Commissione Tributaria Regionale per l’ Abruzzo Sezione 7 Sentenza del 13/10/2016 n. 927
Frode carosello – fatturazione per operazioni inesistente
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza n. 254 del 29.1.2015, depositata il 30.4.2015, la Commissione tributaria provinciale di Pescara rigettava i due ricorsi proposti da D.E., titolare dell’omonima ditta esercente l’attività di “commercio parti e accessori autoveicoli”, avverso gli avvisi di accertamento n. TA601A202336-2011 e TA607A202356 emessi dall’Agenzia delle Entrate di Pescara. Va precisato che l’Agenzia delle entrate di Pescara, sulla scorta delle risultanze del processo verbale di constatazione n. 303 del 5.10.2010 della G.d.F. di Popoli, emetteva a carico dell’Evangelista i predetti due avvisi di accertamento. Con il primo accertava: I. ai fini IRPEF, Addizionali Regionali e Comunali per l’anno 2006, componenti negativi di reddito non deducibili pari a complessivi 55.937,00 euro; 2. ai fini IVA, indebita detrazione di imposta per fatture soggettivamente inesistenti per l’importo di 11.187,40 euro, nonché l’omessa registrazione dell’Iva nei modi ordinari in relazione a fatture relative a cessioni di autovetture per l’imposta di 7.742,00 euro, e così per un totale di Iva dovuta pari a 18.929,40 euro; 3. ai fini IRAP, elementi negativi non deducibili per complessivi 58.403, 00 euro; Con il secondo accertava l’omessa effettuazione di ritenute IRPEF per complessivi 16629.
L’appellante a sostegno del proposto appello deduceva che la Commissione tributaria di primo grado era incorsa in errori, sia di diritto che di merito, in particolare:
1. in relazione al profilo di illegittimità degli avvisi di accertamento ai sensi degli artt. 42, comma 2, d.p.r. 600/1973, 56, comma 5, d.p.r. 633/1972 e 7, comma 1, 1. 212/2000, per carenza di motivazione degli stessi, facendo rinvio “per relationem” al processo verbale di constatazione redatto dalla G.d.F. di Popoli, che a sua volta richiamava il PVC della G.d.F. di Termoli, mai comunicato ad esso contribuente né prodotto agli atti;
2. in relazione al ritenuto suo coinvolgimento in una frode c.d. “carosello”, cioè in una serie di fatturazioni per operazioni soggettivamente inesistenti, nonostante l’assoluzione con formula piena ottenuta in sede penale;
3. in relazione alla ritenuta indetraibilità dell’IVA, emergendo dagli atti tutta una serie di circostanze (regolarità della contabilità aziendale; effettività degli acquisti delle autovetture; congruità dei prezzi effettivamente pagati per detti acquisti e dei ricarichi applicati; normalità del rapporto commerciale, la precisione di tutte le transazioni seguite nel 2006, il conseguimento di utili congrui nella misura non superiore al 10-15%), non adeguatamente valutate dal giudice di primo grado, dirette a dimostrare la buona fede di esso contribuente nei apporti commerciali oggetto di contestazione e, quindi, il diritto ad operare la detrazione integrale dell’IVA;
4. in relazione all’applicazione del regime speciale del margine anziché quello ordinario con riferimento ad alcuni acquisti di autovetture, stante la contraddittorietà della motivazione adottata sul punto dai giudici di prime cure ed il rilievo che le autovetture elencate nel PVC della G.d.F. di Popoli, erano state acquistate da ditte commerciali di noleggio e/o leasing , in assenza di idonea documentazione;
5. in relazione al recupero dei costi ritenuti non documentati, per complessivi 2.465.58 euro, in quanto la CTP dí Pescara non aveva adeguatamente valutato che detti costi erano stati regolarmente annotati nella contabilità aziendale ed effettivamente sostenuti;
