COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE per la Liguria sez. 6 sentenza n. 665 depositata il 2 maggio 2017
L’Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale di Genova, appella la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Genova, Sezione nr. 62/05/13, emessa in data 06.12.2012, depositata in data 04.03.2013, avverso avviso di accertamento nr. TL3030602830/2006, emesso dall’Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale di Genova, in materia di imposta di I.V.A., Irap, anno di imposta 2006, a carico di P. A. S. S.r.l. residente in Genova, ed ivi elettivamente domiciliata presso lo Studio dell’Avv. P. A., Via xxxxxxxx , con cui è stato accertato un maggior reddito di impresa pari ad euro 63.258,00.
La contribuente ha presentato istanza di accertamento con adesione che non ha avuto esito positivo. La società presentava ricorso sostenendo la violazione dell’art. 42 del D.P.R. 600/73, la violazione dell’art. 39, comma I del D.P.R. 600/73 e contestando la ricostruzione dei ricavi, in particolare la tariffa della manodopera applicata e l’abbattimento delle ore lavorate all’80%.
La Commissione Tributaria Provinciale di Genova con la sentenza nr. 62/05/13, emessa in data 06.12.2012, depositata in data 04.03.2013, ha accolto il ricorso annullando l’avviso di accertamento.
L’Ufficio ritiene che la decisione dei Primi Giudici non sia condivisibile in quanto basata esclusivamente sulle eccezioni di parte ricorrente senza considerare la motivazione dell’accertamento e le deduzioni dell’Ufficio, accogliendo integralmente il ricorso senza rideterminare la pretesa dell’Ufficio.
L’accertamento è stato eseguito ai sensi dell’art. 39, 1 comma, lettera d), del D.P.R. 600/73 (come indicato a pag. 3 dell’avviso di accertamento), che precisamente recita “se l’incompletezza, la falsità o l’inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati risulta dall’ispezione delle scritture contabili e dalle altre verifiche di cui all’art. 33, ovvero dal controllo della completezza, esattezza e veridicità delle registrazioni contabili sulla scorta delle fatture e degli altri atti e documenti relativi all’impresa, nonché dei dati e delle notizie raccolti dall’Ufficio nei modi previsti dall’art. 32. L’esistenza di attività non dichiarate o la inesistenza di passività dichiarate è desumibile anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti.”
Con memoria in data 28 febbraio 2017 (prot. n. 33371/17) l’Ufficio fa presente che nella fattispecie in esame avendo i soci della P.A.S. S.r.l., Sigg. B. M. e B. L. segnalato che la società ha optato per il regime di trasparenza fiscale, ai sensi dell’art. 116 DPR 917/86, si impone il litisconsorzio necessario di tutti i soci. Anche il Sig. B. M. in qualità di legale rappresentante e socio della P.A.S. S.r.l., con proprie memorie in data 13 ottobre 2015, rileva gli stessi rilievi dell’Ufficio e conclude richiedendo
1) in via pregiudiziale di sospendere il presente procedimento ed ordinare l’integrazione del contraddittorio nei confronti dei soci della P.A.S. S.r.l., ai sensi dell’art. 14 del D. Lgs. n. 546/92:
2) in via principale di rigettare l’appello dell’Ufficio e di confermare la sentenza di primo grado. All’odierna udienza sia il rappresentante dell’Ufficio, che il difensore di P.A.S. S.r.l. insistono per la rimessione degli atti alla Commissione Tributaria Provinciale di Genova.
Osserva la Commissione
Orbene quando ricorra un’ipotesi di litisconsorzio necessario originario, il giudice tributario deve attenersi alle seguenti regole:
a) se tutte le parti hanno proposto autonomamente ricorso, il giudice deve disporne la riunione ai sensi dell’art. 29 d.lgs. 546/92, se sono tutti pendenti dinanzi alla stessa commissione (la facoltà di disporre la riunione si trasforma in obbligo in considerazione del vincolo del litisconsorzio necessario). Altrimenti, la riunione va disposta dinanzi al giudice preventivamente adito, in forza del criterio stabilito dall’art. 39, c.p.c., anche perché con la proposizione del primo ricorso sorge la necessità di integrare il contraddittorio e quindi si radica la competenza territoriale, senza che possa opporsi la inderogabilità della stessa, sancita dall’art. 5, comma 1, d.lgs. 546/1992;
b) se invece, una o più parti non abbiano ricevuto la notifica dell’avviso di accertamento, o avendola ricevuta, non l’abbiano impugnato, il giudice adito per primo deve disporre l’integrazione del contraddittorio, mediante la loro chiamata in causa entro un termine stabilito a pena di decadenza (art. 14, comma 2, d.lgs. 546/1992).
Nel caso di specie, la società ha impugnato l’atto di accertamento per cui è causa. Entrambi i soci B. L. e B. M. non hanno presentato ricorso avverso l’avviso di accertamento ai fini Irpef, che si è definito per mancanza di impugnazione. Il socio O. P. ha prestato acquiescenza all’accertamento Irpef, versando il dovuto.
Per quanto sopra esposto la CTP di Genova avrebbe dovuto integrare il contraddittorio dei soci. I Primi Giudici, in violazione dell’art. 14 del D. Lgs. 546/92, non lo hanno fatto e la sentenza di primo grado, pertanto è da ritenersi nulla.
