultimo Cassazione 21878/2018).

Nel caso di specie la CTR ha dato atto della mancata annotazione negli atti catastali, giustificando tale circostanza con il fatto che l’annotazione era tecnicamente impossibile, evidentemente a seguito della soppressione di alcuni degli immobili.

Tale interpretazione è errata.

La Corte costituzionale, con l’ordinanza n. 115/2015 ha ritenuto inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 5-ter del decreto-legge n. 102/2013, sollevata dalla Commissione tributaria regionale della Toscana con due pronunce del 16 aprile 2014, nella parte in cui fa retroagire di cinque anni gli effetti delle domande per ottenere la ruralità catastale dei fabbricati ai fini ICI ed IMU sul presupposto che l’art. 13, comma 14-bis, della Manovra salva Italia, stabilisce che “con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono stabilite le modalità per l’inserimento negli atti catastali della sussistenza del requisito di ruralità, fermo restando il classamento originario degli immobili rurali ad uso abitativo”.

Ad avviso della Consulta, le ordinanze di rimessione non avrebbero esaminato la conseguente regolamentazione data al procedimento di annotazione della ruralità dal decreto ministeriale MEF 26 luglio 2012 (Individuazione delle modalità di inserimento negli atti catastali della sussistenza del requisito della ruralità) e, in particolare, l’art. 1, comma 2 e l’art. 4, (rubricato “Verifica delle domande e delle autocertificazioni”). Ed invero, con riferimento a tale aspetto, è stato evidenziato come i giudici tributari toscani abbiano omesso di considerare che il procedimento di “annotazione” della ruralità è stato regolamentato con decreto ministeriale del 26 luglio 2012, che prevede tra l’altro una verifica, anche a campione, delle autocertificazioni allegate alle domande.

La legittimità della norma si fonda, dunque sulla annotazione della ruralità, nella specie non sussistente. Il ricorso deve essere, conseguentemente, accolto e la sentenza cassata, con rinvio alla CTR dell’Emilia che si atterrà al principio di diritto sopra affermato e liquiderà le spese anche del presente giudizio di legittimità».

Rilevanza e novità della questione.

Il richiamo fatto all’ordinanza n. 115/2015 della Corte costituzionale nell’ordinanza di rinvio, a ben vedere, non appare tuttavia conferente rispetto ai fatti di causa, perché la Consulta in realtà non si è già espressa sul tema in esame in senso preclusivo.

Infatti la Corte di cassazione sembra giungere alla conclusione dell’errata interpretazione normativa da parte dei giudici della CTR perché l’ordinanza n. 115/2015 della Corte costituzionale «ha ritenuto inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 5-ter del decreto-legge n. 102/2013, sollevata dalla Commissione tributaria regionale della Toscana con due pronunce del 16 aprile 2014, nella parte in cui fa retroagire di cinque anni gli effetti delle domande per ottenere la ruralità catastale dei fabbricati ai fini ICI ed IMU sul presupposto … omissis …»; ma a bene vedere, non si comprende come, nel caso in esame, tale precedente possa essere dirimente.

La Suprema Corte, al riguardo, osserva: «ad avviso della Consulta, le ordinanze di rimessione non avrebbero esaminato la conseguente regolamentazione data al procedimento di annotazione della ruralità dal decreto ministeriale MEF 26 luglio 2012 (Individuazione delle modalità di inserimento negli atti catastali della sussistenza del requisito della ruralità) e, in particolare, l’art. 1, comma 2 e l’art. 4, (rubricato “Verifica delle domande e delle autocertificazioni”). Ed invero, con riferimento a tale aspetto, è stato evidenziato come i giudici tributari toscani abbiano omesso di considerare che il procedimento di “annotazione” della ruralità è stato regolamentato con decreto ministeriale del 26 luglio 2012, che prevede tra l’altro una verifica, anche a campione, delle autocertificazioni allegate alle domande.».

In realtà, il giudice tributario toscano aveva sottoposto alla Corte costituzionale una diversa questione, ossia (estratto): «la disciplina in esame, contrariamente a quella abrogata dettata dal decreto-legge n. 70 del 2011, annette alla domanda del privato l’effetto automatico di esclusione dall’assoggettamento all’ICI e non prevede che in caso di sua infondatezza gravino sul contribuente indennità o sanzioni di sorta: non vi è, quindi, alcun deterrente alla proposizione di domande pretestuose; pertanto, in violazione dell’art. 24 della Costituzione, è irragionevole che i comuni non siano ammessi a provare innanzi al giudice tributario il difetto sostanziale delle condizioni di ruralità, non potendosi reputare sufficiente la loro possibilità di intervento nel procedimento amministrativo, atteso l’ordinario ritardo che connota la sua definizione».