6. in relazione al recupero dell’IRPEF per complessivi 2.720,00 euro (di cui all’avviso di accertamento n. TA607A202356), versate a Moreno e Marco Santoli, deducendo che a tali soggetti, che avevano collaborato nell’acquistare alcune autovetture in Germania e a condurle fino alla sede della società, aveva versato somme a titolo gratuito, per amicizia e gratitudine ma anche a titolo di contributo alle spese da quelli sostenute in tali attività, e non a titolo di compenso Si costituiva in giudizio l’Amministrazione appellata depositando controdeduzioni in cui contestava i motivi di impugnazione proposti dall’Evangelista in relazione al recupero dell’IVA sulle operazioni soggettivamente inesistenti e su quelle assoggettate al regime del margine, nonché sui costi non documentati, chiedendo il rigetto dell’appello con vittoria di spese processuali. All’esito della discussione in pubblica udienza, la Commissione pronunciava il dispositivo in calce trascritto.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Va esaminata preliminarmente l’eccezione sollevata dall’ E. circa la nullità della sentenza. L’eccezione è manifestamente infondata. Tanto premesso, è necessario innanzitutto precisare che l’articolo 36 del Dlgs n. 546 del 1992, concernente il contenuto della sentenza, dispone che: “La sentenza è pronunciata in nome del popolo italiano ed è intestata alla Repubblica italiana. La sentenza deve contenere:
1) l’indicazione della composizione del collegio, delle parti e dei loro difensori se vi sono;
2) la concisa esposizione dello svolgimento del processo;
3) le richieste delle parti;
4) la succinta esposizione dei motivi in fatto e diritto;
5) il dispositivo. La sentenza deve inoltre contenere la data della deliberazione ed è sottoscritta dal presidente e dall’estensore”.
Dalla lettura del comma secondo, nn. 2 e 4, dell’articolo 36 del Dlgs 546/92 (la cui formulazione è quasi del tutto identica a quella dell’articolo 132, comma secondo, n. 4, c.p.c.), si evince che la sentenza della Commissione tributaria deve contenere fra l’altro “la concisa esposizione dello svolgimento del processo” e la “succinta esposizione dei motivi in fatto e diritto”. In particolare, secondo il requisito indicato al n. 2, la sentenza deve indicare i fatti storici e giuridici che assumono rilevanza ai fini della decisione, in modo da consentire la ricostruzione dei termini della controversia. Tale requisito è connesso all’obbligo dell’esposizione dei motivi in fatto e in diritto di cui al successivo n. 4, il quale richiede che la sentenza indichi, anche se in modo succinto, le ragioni per cui i giudici hanno deciso di accogliere o meno le diverse domande.
L’articolo 118 disp. att. c.p.c., il quale è applicabile al nuovo rito tributario in forza del generalissimo rinvio materiale alle nonne compatibili del codice di rito civile, operato dall’articolo 1, secondo comma, del Dlgs 546/92, e, quindi, anche alle sue disposizioni di attuazione, chiarisce, al comma primo, che “la motivazione della sentenza di cui all’art. 132, numero 4, del Codice consiste nell’esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione”. Le richiamate disposizioni costituiscono attuazione, anche nel processo tributario, del principio costituzionale (articolo 111) secondo cui “tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati”. Orbene, può affermarsi che la motivazione della sentenza costituisce un requisito di fondamentale importanza, al fine della sua validità, in quanto consente sia di dimostrare che è stato rispettato il diritto di difesa delle parti processuali, sia di valutare la ratio decidendi delle pronuncia e, eventualmente, di impugnarla ove si rinvengano vizi in ordine alla ricostruzione logica seguita dal giudice. In sostanza, la motivazione della sentenza è l’esposizione ordinata delle ragioni e degli argomenti