COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE per la Campania sentenza n. 3657 sez. 19 depositata il 19 aprile 2017
Massima
Le autorità doganali possono procedere a determinare l’effettivo valore delle merci importate sulla base del valore di transazione di merci similari quando l’importatore non abbia fornito adeguata prova documentale del valore delle merci importate. Lo dicono i giudici della CTR campana i quali, rifacendosi sia alla giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 20931/2013) che all’interpretazione della normativa comunitaria operata dalla Corte di Giustizia UE (CGUE, sez. VI, 16/06/2016, n. 291), respingono l’appello presentato dall’importatore che aveva impugnato la decisione dell’Ufficio con cui era stato rideterminato il valore doganale delle merci importate. Nel caso di specie il ricalcolo è avvenuto con l’ausilio del sistema Merce/Cognos, sistema di rilevazione e verifica ritenuto assolutamente affidabile poiché fondato su dati proveniente dallo stesso sistema complessivo delle importazioni.
Con ricorso tempestivamente notificato in qualità di legale rappresentante della —, ha proposto alla Commissione Tributaria Provinciale di Napoli ricorso avverso la decisione del Direttore interregionale della Campania e Calabria n. 3 del 3.9.2014, e degli atti presupposti, con cui è stato rideterminato il valore doganale delle merci dichiarate in dogana per l’importazione con bolletta registro — n. — del 22.4.2014.
Il ricorrente premette di aver presentato, il 22.4.2014, tramite il proprio spedizioniere doganale, una dichiarazione di importazione avente ad oggetto, tra l’altro, asciugacapelli, per un valore statistico di euro 13.142,38, come da fattura e documentazione.
La spedizione veniva sottoposta a visita merce e controllo documentale dell’Ufficio dogane, che il 24.4.2014 chiedeva ulteriori informazioni e documenti; il 30.4.2014 l’ufficio Dogane comunicava che il valore doganale dichiarato in bolletta non era congruo, non rappresentando l’importo totale pagato o da pagare, e ne rideterminava il valore con un sistema di rapporto valore/peso, redigendo, in data 9.5.2014, un verbale di constatazione.
Instaurato il procedimento di controversia doganale ex art. 65 ss. DPR 43/1973 (TULD-Testo Unico Leggi Doganali), il Direttore Interregionale della Campania e della Calabria adottava la decisione oggetto di impugnazione.
Eccepiva in primo grado la violazione delle disposizioni in materia di valore in dogana: l’art. 29 Reg. CE 2913 del 1992 (codice doganale comunitario) prevede che il valore in dogana coincide con il valore di transazione, della fattura, con “il prezzo pagato o da pagare per le merci vendute per l’esportazione a destinazione del territorio doganale della Comunità”; su richiesta della Dogana, la ricorrente ha fornito la documentazione richiesta (contratti di vendita, contabile bancaria per il pagamento di una delle fatture oggetto di controllo, documenti di trasporto e di assicurazione, mandato di rappresentanza, dichiarazione di conformità delle merci e documentazione relativa alla sicurezza), ritenuta non attendibile dalla Dogana per una serie di incongruenze (la fattura prodotta fa riferimento ad un contratto diverso da quello prodotto, il contratto indica termini di pagamento diversi da quelli documentati, la fattura indica una banca beneficiaria diversa da quella indicata nel documento di pagamento).
In merito ai rilievi della Dogana, la ricorrente replica: in ordine alla incongruenza tra fattura e contratto, l’ordine indicato nella pro-forma è il numero d’ordine della — mentre quello indicato dal fornitore nella fattura è quello della sua pro-forma; in ordine all’incongruenza sui termini di pagamento, il contratto fa riferimento a due prodotti differenti, mentre la fattura ne indica uno solo, perchè l’ordine è stato evaso parzialmente; in ordine all’incongruenza sull’indicazione della banca beneficiaria, il compratore ha effettuato il pagamento tramite la — di New York, noto istituto di credito di rilievo internazionale; in ordine all’incongruenza sui termini di pagamento, essi sono cambiati, con la pattuizione di un pagamento finale totale successivo allo sdoganamento; al riguardo, viene prodotta la contabile bancaria attestante il saldo della fattura di vendita presentata in dogana; in ordine all’omessa produzione della dichiarazione di esportazione, la ricorrente non poteva produrla, trattandosi di documento doganale attinente ad un terzo soggetto e al sistema doganale cinese.
