COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE per la Liguria sez. 1 sentenza n. 778 depositata il 29 maggio 2017
OGGETTO DELLA DOMANDA-SVOLGIMENTO DEL PROCESSO-MOTIVI DELLA DECISIONE
L’Agenzia delle Entrate di Genova appella avverso la sentenza n. 401/01/2015 che aveva accolto parzialmente il ricorso di L. spa eccependo quanto segue. La questione riguarda una cartella di pagamento emessa a seguito di iscrizione a ruolo effettuata dall’ufficio in conseguenza della decadenza dalla facoltà di pagare con il beneficio delle sanzioni ridotte e ratealmente quanto risultante dalla liquidazione ex art. 36 bis del DPR 600/73 della dichiarazione Mod. Irap/2010 per l’anno 2009.
In particolare risultava che L. H. srl, ora incorporata in L. spa, aveva presentato la dichiarazione in data 30/9/2010, esponendo un debito Iran pari a ? 146.082,00, senza versamento dell’imposta.
In sede di liquidazione automatizzata l’Amministrazione finanziaria non si limitava a rilevare l’omesso versamento d’imposta di cui sopra, ma rilevava altresì che l’imposta dovuta sulla base dei dati dichiarati avrebbe dovuto essere dichiarata e versata in misura pari a € 180.542,00, e ciò in conseguenza del fatto che nella dichiarazione era stato indicato il codice identificativo”7″, proprio dei soggetti operanti nel settore finanziario, per i quali l’aliquota era fissata non nella misura ordinaria del 3,9%, ma in quella del 4,82%.
La società decideva di accettare la liquidazione effettuata e chiedeva di pagare ratealmente la somma complessivamente richiesta, comprensiva di interessi e sanzioni nella misura ridotta del 10% anziché del 30%, per un importo totale di € 209.674,06.
Dopo aver pagato le prime due rate la società cessava di effettuare ulteriori versamenti, e in conseguenza di ciò l’ufficio provvedeva ad iscrivere a ruolo quanto dovuto dalla società, precisando che all’origine dell’iscrizione vi era decadenza dalla rateazione per mancato versamento nei termini della rata 3, con conseguente venir meno del beneficio di riduzione delle sanzioni, scomputando gli importi già versati con le prime due rate.
Ricorreva parte contribuente affermando in via preliminare che l’adesione alla comunicazione di irregolarità non poteva valere come acquiescenza a quanto in essa contenuto, riservandosi quindi di contestare la pretesa dell’ufficio.
Nel merito evidenziava che l’indicazione del codice “7” sarebbe stata conseguenza di un mero errore in sede di compilazione della dichiarazione, tanto che, in un momento successivo, veniva presentata una dichiarazione integrativa con la correzione del codice identificativo del soggetto, indicato con il n. “I”.
In definitiva controparte non contestava il recupero relativo all’omesso versamento IRAP di € 146.082,00, chiedendo l’annullamento della restante parte di ? 31.014,00, nonché quello ulteriore da rimborsare in € 3.446,00.
La CTP riconosceva la corretta impostazione della cartella per la parte non contestata, accogliendo la subordinata di annullamento parziale della cartella e del ruolo per € 31.014,00, derivante dall’imposta illegittimamente maggiorata. nulla riconoscendo a titolo di rimborso.
L’ufficio contesta quanto affermato dalla società circa il fatto che l’adesione al contenuto della comunicazione di irregolarità testimoniato dalla richiesta di rateazione degli importi richiesti dall’ufficio non costituirebbe una vera e propria acquiescenza da parte della società, che quindi si sarebbe riservata la possibilità di contestazione almeno parziale nei confronti della cartella.
L’ufficio afferma che non è dato comprendere a quale nota faccia riferimento la CTP, atteso che l’avversa difesa non cita e nemmeno allega la nota del 27/9/2012 con cui la L. avrebbe contestato, peraltro in modo informale, la riliquidazione operata dall’ufficio.
L’ufficio insiste nell’affermare che la comunicazione di irregolarità è uno strumento inteso specificamente ad attuare un confronto tra Amministrazione e contribuente; qualora il contribuente accetti i rilievi contenuti nella comunicazione di irregolarità e dichiari di essere disposto a pagare quanto richiesto dall’AF, ciò determina una definizione del contesto.