che hanno condotto il giudice ad assumere la decisione enunciata nel dispositivo della sentenza e costituisce una fondamentale garanzia, non solo perché risponde all’esigenza democratica di dar conto delle ragioni per cui un potere è stato esercitato in un cero modo, ma anche perché consente di individuare meglio eventuali errori del giudice e di proporre motivatamente l’impugnazione. Pertanto, la sentenza è nulla ove manchi l’esposizione dello svolgimento del processo e dei fatti rilevanti della controversia, ovvero quando i motivi esposti non siano in alcun modo idonei a individuare gli elementi di fatto considerati, né a far comprendere le ragioni del convincimento del giudice. Al riguardo, è necessario precisare che tanto la giurisprudenza quanto la dottrina sono concordi nel ritenere che il vizio di omessa o insufficiente motivazione della sentenza sussiste ogniqualvolta “nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile la mancata esposizione dello svolgimento del processo e dei fatti rilevanti della causa, ovvero qualora l’estrema concisione della motivazione in diritto renda impossibile l’individuazione del thema decidendum e delle ragioni che stanno a fondamento del dispositivo” (ex pluribus, Cassazione n. 2711/1990, n. 3282/1990, n. 5612/1998, n. 5101/1999, n. 1944/2001). Deve sottolinearsi, altresì, che le posizioni espresse nella giurisprudenza di legittimità sono assolutamente unanimi nel riconoscere che “…non vi è dubbio che il giudice di merito sia però tenuto a giustificare le determinazioni adottate mediante congrua e corretta motivazione; non può ritenersi né congrua né corretta una motivazione che si risolva nell’affermazione “vista la documentazione in atti, si osserva”, senza che sìa dato alcun conto delle ragioni che hanno indotto il giudice di merito a ritenere tale documentazione adeguata a sorreggere una conclusione e non l’altra”; e ancora, “…non costituiscono sufficienti indici di esplicitazione dei criteri di valutazione effettivamente utilizzati dal giudice la apodittiche espressioni: “dopo ampia dissertazione giuridica”, “dopo approfondita disamina”, “non sono emersi elementi aggiuntivi rispetto a quelli già esaminati in primo grado”, “ritiene di confermare la decisione impugnata, ritenendone condivisibile ogni sua parte” (cfr. Cassazione n. 5585/1988, n. 10099/2003, n. 18769/2003; ancora cfr. Cassazione n. 319/1999, n. 7233/2003, n. 21808/2004).
Nel caso che ci occupa il provvedimento impugnato reca sia l’indicazione dello svolgimento del processo, sia i motivi della decisione che consentono di ricostruire l’iter motivazionale posto a base della decisione, avendo fornito giustificazioni idonee a far individuare il percorso logico-giuridico seguito e le ragioni fondanti il contenuto della sentenza. Dí tal ché l’eccezione deve essere respinta. Può a questo punto passarsi all’esame del motivo di appello con il quale l’E. ha riproposto la questione dell’illegittimità degli avvisi di accertamento notificatigli per carenza di motivazione degli stessi, contenendo il richiamo “per relationem” al processo verbale di constatazione redatto dalla G.d.F. di Popoli, che a sua volta richiamava il PVC della G.d.F. di Termoli, mai comunicato ad esso contribuente né prodotto agli atti. Orbene, quanto alla violazione delle disposizioni di cui all’ari. 42, 2° co. d.p.r. 600/1973 (che impone l’obbligo di motivazione dell’avviso di accertamento) e all’art. 7, 1° co., 1, 1. 212/2000 (secondo cui “gli atti dell’amministrazione finanziaria sono motivati secondo quanto prescritto dall’articolo 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, concernente la motivazione dei provvedimenti amministrativi, indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione.
