COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE per la Campania sentenza n. 7506 sez. 34 depositata il 5 agosto 2016
Massima
Ai fini della detraibilità dell’IVA relativa ad operazioni soggettivamente inesistenti il cessionario deve provare il proprio inconsapevole coinvolgimento nella frode. E’ quanto affermano i giudici della CTR di Napoli ritenendo non condivisibile quanto affermato dai primi giudici. Questi ultimi, infatti, tra l’altro citando alcuni solidi principi enunciati dalla Suprema Corte (sent. nn. 20777/13 e 3792/2014 ), accoglievano l’appello della contribuente che, interessata da un avviso di accertamento per iva indetraibile relativa a fatture ricevute da ditte ritenute “cartiere”, aveva eccepito la propria totale estraneità alla configurata “frode carosello”. I giudici di appello, al contrario, accogliendo i rilievi dell’Ufficio, sostengono che l’esistenza di rapporti commerciali intercorsi tra i soggetti coinvolti induce ad escludere l’ignoranza incolpevole del cessionario circa l’avvenuto versamento dell’IVA a soggetto non legittimato alla rivalsa e quindi non obbligato al pagamento dell’imposta.
FATTO
La — impugnava l’avviso di accertamento TF— emesso dall’Agenzia delle entrate con cui si accertavano maggiori imposte Iva- lres- lrap.
L’atto impugnato trovava innesco da un p.v.c. della G. di Finanza con cui veniva contestato:
1) Iva indetraibile per complessivi euro 55.320,00 relativa alle fatture passive ricevute dalle ditte — tutte ritenute “cartiere” e le fatture soggettivamente inesistenti, procedendosi pertanto al recupero Iva (art.8 D.L. 1612012 che ha modif. l’art.14 co. 4/bis L.24/12/1993);
2) Indebita detrazione Iva di cui alle fatture emesse dalla — ritenute relative al contratto di locazione immobile e non ad un contratto di logistica;
3) Illegittima deduzione dal reddito di impresa di un imponibile pari a euro 80421,33 – ritenuto superiore a quello consentito dalla norma – e riferito ad una errata determinazione della durata degli ammortamenti scritti in bilancio alla voce Bl7 dello S.P. (altre immob. lmmater.) anzichè al B11 costi di impianto e ampliamento, ammortamento costituito da quote di costo pluriennale relativo a spese di manutenzione su beni di terzi.
La ricorrente, nel contestare l’accertamento, rappresentava che in sede di esame di istanza di accertamento con adesione e domanda di annullamento dell’accertamento, l’Agenzia si era resa disponibile ad abbandonare il rilievo dell’Iva recuperata sulle fatture di logistica e alla riduzione ad euro 23.113,00 del rilievo “Ammortamenti. Indebiti” non di competenza – Confermava il rilievo di cui al suddetto punto.
Faceva presente che relativamente al rilievo 1 (fatture soggettivamente inesistenti) il procedimento penale presso il Tribunale di Nola si era concluso con la sentenza n. 488/1 con la quale il G.U.P. aveva assolto il legale rappresentante – C.P. – perché i fatti non sussistono. Eccepiva la nullità dell’accertamento preliminarmente per difetto di motivazione in violazione dell’art. 7 legge 21212000 e art.37/bis Dpr 600173 – mancata allegazione p.v.c. e trasposizione acritica dei fatti in esso contenuti.
Nel merito deduceva che in presenza di fatture regolari l’Amm. Finanziaria non poteva disconoscere la detraibilità dell’Iva salvo che essa non provasse che la contribuente sapesse o potesse rendersi conto, utilizzando la normale diligenza, di tali irregolarità.
Rappresentava che il rilievo Iva fatture lntelogistic era stato annullato in autotutela.
Deduceva infine sulla legittimità della misura del costo imputato “ammortamento immobile” in ragione del principio contabile nazionale n. 24 e intern. las/Ifrs Bl7 altre immobilizzaz,. lmmateriali – per cui detti oneri sono ammortizzabili nel minore periodo tra quello di utilità futura delle spese sostenute e quello residuo della locazione.
L’agenzia delle entrate controdeduceva limitatamente al rilievo n. 1 sostenendone la legittimità atteso che era onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indeducibile, non essendo sufficiente, a tal fine, la dimostrazione della regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, in quanto si tratta di dati e circostanze facilmente falsificabili (Cass. sez. V sent. 12802 del 10/06/2011).
In sede di udienza veniva depositata conciliazione parziale.