Sul punto già la Suprema Corte di Cassazione così si è espressa con propria Ordinanza in data 25
giugno 2014………………. ……….. bensì in materia di redditi di società di capitali, ma in riferimento a fattispecie nella quale i soci hanno optato per il regime di trasparenza fiscale ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 116. Occorre a tal proposito evidenziare preliminarmente che il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 115 prevede che: “1. Esercitando l’opzione di cui al comma 4, il reddito imponibile dei soggetti di cui all’art. 73, comma 1, lett. a), al cui capitale sociale partecipano esclusivamente soggetti di cui allo stesso art. 73, comma 1, lett. a), ciascuno con una percentuale del diritto di voto esercitabile nell’assemblea generale, richiamata dall’art. 2346 c.c., e di partecipazione agli utili non inferiore al 10 per cento e non superiore al 50 per cento, è imputato a ciascun socio, indipendentemente dall’effettiva percezione, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili”. Il successivo art. 116, a sua volta, prevede che: “L’opzione di cui all’art. 115 può essere esercitata con le stesse modalità ed alle stesse condizioni, ad esclusione di quelle indicate nel medesimo art. 115, comma 1 dalle società a responsabilità limitata il cui volume di ricavi non supera le soglie previste per l’applicazione degli studi di settore e con una compagine sociale composta esclusivamente da persone fisiche in numero non superiore a 10 o a 20 nel caso di società cooperativa”. Il combinato disposto delle norme dianzi trascritte genera, ad imitazione di ciò che si determina per effetto della disciplina prevista dall’art. 5 del medesimo DPR, l’imputazione diretta, a ciascun socio del reddito maturato in capo alla società partecipata, proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili, indipendentemente dall’effettiva percezione del reddito medesimo. Non vi è dubbio perciò che si riproponga, anche in relazione alla fattispecie qui in esame, il presupposto obiettivo che è a fondamento del principio di diritto fissato nella pronuncia di Cass. Sez. U, Sentenza n. 14815 del 04/06/2008, secondo il quale: “In materia tributaria, l’unitarietà dell’accertamento che è alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi delle società di persone e delle associazioni di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 5 e dei soci delle stesse e la conseguente automatica imputazione dei redditi a ciascun socio, proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili ed indipendentemente dalla percezione degli stessi, comporta che il ricorso tributario proposto, anche avverso un solo avviso di rettifica, da uno dei soci o dalla società riguarda inscindibilmente sia la società che tutti i soci – salvo il caso in cui questi prospettino questioni personali – sicché tutti questi soggetti devono essere parte dello stesso procedimento e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni soltanto di essi; siffatta controversia, infatti, non ha ad oggetto una singola posizione debitoria del o dei ricorrenti, bensì gli elementi comuni della fattispecie costitutiva dell’obbligazione dedotta nell’atto autoritativo impugnato, con conseguente configurabilità di un caso di litisconsorzio necessario originario. Conseguentemente, il ricorso proposto anche da uno soltanto dei soggetti interessati impone l’integrazione del contraddittorio ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14 (salva la possibilità di riunione ai sensi del successivo art. 29) ed il giudizio celebrato senza la partecipazione di tutti i litisconsorzi necessari è affetto da nullità assoluta, rilevabile in ogni stato e grado del procedimento, anche di ufficio”. Consegue da ciò che gli avvisi di accertamento rivolti nei riguardi della omissis e del omissis risultano essere “consequenziali” a quello emanato nei confronti della società “omissis” ai fini della tassazione (“per trasparenza’) dei maggiori redditi imputabili ai fini IRPEF ai soci, siccome effetto automatico dei maggiori ricavi accertati in capo alla menzionata società.
In siffatta circostanza processuale, il rilievo dell’esistenza di un litisconsorzio necessario tra i predetti soggetti, avrebbe imposto al giudicante di sollevare d’ufficio la questione, indipendentemente dal difetto di una espressa censura di parte. A ciò deve provvedere la Corte nella presente sede, sopperendo alle carenze dei gradi pregressi, atteso che si tratta di motivo di nullità rilevabile in ogni stato e grado del giudizio.
A tanto non avendo provveduto il giudice del merito (neppure in appello, sull’espressa eccezione di parte pubblica), non resterà alla Corte che annullare la pronuncia qui impugnata e rimettere la controversia al giudice di primo grado omissis, affinché provveda al rinnovo di tutta la procedura irritualmente esperita, previa l’integrazione del contraddittorio nei confronti delle altre parti necessarie.
Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per manifesta fondatezza.
Roma, 25 giugno 2014.
ritenuto inoltre: che la relazione è stata notificata agli avvocati delle parti; che non sono state depositate conclusioni scritte, ne’ memorie; che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va accolto; che le spese di lite possono essere regolate dal giudice del rinvio.
P.Q.M
La Corte, provvedendo sul ricorso, cassa la decisione impugnata e rinvia alla CTP omissis che, in diversa composizione e previa integrazione del contraddittorio tra le parti necessarie, provvederà sul ricorso introduttivo oltre che sulle spese di lite del presente .
Così deciso in Roma, il 5 febbraio 2015.
Tale principio è stato ribadito dalla Suprema Corte di Cassazione, sesta sezione civile, con Ordinanza nr. 9751 del 18 aprile 2017 (Presidente Cirillo, Relatore Manzon).
Questa Commissione Regionale provvede quindi a rimettere la causa ex art. 59 del D. Lgs. 546/92 alla Commissione Tributaria Provinciale di Genova per mancata integrazione del contraddittorio.
Pertanto,
La Commissione, provvedendo sul ricorso, cassa la decisione impugnata e rinvia alla CTP di Genova che, in diversa composizione e previa integrazione del contraddittorio tra le parti necessarie, provvederà sul ricorso introduttivo oltre che sulle spese di lite del presente giudizio.
Genova, 22 aprile 2017
Il Presidente estensore
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