Se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama), l’infondatezza del motivo di appello discende, oltre che dal rilievo che il giudice di prime cure ha fatto corretta applicazione dei principi giurisprudenziali in materia (cfr., ex multis, Cass. n. 2907/2010; n. 21119/2011), anche e specialmente dalla duplice considerazione che l’allegazione del PVC redatto dalla G.d.F. di Popoli all’avviso di accertamento redatto dall’Agenzia delle Entrate si presentava del tutto superfluo se si considera che quel processo verbale era già stato consegnato al contribuente (che lo aveva regolarmente sottoscritto per ricevuta v. pag. 30 del citato PVC) e che l’avviso di accertamento era anche adeguatamente motivato, essendo in esso esplicitati sia le risultanze degli accertamenti condotti dalla guardia di finanza, che le conseguenze fiscali degli stessi. Nello stesso PVC si dà atto anche degli esiti degli accertamenti di quello redatto dalla G.d.F. di Termoli nei confronti delle società c.d. “cartiere”, (O. S. di Di P. L., S.CARS s.r.l. U. ): deve osservarsi che l’omessa notifica di esso all’ E. non può portare alle conseguenze indicate da quest’ultimo, posto che gli esiti degli accertamenti condotti dalla G.d.F. di Termoli nei confronti delle predette società cartiere sono ampiamente riportati nel PVC della G.d.F. di Popoli, cosicché deve escludersi qualsiasi pregiudizio in capo all’E. per la mancata conoscenza delle risultanze dell’accertamento condotto nei confronti di quelle società. Deve osservarsi che l’E. -ritenuto coinvolto in una frode c.d. “carosello” nonostante l’assoluzione con formula piena ottenuta in sede penale, ed allorquando, ritenendo soggettivamente inesistenti gli acquisti di auto di provenienza intracomunitaria effettuati nell’anno 2006 dalla OMNIA S. di Di Palma Luciano e s.cars srl) ha contestato il mancato riconoscimento del diritto ad operare la detrazione integrale dell’IVA esposta nelle fatture di acquisto delle autovetture ed il fatto che su tali presupposti si sarebbe operata una ripresa a tassazione generalizzata. In relazione al motivo in esame, pare opportuno preliminarmente rilevare che secondo principi giurisprudenziali consolidati e condivisibili, anche di matrice comunitaria (v. Corte di giustizia dell’Unione Europea, 21 febbraio 2006, in C – 255/02; 6 luglio 2006, in C-439/04 e C-440/04; 21 giugno 2012, in C – 80/11; 6 dicembre 2012, in C-285/11; 31 gennaio 2013, in “——– C-642/1 1), e “partendo dal presupposto che il diritto del contribuente alla detrazione dell’IVA costituisce principio fondamentale del sistema comune Europeo, non suscettibile in linea di principio di limitazioni” (Cass. n. 25778/2014, in motivazione), “spetta all’amministrazione finanziaria, la quale contesti il diritto del contribuente a portare in detrazione l’IVA pagata su beni soggettivamente inesistenti), provare che il contribuente, al momento in cui acquistò il bene od il servizio, sapesse o potesse sapere, con l’uso dell’ordinaria diligenza, che il soggetto formalmente cedente abbia, con l’emissione della relativa fattura, evaso l’imposta o compiuto una frode. La relativa prova può essere fornita anche attraverso presunzioni semplici, dimostrando che, al momento in cui pagò l’imposta che successivamente intese portare in detrazione, il contribuente disponeva di elementi tali da porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto” (cfr. Cass. n. 23560/2012).
Ne consegue che, nel caso di cosiddetta “frode carosello”, l’Amministrazione finanziaria, che intenda negare il diritto alla detrazione dell’IVA assolta in rivalsa, deve provare sia la frode del cedente, sia la connivenza del cessionario, quest’ultima anche per presunzioni semplici (purché gravi, precise e concordanti), che possono derivare dalle stesse risultanze di fatto attinenti al ruolo di “cartiera” del cedente, incombendo sul contribuente, a fronte di siffatte dimostrazioni, la prova contraria (cfr. Cass. n. 25778/2014). Orbene, applicati i suddetti principi al caso di specie ed esaminate le risultanze processuali, ritiene il Collegio di dover pervenire all’accoglimento del motivo di appello in esame. Invero, nel caso in esame, se da un lato seri dubbi sorgono in ordine alla sussistenza di prova adeguata del ruolo di “cartiera” svolto dalle società cedenti (emittenti delle fatture contestate all’Evangelista, nella specie Omnia e S.Cars ), dall’altro lato, gli elementi di riscontro per sostenere la connivenza dell’Evangelista ( incaricava soggetti interposti cfr. pag. 2 ultimo cpv.sentenza impugnata) costituiscono presunzioni privi dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.
