COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE per il Friuli Venezia Giulio sez. 1 sentenza n. 116 depositata il 23 maggio 2017
La presente controversia deriva dalle contestazioni dell’Ufficio elevate nei confronti della “A” SRL, esercente anche l’attività di commercio all’ingrosso di computer, apparecchiature informatiche, periferiche e di software, in esito alla verifica fiscale al fine di riscontrare l’effettività e la certezza delle operazioni commerciali poste in essere dalla stessa.
Le risultanze emerse, sono state quindi trasfuse nei tre avvisi di accertamento relativi agli anni 2009-2010 e 2011 ed impugnati dalla ricorrente società.
In particolare l’attività di controllo è scaturita dalla segnalazioni di due distinte direzioni regionali dell’Agenzia delle Entrate (Emilia Romagna e Lombardia), nonché dalle indagini di polizia giudiziaria disposte nell’ambito di un procedimento penale radicato presso la Procura della Repubblica di Milano, in ordine all’esistenza di un’articolata associazione a delinquere che ha viso il coinvolgimento di tante società dislocate in diverse aree geografiche nazionali.
In sostanza, si suppone un complesso meccanismo frodatorio nel mercato della distribuzione di prodotti informatici volta all’evasione dell’Iva attraverso l’emissione di fatture per operazioni inesistenti (c.d. frodi carosello) da parte di soggetti fittiziamente interposti negli scambi commerciali tra i fornitori comunitari ed i destinatari reali dei beni.
In particolare, l’Ufficio ha ritenuto la “A” srl consapevolmente coinvolta nella suddetta catena fraudolenta di cessioni di beni, quale società filtro o beneficiaria.
La società presentava ricorso avverso gli avvisi di accertamento in oggetto eccependone l’illegittimità ed infondatezza, in particolare per la mancanza di elementi oggettivi da cui desumere la sua partecipazione consapevole nella frode e rilevando altresì che il proprio modus operandi è quello tipico delle imprese del settore specifico. Evidenziava anche l’omessa allegazione della segnalazione che ha dato origine al controllo, il mancato assolvimento dell’onere della prova in capo all’Ufficio sul fatto che la “A” srl sapeva che con i propri acquisti partecipava ad una frode.
Segnalava infine che il procedimento penale a carico dell’amministratore della società per i medesimi fatti era stato archiviato dal GIP del Tribunale di Udine con sentenza del 16/6/2015.
Concludeva per l’accoglimento del ricorso e conseguente annullamento degli impugnati avvisi.
Si costituiva l’Ufficio che contestava la necessità di allegazione della segnalazione in quanto la motivazione della ripresa a tassazione non si fonderebbe su tale segnalazione.
Inoltre, evidenziava di avere esposto gli elementi di fatto che costituirebbero indici presuntivi della partecipazione consapevole alla frode e rilevava che l’archiviazione in sede penale non inficia la fondatezza del recupero tributario.
Concludeva per il rigetto del ricorso con la refusione delle spese di lite.
La Commissione Tributaria Provinciale di Udine con sentenza del 4/12-18/12/2015 accoglieva il ricorso con la compensazione delle spese ritenendo che l’Ufficio non ha assolto al proprio onere di offrire elementi attendibili in relazione alla contesta partecipazione consapevole della “A” alla catena fraudolenta.
Infatti, gli asseriti ridotti margini di ricarico non sono di per sé, soprattutto se rapportati a non contestali grossi volumi di transazioni commerciali, elementi indicativi di sospetto.
Sul punto, peraltro, la società ha spiegato i propri meccanismi operativi, meccanismi da sui non si evincono gravi elementi indicativi della contestata partecipazione.
Così come non può essere considerato elemento di consapevolezza il mancato utilizzo del plafond Iva nei rapporti con la società “omissis” e le comunicazioni e-mail richiamate dall’Ufficio e relative ad informazioni richieste al commercialista in relazione ad eventuali scambi commerciali con società di Malta, comunicazioni di incontri di affari ed informazioni su vicende societarie di clienti.