Illegittima è la decisione che si fonda sul valore medio risultante dalla banca dati Cognos in uso ai funzionari dell’Agenzia delle Dogane, in quanto fondata su valutazioni statistiche e stime presuntive, non dotate dei requisiti di precisione, gravità e concordanza.
La revisione del valore dell’importazione, fondata sull’art. 181 bis della DAC è erronea, non essendo stata dimostrata dalla Dogana l’inattendibilità della documentazione prodotta, su cui è fondato il valore di transazione dichiarato. Eccepisce inoltre il difetto di motivazione, non essendo esposti gli elementi di fatto dai quali desumere l’esistenza di un illecito e la responsabilità dell’importatore, e non essendo sufficiente il richiamo alle sole “medie di settore”.
Si é costituita l’Agenzia delle Dogane di Napoli e ha chiesto, preliminarmente, l’inammissibilità del ricorso, in quanto proposto avverso atto non impugnabile; al riguardo, espone che la decisione del Direttore interregionale – si inserisce in un procedimento di controversia doganale, disciplinato dagli artt. 65 e ss. TULD, nell’ambito di un ricorso gerarchico; il provvedimento, tuttavia, non esprime la pretesa tributaria, ma definisce soltanto la controversia doganale in via gerarchica; il provvedimento impugnabile è, invece, quello emesso dall’ufficio doganale territoriale (nel caso di specie, l’Ufficio delle Dogane Napoli 1), che, sulla base della decisione del Direttore interregionale, emetterà l’avviso di rettifica e di riliquidazione dei diritti, e l’irrogazione delle sanzioni; in tal senso depone altresì il tenore della decisione impugnata, che in calce riporta il seguente avviso: “avverso l’accertamento operato dall’Ufficio delle Dogane di Napoli 1, come confermato con il presente atto, è ammesso ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale di Napoli, mediante notifica al suddetto Ufficio delle Dogane di Napoli 1, entro il termine di 60 gg. (sessanta giorni) dall’acquisita conoscenza legale del presente atto”.
Ha poi chiesto il rigetto del ricorso, ritenendo di aver operato legittimamente e di aver motivato la propria valutazione, e rilevando che, in sede di contenzioso doganale, la società — non presentava i contratti di vendita con le due società cinesi importatrici (avendo prodotto un solo contratto ma non pertinente), la documentazione attestante i pagamenti e l’assicurazione della merce, rideterminava il valore della merce per un totale di euro 39.162,00 secondo il metodo sostitutivo del valore di transazione di merci similari di cui all’art. 30 comma 2 lett. b) CDC, per un importo di euro 3.645,00 di diritti doganali da recuperare; tale rideterminazione veniva impugnata in via gerarchica dinanzi al Direttore interregionale, per la risoluzione della controversia doganale.
Espone che l’art. 181 bis Reg. CE 2454/93 prevede che le autorità doganali non sono tenute a determinare il valore in dogana delle merci importate in base al metodo del valore di transazione, se, in esito alla procedura di richiesta di informazioni, hanno fondati dubbi che il valore dichiarato rappresenti l’importo totale pagato o da pagare; ma il “valore di transazione” comprende non solo il corrispettivo della merce, ma altresì il costo del trasporto dal luogo di produzione al porto di imbarco, il nolo, la polizza assicurativa. Se, all’esito delle informazioni richieste, permangono fondati dubbi, l’autorità doganale può rideterminare il valore della merce secondo forme alternative; lo strumento adoperato è la banca dati MERCE/COGNOS, che raccoglie tutte le dichiarazioni doganali, e consente di individuare, per ciascuna voce doganale, la materia prima utilizzata, il nome delle ditte importatrici, i marchi, il valore e la qualità dei prodotti similari.
