COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE per la Lombardia sentenza n. 321 sez. 13 depositata il 2 febbraio 2017
Massima
La pubblicità svolta nei centri commerciali è da qualificare come effettuata in luogo aperto al pubblico e dunque soggetta al pagamento dell’imposta sulla pubblicità. Secondo la società appellante tale imposta non sarebbe applicabile all’installazione di impianti finalizzati a pubblicizzare una iniziativa commerciale ubicati all’interno del centro commerciale, poiché quest’ultimo non sarebbe un “luogo aperto al pubblico” e, dunque, non soddisferebbe i requisiti richiesti dalla legge per l’operatività del tributo (art. 5 D. Lgs. 15 novembre 1993, n. 507). I giudici milanesi ritengono invece che il centro commerciale sia un luogo aperto al pubblico poiché consente l’accesso indiscriminato a una generalità di soggetti, per cui il presupposto dell’imponibilità del tributo, descritto dalla giurisprudenza di legittimità come l’astratta possibilità che il messaggio pubblicitario abbia un numero indeterminato di destinatari, risulta pienamente realizzato.
Svolgimento del processo
Il Concessionario per la riscossione della imposta comunale sulla pubblicità, del Comune di Como, ha emesso avviso nei confronti della società B. s.p.a, relativamente all’anno 2014, per l’installazione di impianti ubicati all’interno del centro commerciale “L.C.”, con sede in Como alla via — n. –, ed aventi ad oggetto la pubblicità della iniziativa commerciale “—“. La contribuente ha impugnato l’avviso; ha resistito l’ICA. La Commissione Tributaria Provinciale di Como, con sentenza del 21 ottobre 2015 n. 391/04/15 ha respinto il ricorso condannato la ricorrente alle spese processuali, liquidate in complessivi euro 1.000. La B. s.p.a. reitera, con l’atto di appello, le censure non accolte dalla commissione tributaria e, in particolare, sostiene che l’imposta sulla pubblicità non potrebbe essere applicata se la pubblicità stessa è realizzata in un centro commerciale, non trattandosi di “luogo aperto al pubblico”.
Diritto
Giova ricordare che, ai fini dell’imposizione oggetto di lite, si considerano rilevanti i messaggi diffusi nell’esercizio di una attività economica allo scopo di promuovere la domanda di beni o servizi, ovvero finalizzati a migliorare l’immagine del soggetto pubblicizzato. Nell’ipotesi di specie, la pubblicizzazione di un concorso a premi, riservato all’utenza che acquisti prodotti del marchio, veicola senz’altro un messaggio di propaganda che ricade sotto il fascio di applicazione del tributo di cui si discute. Pare opportuno evidenziare, al riguardo, che la pubblicità ricorre allorché il segno distintivo dell’impresa risulti obiettivamente idoneo a far conoscere ad un numero indeterminato di possibili acquirenti o utenti il nome, l’attività o il prodotto dell’impresa, e non abbia soltanto una mera finalità distintiva (Cass. Civ. n. 8658/2015). Per tali ragioni è evidentemente infondato il motivo di gravame n. 2.