Appella l’Ufficio che rileva come la motivazione della sentenza impugnata si ponga in aperto contrasto con il principio dì cui all’art. 19, co. 1 DPR 633/72, in base al quale la detraibilità dell’IVA relativa alle fatture ricevute è subordinata all’effettività dell’acquisto, pertanto in presenza di operazioni non effettive, l’Iva non è mai detraibile.
L’Ufficio ripropone le molteplicità di elementi dai quali risulterebbe chiaramente che la M. srl era consapevole o che avrebbe dovuto e potuto essere a conoscenza del meccanismo frodatorio nel quale erano inseriti gli acquisti per i quali intendeva beneficiare della detrazione dell’Iva e richiama sul punto le sentenze n. 1378/2014 e n. 13792/2014 emesse dalla Corte di Cassazione.
Conclude per la riforma dell’impugnata sentenza confermando la legittimità dell’operato dell’Ufficio con vittoria delle spese di entrambi i gradi di giudizio.
Controdeduce la ricorrente che rileva preliminarmente l’illegittimità dell’appello in quanto opera una parziale ed illegittima integrazione della motivazione originariamente contenuta negli avvisi di accertamento in violazione a quanto stabilito dalla legge.
Nel merito ribadisce quanto già sostenuto in primo grado.
Propone altresì appello incidentale in relazione alla compensazione delle spese nonostante l’integrale accoglimento del ricorso in quanto le motivazioni addotte non appaiono corrispondenti a quelle gravi ed eccezionali ragioni che, ai sensi dell’art. 15 del d.lgs. 546/92, giustificano la compensazione delle spese.
Conclude per l’inammissibilità dell’appello nelle parti in cui vengono dedotti motivi nuovi rispetto a quelli indicati negli avvisi di accertamento, il rigetto in ogni caso dell’appello proposto, ed in accoglimento dell’appello incidentale, la condanna
dell’Ufficio alla rifusione dei compensi e delle spese di difesa del primo e secondo grado di giudizio.
L’Ufficio deposita altresì ulteriore memoria in replica alle deduzioni difensive di controparte.
La Commissione accoglie l’appello principale dell’Ufficio e rigetta quello incidentale della società ricorrente.
Preliminarmente si osserva che non vi è stata alcuna violazione dell’art. 7, comma 1 della L.212/2000 a causa della mancata allegazione della segnalazione inviata all’Ufficio dalle Direzioni Regionali competenti ai controlli nei confronti delle società coinvolte, in quanto l’obbligo di allegazione dell’atto sussiste quando lo stesso sia necessario ad integrare la motivazione dell’atto impositivo. Nel caso in esame, la segnalazione rappresenta solo un atto d’impulso dell’azione di controllo da parte dell’Ufficio, quindi un atto interno e, come tale, assolutamente ininfluente sulle motivazione dell’atto emesso.
In ordine al criterio di riparto dell’onere probatorio tra l’amministrazione e le società relativamente al coinvolgimento delle stesse nelle frodi carosello – frodi che necessariamente vertono su un tributo armonizzato a livello europeo – è opportuno tenere conto anche della normativa e giurisprudenza comunitarie(direttiva del Consiglio n. 77/388/CEE, sentenza C​76/93 del 6/7/1995) che, unitamente alle numerose sentenze della Corte di Cassazione (sentenze n. 20059/2014, n. 428/2015, n.25898/2015, n. 18642/2015 e n. 17818/2016) hanno contribuito al formarsi di principi ed orientamenti ormai consolidati.
Dunque, spetta sicuramente all’Amministrazione finanziaria affermare l’esistenza di una fatturazione relativamente ad operazioni inesistenti: ciò può avvenire anche mediante presunzioni semplici, purché le stesse siano gravi precise e concordanti, idonee quindi a comprovare che il soggetto al momento dell’acquisto del bene sapeva o avrebbe dovuto sapere di partecipare ad un operazione fraudolenta, o in caso di fatturazione e contabilità regolari, spetta comunque
all’Amministrazione provare una diversa ricostruzione dei fatti.