Peraltro, la mancata produzione di una parte della documentazione integrativa richiesta – la bolletta di esportazione cinese, l’assicurazione, e i contratti di vendita pertinenti – confermava i dubbi della dogana sul valore della transazione. Contestava altresì la pretesa carenza di motivazione, deducendo che l’avviso di rettifica doganale era fondato su un sub-procedimento svolto in contraddittorio con la parte, e che indicava tutte le ragioni giuridiche e difatto.
La CTP di Napoli con la sentenza n. 18839 del 31 luglio 2015 ha rigetatto il ricorso, condannando la ricorrente altresì al rimborso delle spese di lite.
Ha osservato che le censure riguardavano l’importazione dalla Cina di 375 colli di asciugacapelli (dalla ditta —, del peso lordo di kg. 3175 e valore dichiarato di euro 13.142,38 FOB, e di 400 colli di rasoi e tosatrici (dalla ditta — co. Ltd), del peso lordo di kg. 3280 e valore dichiarato di euro 10.591,53 FOB, il valore dichiarato veniva tuttavia rideterminato dall’Ufficio doganale, sulla base della media dei valori più bassi tra quelli risultanti dalla banca dati MERCE/COGNOS, in euro 39.162,00, con un maggior dazio di euro 339,85 e una maggiore lVA di euro 3.305,19, per un totale di euro 3.645,04.
L’art. 29 CDC stabilisce che il valore in dogana delle merci importate è il valore di transazione, cioè il prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci quando siano vendute per l’esportazione a destinazione del territorio doganale della Comunità, previa eventuale rettifica effettuata conformemente agli articoli 32 e 33.
Ai sensi dell’art. 32 lett. e), il valore imponibile ai fini doganali deve comprendere anche il nolo marittimo e l’assicurazione per il rischio del trasporto. Se, come nella fattispecie, la fattura è resa FOB (senza tali spese), le spese devono essere aggiunte al valore di fattura estera per ottenere il valore imponibile ai fini dei dazi.
Nel caso di specie, la società ricorrente aveva indicato come valore quello indicato in fattura (FOB), senza allegare documenti attestanti il pagamento o le garanzie, e senza indicare il costi del nolo, dell’ assicurazione, ecc.
In particolare, oltre a non aver prodotto la fattura e la dichiarazione di esportazione presentata all’Autorità doganale estera, in relazione alla fattura n. — emessa dalla — il 19.3.2014 il Pro Forma invoice prodotto riporta come termini di pagamento della merce per il 20% prima dell’invio e per il restante 80% alla presentazione della polizza di carico; la modifica dei termini di pagamento, dedotta dalla società, non era stata tuttavia documentata, e lo stesso documento dell’U., in cui viene dato incarico ad una banca intermediaria (—) di versare la somma di 3.000,00 USD non conteneva alcun riferimento alla Pro Forma Invoice presentata, bensì un generico richiamo ad acconto su fornitura.
In relazione alla fattura n. — emessa dalla — il 6.3.2014, il Pro Forma Invoice prodotto riportava un differente n. identificativo, — del 18.3.2014, e lo stesso documento dell’U., in cui viene dato incarico ad una banca intermediaria (—) di versare la somma di 14.736,00 USD contiene il riferimento ad una differente Pro Forma Invoice (la n. —); anche in tal caso, i termini di pagamento non erano conformi alle pattuizioni contrattuali; in ogni caso, non era stata fornita prova del trasferimento di fondi fra la banca incaricata e la banca indicata dal fornitore (la Bank of —), per la quale sarebbe stato sufficiente allegare copia del conto corrente societario da cui rilevare l’avvenuto pagamento.