Secondo l’ufficio non assume portata dirimente il fatto che la comunicazione di irregolarità non costituisca un atto autonomamente impugnabile, anzi la non immediata impugnabilità della comunicazione ed il carattere non immediatamente impositivo della stessa costituiscono al contrario una conferma dell’inammissibilità di un ricorso proposto proprio per contestare i risultati di un’attività di liquidazione cui il contribuente ha prestato volontaria adesione con il pagamento integrale o rateale di quanto dovuto.
Sottolinea inoltre che l’imposta liquidata con la comunicazione di irregolarità per € 180.542,00 è conseguenza dell’applicazione alla base imponibile Irap del codice identificativo “7” proprio dei soggetti operanti nel settore finanziario, per i quali l’aliquota era del 4,82%.
Peraltro la dichiarazione correttiva presentata a gennaio 2013 risulta tardiva, e conseguentemente chiede che il ricorso introduttivo del giudizio venga dichiarato inammissibile.
In subordine e sul merito delle contestazioni, afferma che la società nel 2009 era iscritta nella sezione dell’elenco generale dei soggetti operanti nel settore finanziario, e comunque la società contribuente non ha sufficientemente dimostrato la sussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’aliquota ordinaria.
Alla luce di quanto sopra chiede in via principale la declaratoria di inammissibilità del ricorso introduttivo e in via subordinata la conferma totale dell’iscrizione a ruolo impugnata, con vittoria delle spese di giudizio.
Controdeduce parte contribuente affermando che probabilmente l’ufficio non ha esaminato le carte del fascicolo del contenzioso, poiché se lo avesse fatto avrebbe avuto contezza di una memoria in data 30/1/2015 che ripercorre tutta la vicenda.
L. afferma che in data 27/9/2012 comunicava all’ufficio i motivi del proprio dissenso relativamente all’aliquota IRAP ritenuta da esso applicabile.
Ricostruisce la tempistica ed evidenzia che la società, preso atto che la pronuncia sulla sua comunicazione di dissenso non sarebbe giunta in tempo utile rispetto alla scadenza dei termini di pagamento agevolato informava l’ufficio di aver optato per la rateazione della comunicazione, senza che ciò significasse adesione ed acquiescenza alla contestazione di irregolarità.
Ricostruito tutto l’iter che ha portato al contenzioso in oggetto, evidenzia che la doglianza dell’ufficio in tema di inammissibilità del ricorso è in palese contrasto con i principi di buon andamento e di imparzialità della Pubblica Amministrazione e con i principi di buona fede e affidamento in materia tributaria tutelati dallo statuto del contribuente.
Inoltre, il fatto che l’Amministrazione finanziaria, pur in contrasto con giurisprudenza della Corte di Cassazione, abbia sempre negato l’impugnabilità degli avvisi bonari, implica la necessità che il contribuente attenda l’iscrizione a ruolo e l’emissione della cartella per incardinare il ricorso.
Ribadisce che ha iniziato a pagare quanto richiesto a mezzo dell’avviso bonario al solo fine di non decadere dal beneficio dell’abbattimento sanzionatorio legato al pagamento di quanto preteso con l’avviso bonario.
In definitiva, se da una parte l’Amministrazione finanziaria ha sempre ritenuto l’avviso bonario quale atto non impugnabile, negare l’impugnabilità della cartella, anche se solo a seguito dell’interruzione del pagamento rateale, si tradurrebbe in una evidente compressione del diritto di difesa.
Nel merito afferma che l’attività della società si estrinsecava, dopo il 31/12/2006, data di stipula del contratto di servizi con la partecipata L. spa, in una prestazione di servizi; l’oggetto sociale di L. H. era sufficientemente ampio da ricomprendere anche lo svolgimento di attività diverse dalla mera detenzione di partecipazioni in altra società, cosicché non si può certo dire che si trattava di una holding pura e semplice, e richiama il contratto tra Holding e controllata, per effetto della quale la prima avrebbe svolto nei confronti della seconda, una serie di servizi di supporto gestionale e amministrativo.
Orbene, dallo svolgimento di tali servizi L. H., nel 2009, aveva tratto la totalità dei suoi ricavi, come risulta dal conto economico.
Alla luce di quanto sopra chiede la reiezione dell’appello e la conferma della sentenza di 1° grado, con vittoria delle spese.
DIRITTO
L’appello dell’ufficio non è meritevole di accoglimento e pertanto deve essere confermata la sentenza di 1° grado.
Al fine di esplicitare l'”iter” logico-giuridico che ha consentito di pervenire all’esito di cui sopra la Commissione rileva che, nella fattispecie, l’eccezione preliminare di inammissibilità del ricorso nella considerazione che l’adesione al contenuto della comunicazione di irregolarità testimoniato dalla richiesta di rateazione e dal pagamento delle prime due rate costituirebbe acquiescenza da parte della contribuente è priva di pregio.