In altre parole, la questione qui in esame, pur correlata alla stessa norma, è diversa e nuova, perché la CTR Toscana ha sollevato la questione di incostituzionalità in relazione all’ipotesi di un’attribuzione indiscriminata della ruralità sulla base di una istanza, incontestabile da parte dei comuni, e tale questione è stata respinta sulla base di una motivazione riconnessa al decreto ministeriale MEF 26 luglio 2012, il quale prevede, tra l’altro, una verifica, anche a campione, delle autocertificazioni allegate alle domande.

Tuttavia, tale precedente non è qui preclusivo, perché non induce necessariamente ad escludere che la regola per la quale «la legittimità della norma si fonda sulla annotazione della ruralità», non debba ammettere un’eccezione nel caso di impossibilità materiale dell’adempimento, come avvenuto nella fattispecie.

Tanto più che il regime agevolativo precedente al detto decreto ministeriale si fondava sul requisito sostanziale di ruralità, sostituito da quello formale proprio con tale disciplina normativa innovativa.

La questione della costituzionalità appare dunque rilevante per la definizione del presente giudizio, perché la decisione di questo Collegio è strettamente vincolata al principio di diritto cui attenersi, che condurrebbe inevitabilmente a una pronuncia di rigetto che appare ingiusta.

Infatti, come ha eccepito il contribuente nella domanda subordinata, emergono profili di incostituzionalità dell’art. 2, comma 5-ter, decreto-legge 31 agosto 2013, n. 102, convertito, con modificazioni, in legge 28 ottobre 2013, n. 124, nella parte in cui richiede «l’inserimento dell’annotazione negli atti catastali» per il riconoscimento retroattivo della ruralità in casi come quello di specie, ove l’adempimento è stato riconosciuto tecnicamente impossibile, perché gli immobili erano stati soppressi al momento dell’entrata in vigore della norma, che testualmente prescrive: «Ai sensi dell’art. 1, comma 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212, l’art. 13, comma 14-bis, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, deve intendersi nel senso che le domande di variazione catastale presentate ai sensi dell’art. 7, comma 2-bis, del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, e l’inserimento dell’annotazione negli atti catastali producono gli effetti previsti per il riconoscimento del requisito di ruralità di cui all’art. 9 del decreto-legge 30 dicembre 1993, n. 557, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1994, n. 133, e successive modificazioni, a decorrere dal quinto anno antecedente a quello di presentazione della domanda».

Infatti ad impossibilia nemo tenetur: non consentire l’estensione della ruralità per gli immobili soppressi e confluiti in altro subalterno catastale, che non hanno avuto la possibilità tecnica di iscrizione formale, sarebbe evidentemente discriminatorio, con violazione del principio di uguaglianza conciato a quello di capacità contributiva (articoli 3 e 53 della Costituzione) e del connesso principio di ragionevolezza delle leggi, che esige che le disposizioni normative contenute in atti aventi valore di legge siano adeguate o congruenti rispetto al fine perseguito dal legislatore. Il principio di ragionevolezza costituisce notoriamente un limite al potere discrezionale del legislatore; potere che qui – seguendo l’interpretazione dell’ordinanza di rinvio – finisce per risultare arbitrario, perché, per particolari situazioni di fatto, rende impossibile l’adempimento necessario – secondo la ratio della norma – a conseguire l’agevolazione spettante (l’annotazione catastale su fabbricati soppressi).

Nel caso si può dunque rilevare l’irragionevolezza della legge, laddove non consente di ottenere l’agevolazione in presenza dei requisiti sostanziali, quando l’annotazione risulti tecnicamente impossibile.

Con riguardo all’art. 3 della Costituzione la Consulta, proprio in materia di ICI (sentenza n. 227/2009) ha già dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 4 della legge 24 dicembre 2007, n. 244: «Una siffatta disposizione … è incompatibile col rispetto del principio di eguaglianza in quanto fonte di ingiustificata disparità di trattamento di situazioni sostanzialmente uguali …»; la stessa situazione che si viene a creare tra contribuenti che, con immobili della medesima tipologia, hanno avuto o meno variazioni catastali nel periodo 2006-2011 prima della presentazione dell’istanza di ruralità. La situazione appena descritta costituisce anche violazione del principio di capacità contributiva (art. 53), in quanto impone prestazioni patrimoniali diverse a contribuenti nella medesima situazione sostanziale.

P.Q.M.

Visto l’art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata, con riferimento agli articoli 3 e 53 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 5-ter del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 102, convertito, con modificazioni, in legge 28 ottobre 2013, n. 124, nella parte in cui richiede «l’inserimento dell’annotazione negli atti catastali» per il riconoscimento retroattivo della ruralità anche nel caso in cui l’annotazione sia tecnicamente impossibile perché gli immobili risultano soppressi nei detti atti al momento dell’entrata in vigore della norma;

Sospende il presente giudizio. Manda la segreteria per gli adempimenti previsti dall’art. 23, ultimo comma, legge 11 marzo 1953, n. 87 e dispone l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.