COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE per il Friuli Venezia Giulia sentenza n. 372 sez. 3 depositata il 20 dicembre 2016
Massima
Le sanzioni comminate dall’Autorità Garante della Concorrenza non hanno natura di costo d’esercizio, per cui non sono detraibili dal reddito di impresa. La CTR friulana osserva, infatti, che in tema di determinazione del reddito societario, la sanzione irrogata per la violazione di un divieto da parte di un’impresa non deriva da un’attività legata al corretto esercizio della stessa per cui non può qualificarsi come fattore produttivo. Secondo i giudici di appello il computo della sanzione nella determinazione del reddito d’impresa significherebbe neutralizzare interamente la ratio punitiva della medesima, trasformandola in un risparmio d’imposta per le imprese che abbiano agito in violazione delle norme antitrust.
La Società F. S.p.A. nel novembre del 2011 presentava alla competente Agenzia delle Entrate una istanza di rimborso IRAP ed Ires relativamente all’annualità 2007. Tali rimborsi d’imposta traevano origine da una dichiarazione integrativa del modello Unico che variava in diminuzione il reddito d’impresa imponibile per la somma di Euro 3.318.543,00 relativa ad una sanzione comminata nel corso dell’esercizio 2007 dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato tramite un provvedimento non impugnato dalla F..
Formatosi il silenzio rifiuto da parte dell’A.F. la F. impugnava detto provvedimento avanti la Commissione Tributaria Provinciale di Trieste assumendo la detraibilità della Sanzione quale costo d’impresa correlato ai ricavi.
Resisteva l’Ufficio insistendo per la legittimità del rifiuto.
La Commissione Tributaria Provinciale di Trieste con sentenza n. 453/01/14 del 18.12.2014 rigettava il ricorso e condannava la F. alle spese di lite a favore dell’Ufficio resistente.
Ha quindi proposto appello la Società Contribuente insistendo per la detraibilità della sanzione comminata nel corso dell’esercizio 2007 dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, che a suo avviso ha natura di costo d’esercizio. Conclude pertanto per l’integrale riforma della pronuncia gravata, insistendo sul diritto al rimborso delle imposte, con rifusione di spese di lite.
Resiste l’Ufficio appellato concludendo per il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza impugnata, con vittoria di spese del grado.
La vertenza è trattata in pubblica udienza.
L’appello è infondato.
Va osservato che in tema di determinazione del reddito di impresa, la sanzione irrogata per la violazione di un divieto da parte di un’impresa non deriva da un’attività connessa al corretto esercizio dell’impresa e non può pertanto qualificarsi come fattore produttivo, trattandosi di condotta non soltanto autonoma ed esterna rispetto alla normale vita della impresa, ma antitetica rispetto al corretto svolgimento di tale attività, ed il computo di essa, nella determinazione del reddito d’impresa, quale sopravvenienza passiva significherebbe neutralizzare interamente la ratio punitiva della penalità, trasformandola in un risparmio d’imposta, cioè in un “premio” per le imprese che abbiano agito in violazione delle norme antitrust; ne consegue, pertanto, che l’entità di tale sanzione non può costituire “costo” deducibile dal reddito imprenditoriale, in quanto la sanzione – che viene determinata in misura variabile, anche se nei limiti del 10% dei ricavi dell’anno precedente- non si collega strettamente né al reddito dell’anno in cui la violazione si è verificata né a quello degli esercizi precedenti, restando estranea al corretto esercizio dell’impresa ed essendo il riferimento (variabile) della sanzione al 10% dei ricavi dell’esercizio precedente soltanto un parametro, riprodotto sulla base della normativa comunitaria, per determinare la misura della sanzione. ( in termini Ord. Cass. Sez. Tributaria n. 18368 del 26.10.2012 ).
In conclusione la sentenza appellata va integralmente confermata.
Anche per il presente grado di giudizio le spese di lite seguono il principio della soccombenza e si liquidano a favore dell’Ufficio appellato come da dispositivo.
Rigetta l’appello condannando l’appellante alle spese del grado, liquidate in Euro 5.700,00.
Così deciso in Trieste, 20.10.2016.
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