È comunque priva di pregio la deduzione del ricorrente secondo la quale il differente numero del Pro Forma Invoice sarebbe legato alla differente identificazione da parte del fornitore e dell’importatore; è evidente che il contratto deve avere un’unica sequenza identificativa, alla quale occorre far riferimento per tutte le vicende negoziati, e soprattutto per la prova del pagamento.
Inoltre, entrambi i prodotti importati erano contrassegnati da un marchio (—) di larga diffusione, e confezionati con cura, di fascia medio-alta, ed i valori dichiarati nella bolletta doganale sono inferiori ai minimi estrapolati dalle banche dati in uso alla Dogana per la medesima VD, riferibili a merce di qualità scadente, non già di fascia medio-alta come nella fattispecie.
Tale carenza contraddittorietà documentale giustificava il ricorso dell’Agenzia delle Dogane a banche dati (MERCE/COGNOS) con parametri oggettivi, per la determinazione dell’esatto valore della merce importata, peraltro fissando il valore secondo gli indici più bassi.
Invero, i contratti di vendita, per le incongruità evidenziate, non erano idonei a provare il costo effettivo della merce, proprio perché la contestazione riguardava la presunta simulazione parziale del prezzo, recte del valore di transazione; del resto, anche la polizza per l’assicurazione di merci trasportate, stipulata con l’ACE Europe, non appariva riferibile all’importazione in oggetto, ma sembrava essere una polizza assicurativa unica per più merci; documento, dunque, non pertinente, essendo il contratto di assicurazione ad oggetto indeterminato, e dunque nullo.
Trattandosi di merce venduta con clausola FOB, del resto, risultava rilevante, per determinare la base imponibile a fini IVA e per la determinazione dei dazi, la dimostrazione dei costi assicurativi e dei costi per il trasporto e per il nolo.
In ordine alla legittimità del metodo seguito dall’Ufficio, osservava che le procedure di accertamento standardizzato costituiscono un sistema di presunzioni semplici, la cui attendibilità è condizionata anche dal contraddittorio endoprocedimentale con il contribuente, nell’ambito del quale questi ha l’onere di provare, senza limitazioni, la sussistenza di condizioni che giustifichino lo scostamento del prezzo riportato in fattura.
Nel caso di specie, la determinazione del valore della transazione è stata correttamente effettuata, ai sensi degli artt. 29 e 30 reg. CEE 2913/92, sulla base del sistema MERCE/COGNOS ed in esito alla richiesta rivolta all’Importatore di fornire informazioni complementari, ai sensi dell’art. 181 bis Reg. CEE 2454/93 in ragione di fondati dubbi derivanti dai valori dichiarati in fattura, accertati inferiori a quelli soglia.
Al riguardo, sulla legittimità del ricorso a metodi alternativi e standardizzati di determinazione del valore di transazione, osservava che è stato affermato che il dazio doganale da Importazione “ad valorem ” assume il valore in dogana delle merci importate, quale fondato su quella reale della merce cui si applica il diritto di confine, che coincide, ai sensi dell’art. 29 del Regolamento comunitario 12 ottobre 1992, n. 2913, con il “valore di transazione”, cioè il prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci se vendute per l’esportazione a destinazione del territorio comunitario, previa eventuale rettifica effettuata conformemente agli artt. 32 e 33 del citato regolamento; ne consegue che il prezzo della merce presentata in dogana è al lordo degli oneri accessori a carico effettivo del compratore, quale risultante dalla fattura che accompagna la spedizione dei beni, mentre solo se il prezzo non è individuabile o sia inattendibile o indeterminato si applicano criteri particolari di definizione della base imponibile, fondati sul valore di transazioni per merci identiche o similari” (Cass. civ., sez. V, 13.9.2013, n. 20947).
