COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di Firenza sentenza n. 2053 sez. 24 del 24 novembre 2016
STUDI DI SETTORE – CONTRADDITTORIO ENDOPROCEDIMENTALE – MOTIVAZIONE AVVISO DI ACCERTAMENTO – MANCATO RIFERIMENTO AI RILIEVI DEL CONTRIBUENTE – ILLEGITTIMITÀ AVVISO DI ACCERTAMENTO
L’Agenzia delle Entrate di Firenze in data 18/05/2012 notificava al legale rappresentante della S.n.c. LA … e C., esercente l’attività di “commercio al dettaglio di mobili per la casa” – previamente invitata al contraddittorio – avviso di accertamento in rettifica della D.U. per l’anno 2008 determinando maggiori ricavi ai fini IVA ed Irap nonché ai fini Irpef dei soci, per € 92.735,00, di importo pari allo scostamento tra i ricavi dichiarati in € 479.830,00 e quelli fondatamente attribuibili pari ad € 572.565,00 in applicazione degli studi di settore. I maggiori ricavi erano confermati in considerazione delle discordanze rilevate fra due indici di coerenza (ricarico e valore aggiunto per addetto) e del consistente aumento delle rimanenze.
Avverso tale avviso di accertamento sia il legale rappresentante della società che i soci ricorrevano alla Commissione Tributaria Provinciale di Firenze deducendone l’illegittimità perché basato esclusivamente sulle risultanze degli studi di settore e per carenza di motivazione non essendo stati riportati nell’atto i motivi per i quali erano state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente in sede di contraddittorio. Deducevano inoltre l’eccesso di potere non avendo l’Ufficio valutato e correttamente rappresentato la situazione concreta della società e contestavano nel merito le risultanza dell’avviso perché lo studio risultava di per sé inadeguato tanto che l’Agenzia aveva riscontrato anomalie di funzionamento. Concludevano chiedendo l’annullamento dell’atto impugnato.
L’Agenzia delle Entrate di Firenze si costituì in giudizio con proprie controdeduzioni contestando tutte le eccezioni sollevate nel ricorso e ne chiedeva in tesi l’integrale rigetto.
La C.T.P. di Firenze, con sentenza n. 142/10/2013 del 12/12/2012, depositata l’11/06/2013, ha accolto il ricorso compensando le spese di giudizio.
Ritenevano i primi giudici come l’Agenzia delle Entrate non avesse evidenziato le ragioni per cui le osservazioni della contribuente fossero state disattese ed abbia fatto riferimento solo all’incongruenza dei ricavi dichiarati senza tener conto della crisi del settore in cui versavano le aziende.
Avverso tale sentenza parte soccombente ha proposto appello eccependone l’omessa e carente motivazione non avendo i primi giudici fornito alcun valido elemento a sostegno delle proprie tesi relative al mancato rispetto della realtà aziendale. L’Agenzia delle Entrate si richiama a giurisprudenza della Corte di Cassazione concernente la legittimità degli studi di settore e come l’operata stima dei ricavi fosse corroborata da ulteriori elementi quali l’incongruenze di due parametri e il consistente aumento delle rimanenze finali per gli anni 2004/2008. Dopo aver fatto presente che l’espletamento del contraddittorio comporta un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente (prova non fornita dalla società) conclude chiedendo la riforma della sentenza impugnata con vittoria di spese ed onorari di entrambi i gradi di giudizio.
Parti appellate si sono separatamente costituite in giudizio eccependo preliminarmente l’inammissibilità dell’appello proposto dall’Agenzia essendo stato notificato solo alla società. Dopo aver contestato i motivi dedotti dall’Agenzia delle Entrate concludono chiedendo la conferma della sentenza di primo grado con vittoria di spese processuali.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il Collegio deve preliminarmente esaminare l’eccezione di inammissibilità dell’appello perché notificato solo alla società proposta con la costituzione in giudizio delle parti appellate. Tale eccezione non è fondata perché l’omessa notificazione a una delle parti che hanno partecipato al giudizio di primo grado non comporta l’inammissibilità del gravame ma solo l’obbligo per il giudice di seconde cure di ordinare l’integrazione del contraddittorio nei confronti delle parti pretermesse affinché il processo si celebri alla presenza di tutti i soggetti attivi nel primo grado (Cassazione, sentenza n. 17497/2015). Nel caso di specie tutte le parti (anche quelle a cui non è stato notificato l’appello) si sono costituite in giudizio per cui il contraddittorio si è regolarmente formato. L’appello non è fondato e deve quindi essere respinto.