Venendo al primo profilo sopra evidenziato, deve osservarsi che nel PVC della G.d.F di Popoli si dà per scontato il ruolo di “cartiere” svolto dalle società sottoposte a verifica dalla G.d.F. di Termoli, ma, salvo un riferimento al mancato versamento dell’IVA da parte di dette società, contenuto nel paragrafo relativo alle “violazioni sostanziali” (pagg. 5 e segg. del predetto PVC), non vi sono elementi ulteriori e concreti da cui desumere lo svolgimento effettivo da parte delle ditte OMNIA S. di Di Palma Luciano, S.CARS s.r.l. Unipersonale del ruolo di “cartiere” nell’ambito delle cosiddette “frodi carosello” (ad esempio, non risulta se le predette società fossero totalmente inoperanti sul mercato ed avessero evaso totalmente o parzialmente l’IVA). 2/fatture emesse da soggetto diverso dall’effettivo cedente del bene o servizio (cd. operazioni ìn 1′ IVA). A tale dirimente considerazione in ordine alla fondatezza del motivo di appello in esame, ritiene questa Commissione di dover ulteriormente aggiungere che gli elementi di riscontro utilizzati dall’Amministrazione per sostenere la connivenza dell’Evangelista con le società ritenute “cartiere” costituiscono presunzioni privi dei requisiti di gravità, precisione e concordanza. Invero, non si comprende quale valenza presuntiva possa attribuirsi alla circostanza che le autovetture siano state “direttamente consegnate presso l’autosalone dell’Evangelista. Del tutto irrilevante ai medesimi fini è la circostanza che le forniture di auto siano state pagate in contanti (cosa all’epoca possibile), posto che tale circostanza sembrava un modus operandi del contribuente, avendo in tal modo provveduto anche con riferimento alle auto acquistate direttamente all’estero, estranee, come detto, alla frode carosello.
L’altro elemento presuntivo indicato dalla CTP di Pescara è quella secondo cui i soggetti che l’Evangelista incaricava fatturavano all’autosalone senza provvedere al versamento dell’IVA:trattasi di affermazione che, invero, non ha trovato alcun riscontro nel PVC della G.d.F. di Popoli, fatta eccezione che per un vago riferimento al punto c) della parte descrittiva del “modus operandi” nel fenomeno delle frodi carosello (esposto a pag. 7 del predetto documento) al mancato versamento dell’IVA relativa al documento fiscale compilato, senza però dare minimamente conto dell’entità di tali omissioni, e cioè a quali fatture siano riferite, per quale periodo e per quali importi. Se poi si tiene conto del fatto dí quanto evidenziato dall’Evangelista in ordine alla regolarità della propria contabilità aziendale, all’effettività degli acquisti delle autovetture, alla congruità dei prezzi effettivamente pagati per detti acquisti e dei ricarichi applicati, alla “normalità” del rapporto commerciale intrattenuto con le due ditte fornitrici, attestatosi ad appena il 10% del fatturato complessivo per l’anno 2005 e del 4,8% per l’anno 2006, nonché all’assoluzione dal reato di cui all’art. 2 d.lgs. 74/2000, contestatogli in relazione a tale vicenda, allora non può che ritenersi l’assoluta buona fede del contribuente nelle relazioni commerciali intrattenute con le sopra citate società. Quindi, in accoglimento del motivo di appello in esame, in riforma dell’impugnata sentenza, va riconosciuto all’Evangelista il diritto alla detrazione dell’IVA esposta nelle fatture oggetto di accertamento. Quanto al motivo di appello proposto dall’Evangelista in relazione all’applicazione del regime speciale del margine, anziché quello ordinario, con riferimento ad alcuni acquisti di autovetture, deve osservarsi, preliminarmente, che, secondo condivisibile principio giurisprudenziale (cfr. Cass. n. 26852/2014) “in tema di IVA, il regime del margine di utile di cui all’art. 36 del d.l. 23 febbraio 1995, n. 41, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 marzo 1995, n. 85, rappresentando