Con sentenza del 2 luglio 2014 la Commissione Tributaria Provinciale di Napoli accoglieva il ricorso con compensazione delle spese, rilevando, quanto alla detrazione dell’Iva relativa alle fatture passive ritenute emesse, per operazioni soggettivamente inesistenti, che:
– la Suprema Corte con sent. n. 20777/13, consolidando principi già statuiti con precedenti sentenze di legittimità, ha statuito che è ammessa la detrazione dell’Iva, per operazioni ritenute soggettivamente inesistenti, laddove non si rinvenga che il contribuente sapesse o potesse sapere che il soggetto cedente avesse evaso l’imposta o compiuto una frode;
– sempre in tema la Suprema Corte VI sez. civ. con recentissima sentenza n. t3792 del 17/06/2014 ha configurato una fattispecie da cui può dedursi la estraneità del committente alla partecipazione di frode “carosello”: fattispecie rappresentata dalla scarsità di rapporti avuti con la ditta “cartiera”;
– dalla documentazione in atti non risultava alcunché che potesse far risalire ad una conoscenza di attività evasiva del fornitore;
– nel caso in esame la ricorrente aveva intrattenuto un unico rapporto commerciale con ciascuna delle tre ditte ritenute “cartiere” per cui, anche in ragione del principio surriportato, essa doveva ritenersi estranea ai fatti contestati;
– a conforto di quanto sopra vi era anche la sentenza assolutoria del GUP del Tribunale di Nola.
Per il rilievo n. 2 circa la contestata detraibilità dell’Iva relativa alle fatture della I. per euro 7.200,00 il primo giudice riteneva la controversia superata atteso che la stessa Agenzia delle entrate, in sede di contraddittorio per accertamento con adesione riconosceva che “dalla lettura della scrittura privata esibita daila parte, si evince che il contratto non è relativo ad una locazione di immobili strumentali, ma effettivamente riguarda una fornitura si servizi di deposito temporaneo e magazzinaggio con tutte e spese a carico della I. pertanto si ritiene di poter procedere all’annullamento del rilievo.”
Relativamente al rilievo di cui alla deducibilità della quota annua per ammortamento dei costi imputati alla voce B11 (Imm. Immateriali), premesso che in sede di accertamento con adesione la stessa agenzia riteneva deducibili tali oneri limitatamente all’importo di euro 23853,73 rispetto ad un valore complessivo di 80421,33, la CTP, in ragione dei motivi in accertamento circa l’indeducibilità e di quelli in ricorso formulati dalla ricorrente, riteneva di condividere le motivazioni di quest’ultima, con conseguente deducibilità dell’intero importo di euro 80421,33 cosi come contabilizzato. Tali spese infatti erano state sostenute in sede di avviamento dell’attività aziendale.
Avverso tale sentenza, l’Ufficio propone appello e la Soc. contribuente resiste in giudizio.
All’odierna udienza la causa è stata decisa.
DIRITTO
Preliminarmente. In merito al recupero portato dall’avviso di accertamento relativo al costo imputato alla voce “ammortamento immobile”, deve darsi atto che l’Ufficio ha emesso provvedimento di autotutela parziale con rideterminazione della pretesa e conciliazione giudiziale. La società contribuente ha formalizzato la conciliazione.
Sulla questione della detrazione IVA per operazioni soggettivamente inesistenti, l’appello è fondato posto che quanto deciso dal primo giudice non è condivisibile.
Il fenomeno delle frodi IVA è da tempo oggetto di analisi da parte degli organi comunitari, nonché della giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea e della Corte di Cassazione.
In particolare la Commissione Europea ha individuato uno schema denominato “frode carosello”, che nella sua forma più semplice si sostanzia in una catena di transazioni commerciali tra soggetti stabiliti in diversi Stati dell’Unione Europea, nella quale si interpone un soggetto fittizio (“cartiera”) che acquista beni da un soggetto estero, per poi rivenderli sul territorio nazionale, omettendo di versare all’Erario l’imposta addebitata in rivalsa al cessionario.
Uno degli elementi caratterizzanti la frode è costituito dalla fittizietà della transazione eseguita – in accordo o all’insaputa degli altri operatori – dal soggetto interposto e, quindi, dalla falsa rappresentazione della realtà nella fattura emessa dal medesimo soggetto.
L’operazione è qualificata “oggettivamente inesistente” se la cessione di beni non è stata effettuata, in tutto o in parte, nei termini oggettivi rappresentati nel documento fiscale. Se, invece, la cessione di beni è stata effettivamente posta in essere, ma tra soggetti diversi da quelli indicati nella rappresentazione cartolare, l’operazione si qualifica come “soggettivamente inesistente”.
Con riferimento alle operazioni “soggettivamente inesistenti”, è frequente che il cessionario cui sia stata negata dagli Uffici fiscali la detraibilità dell’IVA assolta sulle fatture emesse dal soggetto interposto, eccepisca in sede giudiziale il proprio inconsapevole coinvolgimento nella frode.