Accade spesso nella prassi, che il ricorso avverso l’atto ritenuto illegittimo, anche se in parte, presentato in un momento successivo al pagamento ovvero alla richiesta di dilazione del debito venga eccepito come inammissibile, poiché si sarebbe verificata l’acquiescenza ossia il riconoscimento del debito di cui all’art. 2944 del CC.
In buona sostanza come si può rilevare anche dalla giurisprudenza di merito (Commissione Tributaria provinciale di Varese n.156/05/15) in nessun caso il pagamento integrale o rateizzato della cartella di pagamento può tradursi in un implicito riconoscimento del debito, non avendo lo stesso i requisiti essenziali affinché si possa configurare un’eventuale azione di ricognizione debitoria.
La Commissione richiama l’ordinanza della Cassazione n. 3315/2016, che ha confermato l’orientamento ormai univoco della giurisprudenza di legittimità secondo il quale risulta legittimo proporre opposizione avverso un avviso bonario emesso dall’Agenzia delle Entrate che chieda il pagamento di un tributo; la Corte ha anche precisato che il contribuente potrà proporre opposizione avverso l’eventuale successiva cartella esattoriale relativa alla medesima pretesa tributaria.
Aggiungasi, per il rafforzamento della non acquiescenza del contribuente alla pretesa erariale, che il medesimo aveva, con nota in data 21/9/2012, pervenuta in data 27/9/2012, manifestato il proprio dissenso relativamente all’aliquota Irap ritenuta applicabile Poiché l’ufficio non prendeva in considerazione le osservazioni della società la medesima, per evitare la decadenza della comunicazione di irregolarità e il conseguente aggravio di sanzioni, ha optato per la rateazione, ma ciò, come ampiamente argomentato sopra, non costituisce in alcun modo acquiescenza o riconoscimento di un debito nei confronti dell’Erario.
L’eccezione di inammissibilità del ricorso introduttivo è pertanto infondata.
Per quanto riguarda il merito della controversia, la questione riguarda il fatto che, nella dichiarazione dei redditi, era stato indicato il codice identificativo “7” tipico dei soggetti operanti nel settore finanziario, per i quali l’aliquota Irap risultava fissata non nella misura del 3,9%, ma in quella del 4,82%.
Al proposito l’art. 6 del DLGS 446/97 concernente l’Irap dispone, al comma 9, che per le società la cui attività consiste, in via esclusiva e permanente, nell’assunzione di partecipazioni in società esercenti attività diversa da quella creditizia o finanziaria, per le quali sussista l’obbligo dell’iscrizione nell’apposita sezione dell’elenco generale dei soggetti operanti nel settore finanziario, l’aliquota Irap era del 4,82 % e non del 3,90%.
Nella fattispecie tra L. H. e la partecipata L. esisteva un contratto di fornitura di servizi, e proprio dallo svolgimento di detti servizi emergevano ricavi esclusivamente da essi per un importo di ? 5.480.000,00, come risulta dal conto economico.
Pertanto la sua attività prevalente non è quella di partecipazione nella società controllata L., ma quella di erogazione di servizi alla stessa.
Si è quindi trattato, nella fattispecie di un errore formale, tanto è vero che in data 18/1/2013 veniva presentata una dichiarazione integrativa con la correzione del codice identificativo del soggetto.
L’affermazione dell’ufficio, secondo il quale l’errore formale poteva essere emendato entro i termini di cui all’art. 2 comma 8 bis del DLGS 322/98 è assolutamente infondata e in contrasto con la giurisprudenza della Corte di Cassazione n. 20415/14.
Tale sentenza afferma chiaramente che, la scadenza prevista dalla disposizione succitata opera, atteso il tenore letterale della disposizione, solo per il caso in cui si voglia mutare la base imponibile, ma non rileva per gli errori meramente formali nella compilazione della dichiarazione.
Alla luce di quanto sopra l’appello dell’ufficio deve essere rigettato, e per l’effetto, confermata la sentenza di 1° grado.
Per quanto riguarda le spese di giudizio, le medesime devono essere compensate, atteso l’errore, pur di carattere formale, che ha prodotto la controversia di merito; trattasi di una grave ragione prevista dalla legge legge attuale per la compensazione delle spese di giudizio
La Commissione rigetta l’appello dell’ufficio e conferma la sentenza di 1° grado. Spese compensate.
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