Una volta accertato un tanto, l’onere probatorio si sposta sul contribuente, che deve potere provare che le operazioni siano state realmente concluse, non essendo sufficiente, a tale scopo, la regolarità della documentazione contabile e la dimostrazione che la merce sia stata effettivamente consegnata e versato il corrispettivo o di essersi trovato nella situazione di oggettiva inconoscibilità delle operazioni fraudolente avvenute tra i precedenti fornitori, nonostante l’impiego della dovuta diligenza richiesta nello specifico delle operazioni intercorse ed il superamento del concetto di buona fede del soggetto, quale ignoranza incolpevole in ordine appunto agli accordi fraudolenti diretti all’evasione dell’Iva.
Nel merito, è opportuno esaminare singolarmente gli elementi che l’Ufficio ha posto a base del proprio convincimento nell’affermare il coinvolgimento della ricorrente in una catena fraudolenta nel settore dei prodotti informatici, ove la stessa avrebbe assunto il ruolo di filtro/beneficiaria e poi di società filtro, in particolare con tre società: la “omissis”, la “omissis” e la “omissis”.
In sostanza, con la tecnica della sottofatturazione veniva attribuito un duplice vantaggio alla società acquirente reale, nel senso di acquistare i prodotti ad un costo uguale a quello praticato dal fornitore comunitario, ma comprensivo di un’indebita IVA a credito, disponendo così di un prodotto ad un prezzo inferiore a quello corrente di mercato, quindi altamente concorrenziale.
L’Ufficio nel provare il sistema appena enunciato ha vagliato alcuni elementi che, nell’insieme, comprovano che la società ricorrente era consapevole o che avrebbe dovuto e potuto essere a conoscenza del meccanismo frodatorio che caratterizzava gli acquisti in oggetto.
Un aspetto particolarmente rilevante è dato dal ruolo determinante e strategico della società “omissis”, quale soggetto filtro con il compito di acquistare da altre società (“omissis”, “omissis”, “omissis”) la merce ad un prezzo di acquisto da cui era stato scorporato il 20% dell’Iva ed applicato sul risultato una percentuale minima di ricarico: in tale modo, la merce veniva venduta sotto fatturando rispetto al prezzo di acquisto ed omettendo sistematicamente il versamento dell’IVA a debito.
Le suddette società, a loro volta, emettevano fatture soggettivamente inesistenti per la vendita della merce in questione nei confronti di altro soggetto interposto che a propria volta rivendevano ad altre società/filtro, quale ad esempio la “omissis” e la “omissis”.
Pertanto, le società/filtro beneficavano, mediante l’utilizzo delle fatture ricevute dalle società cartiere, di componenti negativi di reddito fittizi, da esporre nella dichiarazione dei redditi e di conseguenza di ingenti crediti Iva derivanti da costi inesistenti.
Altra circostanza da non sottovalutare è il fatto che le società coinvolte nel meccanismo fraudolento utilizzavano la medesima società di logistica e trasporti, la “omissis”, in seguito altre due società poi fallite, che fungeva da centro di smistamento della merce che circolava ed oggetto di contestazioni tributarie e poi di recuperi per l’emissione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti.
Inoltre, ulteriore elemento è quello della mancanza di una struttura operativa, di dipendenti, circostanza che avrebbe dovuto mettere in allarme un imprenditore mediamente attento al fine di evitare, secondo il principio di buona fede, di essere coinvolto in una frode.
Anche relativamente alla consegna ed alla tempistica di consegna e pagamento sono emersi aspetti che depongono in favore della tesi dell’Ufficio, poiché la merce non veniva mai consegnata alla ricorrente, nonostante un giro di affari pari al 41% del fatturato, che in tal modo non effettuava mai un controllo sulla tipologia e qualità della merce stessa.
Così come le consegne, ed i relativi pagamenti che avvenivano in maniera molto tempestiva, nonostante si trattasse di ingenti stock.