un regime speciale, di carattere opzionale, derogatorio dell’ordinaria disciplina fiscale degli acquisti intracomunitari, impone al contribuente di provare la sussistenza dei presupposti di fatto che ne giustificano l’applicazione. Ne consegue che l’assenza o il difetto di detta prova comporta l’inapplicabilità del regime impositivo de quo”. “Il regime speciale c.d. del margine di utile disciplinato dall’art. 26 bis della 6^ Direttiva n 388/1977 del Consiglio in da 17.5.1977 (aggiunto dalla Direttiva n. 94/5/CE del Consiglio in data 14.2.1994, che ha ricevuto attuazione con il D.L. 23 febbraio 1995, n. 41, arti. 36 e 40, conv. in L. 22 marzo 1995, n. 85) si configura come “regime fiscale speciale”, di natura derogatoria del regime ordinario IVA, avente carattere opzionale (essendo rimessa al contribuente la scelta di avvalersi del regime ordinario IVA o di quello speciale), e che, in quanto funzionale ad evitare il fenomeno della doppia imposizione (cfr. terzo considerando dir. CE n. 5 del 1994), assume come condizione indefettibile di applicabilità la indeducibilità dell’Iva versata “a monte” dal cedente-operatore comunitario in occasione dell’acquisto del bene successivamente rivenduto all’importatore in altro Paese membro. Pertanto nei casi in cui la operazione conclusa tra le parti, entrambi soggetti passivi IVA, residenti in Paesi comunitari diversi, abbia ad oggetto la cessione di un bene che viene materialmente trasferito nel Paese del soggetto-cessionario, quando anche tale bene presenti i requisiti del “mezzo di trasporto” non considerato nuovo dal D.L. n. 331 del 1993, art. 38, comma 4, conv. in L. n. 427 del 1993, nel dubbio circa la sussistenza dei requisiti legali formali e sostanziali cui è assoggettato il regime del margine, trova applicazione il regime ordinario IVA previsto per le operazioni intracomunitarie, atteso il rapporto di genus ad speciem che deve ravvisarsi tra le due discipline fiscali ed in assenza di una espressa previsione normativa, comunitaria o nazionale, volta ad estendere il regime speciale anche in difetto di elementi univoci che consentano di sussumere la fattispecie concreta nella disciplina fiscale speciale” (così in motivazione, Cass. n. 26852/2014 citata). Orbene, nel caso in esame, l’Evangelista ha affermato che delle autovetture elencate nel PVC della G.d.F. di Popoli (cfr.pag.10) erano state acquistate parte da privati e parte da ditte commerciali. Ne consegue che è corretta la ripresa a tassazione ma limitatamente alle autovetture di cui al DDT n.4 della S.CArs del 28.2.2006, non essendo idoneo a giustificare l’applicazione del regime speciale del margine la circostanza dedotta dall’Evangelista. In definitiva, la ripresa fiscale va rideterminata, a cura dell’Ufficio, in relazione agli autoveicoli indicati nel suddetto documento. L’appellante ha poi censurato la statuizione di primo grado in relazione al recupero dei costi per acquisto di carburante per complessivi 2.456,58 .00 -curo, deducendo che la CTP di 1 Pescara non aveva adeguatamente valutato che detti costi erano stati regolarmente annotati nella contabilità aziendale ed effettivamente sostenuti. Il motivo è infondato e va rigettato, posto che è principio giurisprudenziale, dal quale non v’è ragione di discostarsi, quello secondo cui “in tema di tributi erariali diretti e di IVA, la possibilità di dedurre le spese per i consumi di carburante per autotrazione e di detrarre dall’imposta dovuta quella assolta per il suo acquisto è subordinata al fatto che le cosiddette “schede carburanti”, che l’addetto alla distribuzione è tenuto a rilasciare, siano complete in ogni loro parte e debitamente sottoscritte, senza che l’adempimento, a tal fine disposto, ammetta equipollente alcuno e indipendentemente dall’avvenuta contabilizzazione dell’operazione nelle scritture dell’impresa” (cfr. Cass. n. 26862/2014).