Rileva il Collegio che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con sentenze n. 26635, 26636, 26637 e 26638 del 18/12/2009 hanno sancito il seguente principio: “La procedura di accertamento standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata in relazione ai soli standard in sé considerati, ma nasce procedimentalmente in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente (che può, tuttavia, restare inerte assumendo le conseguenze, sul piano della valutazione, di questo suo atteggiamento), esito che, essendo alla fine di un percorso di adeguamento della elaborazione statistica degli standard alla concreta realtà economica del contribuente, deve far parte (e condiziona la congruità) della motivazione dell’accertamento, nella quale vanno esposte le ragioni per le quali i rilievi del destinatario dell’attività accertativa siano state disattese. Il contribuente ha, nel giudizio relativo all’impugnazione dell’atto di accertamento, la più ampia facoltà di prova, anche a mezzo di presunzioni semplici, ed il giudice può liberamente valutare tanto l’applicabilità degli standard al caso concreto, che deve essere dimostrata dall’ente impositore, quanto la controprova sul punto offerta dal contribuente”.
In base alla giurisprudenza della suprema Corte si evidenzia come il sistema di presunzioni semplici sopra delineato deve essere confortato dall’esito del contraddittorio nel corso del quale il contribuente può provare, senza limitazione di mezzi e contenuto, la specifica realtà aziendale che giustifica lo scostamento dalla standard prescelto; di tale esito deve essere fornita adeguata motivazione nell’atto di accertamento che non può quindi esaurirsi nel mero rilievo dello scostamento ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello standard prescelto e le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate.
L’Agenzia delle Entrate con l’appello eccepisce l’erroneità della sentenza di primo grado per la carente e/o omessa motivazione relativamente al fatto che lo studio di settore non rappresenti la realtà aziendale ed abbia ritenuto necessari ulteriori elementi di prova nonché per gli ulteriori elementi (non coerenza del ricarico e del valore aggiunto peri addetto e gestione del magazzino) risultanti dall’accertamento.
Il primo motivo deve essere disatteso perché i primi giudici, con motivazione priva di vizi logici che questo Collegio pienamente condivide, non si sono pronunciati su quanto eccepito nell’appello ma solo sul fatto (fra l’altro incontrovertibile) che sia nei verbali redatti in fase di contraddittorio che nell’avviso di accertamento non sono state evidenziate dall’Agenzia le ragioni per le quali sono state disattese le osservazioni del contribuente ma si limita a riportare “l’Ufficio, a sostegno della sua pretesa, fa notare come la stima dei ricavi operata dallo studio di settore, oltre che nel percorso metodologico seguito dallo studio, risulta alimentata dalle circostante di seguito elencate” e tali circostanze sono riferite allo scostamento di due indici di coerenza ed alla gestione del magazzino.
Tale mancata motivazione non può che fare confermare l’operato dei primi giudici.
Del tutto irrilevanti ritiene il Collegio le altre motivazioni addotte dall’Agenzia a sostegno della propria richiesta, perché il rilevato scostamento di due indici è una risultanza automatica degli studi di settore mentre per l’anno in contestazione non si verifica il lamentato consistente scostamento nella gestione del magazzino (rimanenze iniziali pari ad euro 425.209 e finali pari ad euro 420.905).
Le spese di giudizio seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Respinge l’appello dell’Ufficio e condanna lo stesso al pagamento delle spese di lite nella misura di euro 2 000,00 (duemila) oltre accessori se dovuti.
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