L’ulteriore presupposto per l’operatività del tributo stesso è contenuto nell’art. 5 dlgs. 15 novembre 1993 n. 507: «la diffusione di messaggi pubblicitari effettuata attraverso forme di comunicazione visive o acustiche, diverse da quelle assoggettate al diritto sulle pubbliche affissioni, in luoghi pubblici o aperti al pubblico o che sia da tali luoghi percepibile è soggetta all’imposta sulla pubblicità». La questione giuridica da affrontare – che consta di precedenti giurisprudenziali contrastanti – è se il “centro commerciale” possa essere inteso come luogo aperto al pubblico, ai fini dell’art. 5 citato. Nel caso di specie, è certo che la pubblicità è stata realizzata all’interno di un centro commerciale, il “L.C.”. Come noto, per «centro commerciale» si intende, in linea di principio, un complesso edilizio costruito per ospitare attività commerciali, attraverso la previsione di distinte unità immobiliari destinate a singoli negozi o ad altre attività di commercio (come cinema, ristoranti, banche e altri servizi alla persona come parrucchieri, palestre etc.). Ai fini della normativa civilistica e penalistica, certamente il centro commerciale è luogo aperto al pubblico, poiché vi è consentito l’accesso indiscriminato a una generalità di soggetti. Si ritiene che la pubblicità svolta in detto complesso edilizio sia da qualificare come effettuata in luogo aperto al pubblico: secondo la giurisprudenza di legittimità, presupposto dell’imponibilità va ricercato nell’astratta possibilità del messaggio pubblicitario, in rapporto all’ubicazione del mezzo, di avere un numero indeterminato di destinatari, divenuti tali per il solo fatto di trovarsi in quel luogo determinato. Si è così ritenuto, ad esempio, che, ai fini dell’applicazione dell’imposta, costituisse luogo aperto al pubblico lo spazio interno delle stazioni ferroviarie, a cui è consentito l’accesso a tutti i soggetti muniti di biglietto di viaggio (Cass. Civ. n. 27497 del 2014); ciò in quanto, dalla disposizione normativa di cui all’art. 5 cit., si evince che il presupposto impositivo debba essere individuato nell’astratta possibilità del messaggio, in rapporto all’ubicazione del mezzo, di avere un numero indeterminato di destinatari, che diventano tali solo perché vengono a trovarsi in quel luogo determinato (cfr. anche Cass. civ. sez. 5 2 ottobre 2009, n. 21161 e Cass. civ. sez. 5 8 settembre 2008, n. 22572 e la più risalente Cass. n. 1930/1990). Ne consegue che i centri commerciali liberamente accessibili a una indiscriminata mole di utenza siano da qualificare come luoghi aperti al pubblico, eccezion fatta per il caso – qui non ricorrente – di aree private, in forme di aree commerciali, riservate a una specifica utenza titolata all’accesso (v. CTP Bari, sentenza n. 185/10/11). Ne consegue il rigetto del primo motivo di appello e del terzo connesso.
I motivi di appello numeri 4 e 5, poiché connessi, possono essere esaminati insieme. Essi sono infondati poiché, come ha ritenuto il giudice di prime cure, la tassazione si applica con riferimento alle dimensioni della cartellonistica indipendentemente dai messaggi nello stesso contenuti.
Il motivo di appello n. 6 è fondato.
Ai sensi dell’art. 8 comma 4 del dlgs 507 del 1993, applicabile in base alla data dell’avviso, qualora venga omessa la presentazione della dichiarazione, la pubblicità di presume effettuata in ogni caso con decorrenza dall’1 gennaio dell’anno in cui è stata accertata. Trattandosi di presunzione, essa deve ritenersi vincibile, come pure altri uffici hanno già ritenuto (CTP Milano, 18 aprile 2015 n. 118). Nell’ipotesi di specie, la ricorrente non ha offerto alcuna prova per potere quantificare, in misura certa, il periodo di esposizione.
L’appello sulle spese è fondato.
Sulla specifica questione dei centri commerciali non si registrano specifici precedenti di legittimità e, al contrario, la questione consta di precedenti non conformi, finanche nello stesso ufficio da cui è originato l’odierno contenzioso. La presenza di oscillazioni di giurisprudenza, idonee a confondere l’interprete, giustificano come noto la compensazione delle spese di lite (Cass. Civ. SSUU n. 20598 del 2008).
P.Q.M.
In parziale riforma della sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Como, con sentenza del 21 ottobre 2015 n. 391/04/15
1 RIGETTA l’appello ad eccezione del capo sulle spese
2 COMPENSA interamente le spese di lite del primo grado di giudizio tra le parti;
3 CONFERMA nel resto, la sentenza impugnata,
4 COMPENSA le spese del doppio grado di giudizio
MANDA alla Segreteria per quanto di competenza
Così deciso in Milano, in data 25 gennaio 2017
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