In merito al diritto alla detrazione dell’imposta da parte del cessionario in buona fede, la Corte di Giustizia ha stabilito che “il diritto di un soggetto passivo che effettua simili operazioni di detrarre l’IVA pagata a monte non è pregiudicato dal fatto che, nella catena di cessioni in cui si inscrivono tali operazioni, senza che il medesimo soggetto passivo lo sappia o lo possa sapere, un’altra operazione, precedente o successiva a quella realizzata da quest’ultimo, sia viziata da frode all’IVA” (sentenza 12 gennaio 2006, cause riunite C- 354103, C-355/03 e C-484103, Optigen, Fulcrum e Bond House, par. 55). Secondo la giurisprudenza comunitaria. quindi, il diritto alla detrazione è condizionato dallo stato soggettivo del cessionario che. non solo deve essere inconsapevole della frode, ma deve aver adottato tutte le misure necessarie per evitare di restarvi coinvolto, come manifesta l’espressione “senza che il medesimo soggetto passivo lo sappia o lo possa sapere”, utilizzata ripetutamente dalla Corte di Giustizia, che ha anche sottolineato (nella sentenza resa nella cause riunite C-439/04 e C-440/04 – Kittel-Computime e Recolta Recycling, par. 56 e 57) che non rileva la circostanza che egli tragga o meno beneficio dalla rivendita dei beni.
La posizione assunta dalla Corte di Giustizia è stata accolta dalla Corte di Cassazione con la sentenza 24 luglio 2009, n. 17377, secondo cui “nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti, il committente/cessionario conserva il diritto alla deduzione dell’imposta pagata qualora dalle circostanze del caso risulti che egli non sapeva e non poteva sapere di partecipare con il proprio acquisto ad una operazione che si iscriveva in una frode all’imposta (Corte di Giustizia CE sent. C/439/04 e sent. C-354/03)”.. Con la sentenza 16 aprile 2010. n. 9138, la Suprema Corte ha ulteriormente precisato il proprio indirizzo interpretativo ribadendo che, nell’ipotesi di operazioni soggettivamente inesistenti, il diritto alla detrazione “non sorge per il solo fatto della corresponsione dell’imposta ivi formalmente indicata, ma richiede altresì che il committente cessionario che invoca la detrazione fornisca, sul proprio stato soggettivo in ordine all’altruità della fatturazione, riscontri precisi, che non possono esaurirsi nell’avvenuta consegna della merce, nell’avvenuto pagamento della stessa nonché dell’IVA riportata sulla fattura emessa dal terzo, trattandosi di circostanze non decisive in rapporto alla peculiarità del meccanismo IVA e dei relativi possibili abusi” (Cass. n. 1950/2007).
Circa il nodo del riparto dell’onere probatorio è decisivo il recente arresto della S.C., secondo cui, in ipotesi di fatturazione per operazione soggettivamente inesistente risolventesi nella diretta acquisizione della prestazione da soggetto diverso da quello che ha emesso fattura e percepito l’IVA in rivalsa, la prova che la prestazione non è stata effettivamente resa dal fatturante, perché sfornito di dotazione personale e strumentale adeguata alla sua esecuzione, costituisce, di per sé, idoneo elemento sintomatico dell’assenza di “buona fede” del contribuente, poiché l’immediatezza dei rapporti (cedente o prestatore – fatturante – cessionario o committente) induce ragionevolmente ad escluderne l’ignoranza incolpevole circa l’avvenuto versamento dell’IVA a soggetto non legittimato alla rivalsa, né assoggettato all’obbligo del pagamento dell’imposta; con l’effetto che, in tal caso, sarà il contribuente a dover provare di non essere a conoscenza del fatto che il fornitore effettivo del bene o della prestazione era, non il fatturante, ma altri, altrimenti dovendosi negare il diritto alla detrazione dell’IVA versata. (Sez. 5, Sentenza n. 6229 del 13/03/2013, Rv. 625538).
Questo è precisamente il caso oggetto di causa di acquisto diretto da “cartiere”, in presenza del quale non rilevano l’esiguità anche numerica dei rapporti avuti con le società fornitrici in relazione al proprio volume d’affari, né la sentenza n. 488/1 R.G. con la quale il G.U.P assolveva C.P..
La complessità e l’andamento della causa giustificano l’integrale compensazione fra le parti delle spese del doppio grado di giudizio.
P. Q. M.
In accoglimento dell’appello dell’Ufficio, dichiara fondato l’accertamento quanto all’indetraibilità dell’IVA per le fatture soggettivamente inesistenti e dà atto dell’intervenuta conciliazione fra le parti quanto alla deduzione relativa alla durata degli accertamenti scritti in bilancio alla B17 dello S.P.; dichiara compensate fra le parti le spese del doppio grado di giudizio.
Napoli, lì 19 gennaio 2016
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