Venendo alla tipologia dei beni, è evidente che le società
interessate hanno mutato il loro ambito merceologico, ossia dai microprocessori Intel agli I-Pad, console e Play Station al fine di sfuggire al cambiamento normativo del reverse charge e quindi con possibilità di continuare il meccanismo frodatorio ai fini dell’IVA, situazione che non può essere considerata una semplice coincidenza se si valutano complessivamente tutti gli altri elementi evidenziati dall’Ufficio.
In tale ottica rientra anche la valutazione dei prezzi di cessione dei prodotti, di gran lunga inferiore a quelli applicati dai rivenditori ufficiali, così come la redditività media è ben al di sotto del proprio margine medio: anche questo elemento non poteva non fare sorgere dubbi in un imprenditore normalmente avveduto.
Infine, il mancato utilizzo di un considerevole plafond a fronte di una costante detrazione dell’Iva sugli acquisti, scelta che non trova alcuna giustificazione risultando assolutamente
antieconomico acquistare merce destinata a clienti UE senza utilizzare, pur potendo, le lettere d’intento al fine di evitare di dovere versare al fornitore un’Iva che diventerà poi a credito senza potere essere compensata con l’Iva a debito.
In conclusione, la valutazione complessiva degli elementi appena descritti conduce alla conferma degli impugnati avvisi non avendo la parte assolto al proprio onere probatorio, né in ordine all’esistenza degli acquisiti documenti, né circa la propria buona fede rispetto al carattere fraudolento delle operazioni intercorse.
Alla soccombenza segue la condanna della società ricorrente alla rifusione delle spese di lite come meglio indicato nel dispositivo.
La Commissione Tributaria Regionale in riforma dell’impugnata decisione, accoglie l’appello principale dell’Agenzia delle Entrate e, respingendo quello incidentale della società contribuente, ne respinge il ricorso introduttivo della lite;
condanna la “A” al pagamento delle spese di entrambi i gradi del giudizio che liquida per ciascuno grado in Euro 15.000(quindicimila//00), oltre le spese prenotate a debito.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- CORTE di CASSAZIONE, sezione tributaria, ordinanza n. 5396 depositata il 29 febbraio 2024 - In tema di IVA, il diritto del contribuente alla relativa detrazione costituisce principio fondamentale del sistema comune europeo e non è suscettibile, in…
- CORTE DI GIUSTIZIA CE-UE - Sentenza 30 settembre 2021, n. C-299/20 - L’articolo 392 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, consente di applicare il regime di tassazione…
- Corte di Cassazione ordinanza n. 16118 depositata il 19 maggio 2022 - L'acquirente dei beni può dedurre i costi relativi ad operazioni soggettivamente inesistenti anche nell'ipotesi in cui sia consapevole del loro carattere fraudolento, salvi i limiti…
- CORTE COSTITUZIONALE - Sentenza 28 luglio 2022, n. 199 - Illegittimità costituzionale dell'art. 77, comma 3-quater.1, della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 9 agosto 2005, n. 18 (Norme regionali per l'occupazione, la tutela e la…
- Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 50362 depositata il 12 dicembre 2019 - L'indicazione di elementi passivi fittizi nella dichiarazione, avvalendosi di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, anziché relative ad operazioni…
- Corte di Cassazione ordinanza n. 30018 depositata il 13 ottobre 2022 - L'acquirente dei beni può dedurre i costi relativi ad operazioni soggettivamente inesistenti, anche nell'ipotesi in cui sia consapevole del loro carattere fraudolento, salvi i…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- L’indennità sostitutiva di ferie non godute
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 9009 depositata…
- Il giudice tributario è tenuto a valutare la corre
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 5894 deposi…
- Il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 10267 depositat…
- L’Iva detratta e stornata non costituisce elusione
L’Iva detratta e stornata non costituisce elusione, infatti il risparmio fiscale…
- Spese di sponsorizzazione sono deducibili per pres
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 6079 deposi…