Il “regolamento recante norme per la semplificazione delle annotazioni da apporre sulla documentazione relativa agli acquisti di carburanti per autotrazione” di cui al d.p.r. 10 novembre 1997, n. 444, impone (all’art. 1, 1° co.), ai fini della deducibilità del relativo costo, Putili7727ione di una “apposita scheda conforme al modello allegato” al predetto regolamento e all’art. 2, 1° co., prevede a carico del contribuente che “Per ciascun veicolo a motore utilizzato nell’esercizio dell’attività d’impresa, dell’arte e della professione, è istituita una scheda mensile o trimestrale contenente, oltre agli estremi di individuazione del veicolo, la ditta, la denominazione o ragione sociale, ovvero il cognome e il nome, il domicilio fiscale ed il numero di partita IVA del soggetto d’imposta che acquista il carburante, nonché, per i soggetti domiciliati all’estero, l’ubicazione della stabile organizzazione in Italia. Nell’ipotesi di cui all’articolo 17, secondo comma, del citato decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 , e successive modificazioni, la scheda contiene gli estremi di individuazione del veicolo ed i dati identificativi del soggetto residente all’estero e del rappresentante residente nel territorio dello Stato”. A carico dell’addetto alla distribuzione di carburante l’art. 3 pone invece l’onere di indicare “nella scheda di cui all’articolo 2 all’atto di ogni rifornimento, con firma di convalida, la data e l’ammontare del corrispettivo al lordo dell’imposta sul valore aggiunto, nonché, anche a mezzo di apposito timbro, la denominazione o la ragione sociale dell’esercente l’impianto di distribuzione, ovvero il cognome e il nome se persona fisica, e l’ubicazione dell’impianto stesso”.
Nel caso di specie, gli acquisti risultano da buoni “di prelievo”, scontrini esteri, diversi dalle schede carburanti previste dalla legge, non contengono gli estremi di individuazione del veicolo né i dati del soggetto d’imposta che avrebbe acquistato il carburante e già solo la mancanza di questi dati non consente di verificare la necessaria inerenza dei singoli acquisti di carburante all’attività svolta.
Con riferimento all’avviso di accertamento n. TA607A202356, l’Evangelista ha censurato la decisione di primo grado che aveva ritenuto corretto l’operato dell’Ufficio in relazione al recupero dell’IRPEF per l’importo complessivo di 1.600,00 euro versato ai collaboratori Sxxx.
A sostegno del motivo di appello in esame l’Evangelista ha dedotto che a tali soggetti, che avevano collaborato nell’acquistare alcune autovetture in Germania e a condurle fino alla sede della società, aveva versato somme a titolo gratuito, per amicizia, per gratitudine ed anche per partecipazione alle spese da quelli sostenute in tali attività, e non a titolo di compenso. La tesi non è condivisibile, non solo perché è rimasta priva di adeguata dimostrazione, ma è che ha dichiarato che veniva “retribuito in base ai viaggi e alle vetture trasportate”, ma anche Morena percepiva 500 euro mensili oltre tutti i rimborsi per le spese sostenute”.
Conclusivamente, in parziale accoglimento dell’appello, va riconosciuto all’Evangelista il diritto alla detrazione dell’IVA, il diritto ad avvalersi del regime del margine nei termini sopra indicati.
La reciproca soccombenza giustifica ampiamente la compensazione integrale delle spese processuali.
P.Q.M.
La Commissione Tributaria Regionale di L’Aquila, Sezione distaccata di Pescara, definitivamente pronunciando , ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa e rigettata, così provvede:
– accoglie l’appello nei limiti di cui alla motivazione e compensa le spese.
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