Nell’ambito dell’attività di contrasto alla pratica della sottofatturazione delle merci in dogana, dunque, sono stati richiesti documenti sui costi di trasporto, assicurazione e nolo -che concorrono alla determinazione del valore effettivo delle merci-, nonché sulle modalità di pagamento. Il contraddittorio con il contribuente -dapprima endoprocedimentale e poi processuale non ha consentito di fugare il dubbio sull’attendibilità del valore di transazione, non essendo stati esibiti dall’importatore documenti pertinenti e rilevanti.
Avverso tale sentenza ha proposto appello la —.
Carattere preliminare riveste il motivo di gravame, riportato sub III alla pag. 21 e ss. dell’atto di appello, con il quale si reitera l’eccezione di violazione dell’art. 36 del D.Lgs. n. 546 del 1992, dell’art. 7 dello Statuto del contribuente (legge n. 212/2000) e dell’art. 3 della legge n. 241/190 sul presupposto che l’atto impugnato sarebbe affetto da nullità per difetto di motivazione.
La doglianza è priva di fondamento.
L’Ufficio ha ampiamente ed adeguatamente motivato circa le ragioni in base alle quali ha provveduto alla determinazione del diverso valer delle merci oggetto di controversia sulla base del sistema Merce/Cognos, sistema il cui utilizzo, una volta che l’importatore non abbia soddisfatto in maniera adeguata alle richieste della Dogana, di documentare l’effettiva veridicità ed attendibilità delle risultanze della fattura presentata, appare giustificato dalla stessa giurisprudenza di legittimità ( cfr. Cass. n. 20931/2013, che appunto prevede che possa definirsi il valore della base imponibile, sul valore di transazioni per merci identiche o similari.
Peraltro, come già osservato da numerosi precedenti anche di questa CTR, puntualmente richiamati dalla difesa dell’Ufficio, la banca dati di cui fa uso la Dogana costituisce un sistema informatico che raccoglie informazioni sulle merci importate nell’UE, indicando prodotto per prodotto una scala di valori entro la quale è ammesso che possa oscillare il valore dichiarato delle merci.
Tale sistema alimentato quindi con dati di provenienza nazionale ed internazionale, scaturenti dalle dichiarazioni doganali e dagli elenchi riepilogativi degli acquisti e cessioni intracomunitarie, consente quindi di individuare con la maggiore precisione possibile per ciascuna voce doganale la materia prima utilizzata, in nome della ditta importatrice, i marchi più o meno noti della merce importata e quindi il valore e la qualità dei prodotti similari a quello oggetto di controllo.
Si tratta pertanto di un sistema di rilevazione e verifica assolutamente affidabile in quanto fondato su dati provenienti dallo stesso sistema complessivo delle importazioni e che garantisce, quindi l’assoluta affidabilità del parametii di riferimento. Nel caso di specie quindi l’Ufficio appellato è pervenuto alla determinazione di quello che ritiene essere l’effettivo valore della merce importata, avendo riscontrato l’effettiva natura e qualità dei prodotti, di guisa che il richiamo ai valori ricavabili dalla predetta banca dati soddisfa, acnorchè per relationem, l’obbligo di motivazione del provvedimento impositivo.
Inoltre, trattasi dl comportamento che appare in linea anche con l’interpretazione delle norme comunitarie, quaii in concreto applicabili nella fattispecie, così come suggerita dalla Corte di Giustizia, la quale con una recente snetenza (Corte giustizia UE, sez. VI, 16/06/2016, n. 291, in Foro it. 2016, 9, IV, 430) ha affermato che l’art. 181bis del regolamento (Cee) 2454/93 della commissione, del 2 luglio 1993, che fissa talune disposizioni d’applicazione delregolamento (Cee) 2913/92 del consiglio che istituisce il codice doganale comunitario, come modificato dal regolamento (Ce) 3254/94 della commissione, del 19 dicembre 1994, deve essere interpretato nel senso che non asta a una prassi delle autorità doganali, come quella di cui al procedimento principale, secondo la quale il valore in dogana delle merci importate è determinato con riferimento al valore di transazione di mercisimilari, metodo di cui all’art. 30 del regolamento (Cee) 2913/92 del consiglio, del 12 ottobre 1992, che istituisce un codice doganale comunitario, come modificato dal regolamento (Ce) 82/97 del parlamento europeo e del consiglio, del 19 dicembre 1996, ove si ritenga che il valore di transazione indicato, confrontato con la media statistica dei prezzi di acquisto riscontrati nell’importazione di merci similari, sia anormalmente basso quantunque l’autorità doganale non confuti né ponga altrimenti in dubbio l’autenticità della fattura o del documento probatorio del bonifico presentati per giustificare il prezzo effettivamente corrisposto per le merci importate e senza che l’importatore, in risposta alla richiesta in tal senso dell’autorità doganale, adduca prove aggiuntive per dimostrare l’esattezza del valore di transazione delle stesse.
Il richiamo a tale ultimo precedente da altresì contezza dell’infondatezza delle altre censure dell’appellante, la quale denunzia la violazione delle previsioni di cui all’art. 29 e ss. del Reg. CE n. 2913 del 1992 e dell’art. 181 bis del Reg. CE n. 2454 del 1993.
La sentenza impugnata deve ritenersi che invece abbia fatto corretta e puntuale applicazione delle norme de quibus, così come da ultimo autorevolmente interpretate dalla giurisprudenza comunitaria nel precedente citato.
Ed, invero, emergono numerosi e puntuali indici di inattendibilità della fattura presentata dall’importatrice, che apoditticamente assume la propria impossibilità di poter fornire risposta alle richieste di integrazioni documentali legittimamente avanzate dall’Ufficio.
Del tutto ingiustificata appare infatti la deduzione secondo cui non sarebbe producibile la documentazione attestante i costi di trasporto dal luogo di produzione a quello di imbarco della merce nel paese esportatore ovvero la locale bolletta di esportazione doganale, ma ancor più l’appello non si perita minimamente di confutare le attente e puntuali considerazioni del giudice di primo grado in ordine alle incongruenze rilevate quanto alle diverse modalità di pagamento, alla non corrispondenza tra il numero delle fatture presentate ed i pro forma invoice, nonché in ordine alla mancata prova dell’effettivo trasferimento dei fondi alla società esportatrice.
Trattasi di elementi connotati da assoluta incertezza in ordine alla piena attendibilità della fattura e che sono stati adeguatamente valorizzati dal giudice di primo grado, senza che nell’atto di appello siano portatargomentazioni idonee a confutare il corretto ragionamento della CTP.
Così come del pari apodittica e priva di adeguato supporto prgomentativo è la deduzione in merito alla pretesa validità della polizza assicurativa prodotta dall’appellante, a fronte del rilievo della CTP circa l’assoluta indeterminatezza dell’oggetto della copertura assicurativa e l’idoneità della medesima polizza ad individuare con certezza il rischio assicurato, in maniera tale da far ricomprendere validamente anche quello concernente la transazione oggetto di causa.
La mancata integrazione delle legittime richieste provenienti dall’Ufficio, le palesi incongruenze segnalate circa la riferibilità delle fatture all’effettivo valore della transazione commerciale, l’incertezza in ordine alle modalità di pagamento ed alla stessa effettuazione del versamento dell’acconto, la qualità della merce rinvenuta nei colli, che rende inverosimile il valore dichiarato, costituiscono tutti elementi che valutati complessivamente depongono per la legittimità del provvedimento impugnato, ed implicano quindi il rigetto dell’appello.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
la Commissione Tributaria Regionale di Napoli – 19 sezione, definitivamente pronunciando sull’appello come in epigrafe proposto e tra le parti indicate, così provvede:
– rigetta l’appello e condanna l’appellante al rimborso delle spese del grado che liquida in euro 2.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Così deciso nella Camera di Consiglio in data 13.4.2017.
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