COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE per la Puglia sez. 5 sentenza n. 2055 depositata il 9 giugno 2017
Processo- Prove-Rilevanza di indizi univoci a fronte di semplice dichiarazione scritta.
Massima:
In tema di prova, una semplice dichiarazione scritta, peraltro neppure rilasciata sotto forma sostitutiva di atto notorio, ha meno rilevanza di una serie di indizi che convergono tutti univocamente nella conferma della legittimità dell’accertamento.
Testo:
Il Sig. C.V. impugnava un avviso di accertamento lrpef/addizionali regionale e comunale, relativo all’anno d’imposta 2007, chiedendone l’annullamento, con vittoria di spese, con il quale l’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di Bari – aveva recuperato a tassazione dei redditi da questi percepiti per l’attività di consigliere di amministrazione della XXX Spa, non dichiarati.
Il contribuente eccepiva l’illegittimità della pretesa tributaria asserendo che quanto non dichiarato fosse riferibile unicamente a somme liquidate ma mai erogate dalla società, benché quest’ultima, in qualità di sostituto d’imposta, avesse versato le relative ritenute, indicandole nel modello 770 presentato. A comprova di tanto produceva una dichiarazione rilasciata dal legale rappresentante della società medesima ove non solo si confermava tale errore ma, in più, veniva precisato che le somme recuperate a tassazione, ancora alla data dell’8 ottobre 2012, non erano state corrisposte.
Si costituiva l’Agenzia delle Entrate con controdeduzioni con le quali, a conferma del proprio operato, faceva presente che l’accertamento impugnato traeva origine da una segnalazione della Direzione Centrale Accertamento dalla quale, sulla base dei dati in possesso dell’Anagrafe Tributaria, risultava che il sostituto d’imposta XXX Spa aveva corrisposto al contribuente, nel 2007, emolumenti da lavoro dipendente ed assimilati per l’importo di ? 8.508,00, operando e versando le relative ritenute per la
somma di ? 755,00. Per tali motivi chiedeva il rigetto dell’appello di controparte e la condanna di quest’ultimo alla rifusione delle spese di giudizio.
La Commissione Tributaria Provinciale di Bari, con la sentenza n. 549/20/15 del 12-26 febbraio 2015, accoglieva il ricorso, compensando le spese. Ritenevano i primi Giudici che, dovendo i compensi degli amministratori essere tassati per cassa ed avendo il contribuente prodotto documentazione considerata sufficiente a provare la mancata percezione degli emolumenti di che trattasi, mancava il presupposto di legge per il recupero operato.
La sentenza è ora appellata dall’Agenzia delle Entrate che ne lamenta l’erroneità per essersi fondata unicamente su una dichiarazione rilasciata da un terzo che può costituire, per il giudice tributario, solo un mero indizio. Al contrario, nel corso del procedimento di primo grado, essa Agenzia ha fornito una serie di elementi che giustificano pienamente la legittimità dell’avviso e che non sono stati minimamente presi in considerazione dai Giudici di prime cure. Per tali motivi, chiede la riforma della sentenza impugnata e la condanna di controparte al pagamento delle spese di lite.
Resiste il contribuente con controdeduzioni con le quali ribadisce quanto già eccepito dinanzi alla CTP chiedendo il rigetto del gravame, la conferma dell’impugnata sentenza e la condanna dell’Ufficio alla rifusione del spese di giudizio.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La soluzione della controversia dev’essere raggiunta esaminando gli indizi forniti dalle parti nel corso del processo. Si deve rilevare, allora, che l’Agenzia ha fornito una serie di elementi che consentono a questa Commissione di ritenere che l’accertamento operato sia da considerare legittimo.
Una prima considerazione da svolgere è quella per la quale il mandato di amministratore di società si deve presumere oneroso a meno che non vi sia un vincolo di parentela tra l’amministratore stesso e la proprietà della società. Se, infatti, vi fosse coincidenza tra i soci dell’ente e gli amministratori sarebbe logico presupporre e presumere che gli amministratori-soci siano disposti a rinunziare ad un proprio emolumento per il miglioramento della produttività aziendale. Al contrario, invece, allorquando non vi sia alcun collegamento tra il corpo sociale e gli amministratori si deve logicamente presumere che l’attività del terzo estraneo alla società debba essere (e sia) regolarmente retribuita.
Potrebbe, nel caso di specie, anche essersi verificato quanto lamentato dal contribuente e cioè che nell’anno d’imposta 2007 egli non abbia percepito alcuna somma; ma non appare credibile, né plausibile, che a fronte dell’annotazione, in contabilità, del debito verso l’amministratore, questi, a distanza di cinque anni dalla maturazione del emolumento, non abbia esperito alcuna azione, né richiesto il pagamento, anche con una semplice lettera, alla debitrice. Ciò, a maggior ragione, se si riferisce il tutto ad oggi, allorquando sono passati circa 10 anni dalla nascita del diritto del contribuente alla percezione del emolumento e questi non abbia prodotto alcuna documentazione che attesti, quantomeno, la messa in mora della società, anche ai fini interruttivi della prescrizione.
Ulteriori elementi a conforto della bontà della tesi sostenuta dall’Ufficio sono sia la circostanza che la società non abbia rettificato la dichiarazione dei sostituti d’imposta (modello 770), sia il fatto che il contribuente non abbia dichiarato, nei successivi anni di imposta e, quantomeno sino al 2016, il compenso di cui si tratta. In più, dalla documentazione in atti non risulta che la società abbia mai chiesto il rimborso delle ritenute asseritamente versate per errore e ciò appare inverosimile in ragione della specifica attività svolta dalla società stessa che consiste nell’assunzione di incarichi per la gestione delle attività di liquidazione, di accertamento e di riscossione dei tributi.
Ulteriore elemento da prendere in considerazione è che nella nota integrativa al bilancio della XXX Spa chiuso al 31 dicembre 2007, nella parte riservata alla “Riconciliazione tra onere fiscale da bilancio e oneri fiscali teorico (IRES)”, nel mentre vengono evidenziate delle differenze temporanee tassabili in esercizi successivi (fiscalità differita), nulla viene detto in merito alla eventuale fiscalità anticipata, qual è proprio quella generata dal mancato pagamento di un emolumento agli amministratori il quale, ricompreso nel conto economico civilistico e ripreso a tassazione ai fini fiscali, genera un credito per imposte anticipate che, al contrario, non si ritrova iscritto nel bilancio della società (ed infatti, i crediti per imposte anticipate esistenti nel bilancio chiuso al 31 dicembre 2007- ? 255 entro 12 mesi e ? 114.514 oltre 12 mesi – sono gli stessi di quelli annotati nel bilancio chiuso al 31 dicembre 2006, con ciò confermandosi che nessun credito per imposte anticipate è venuto ad esistenza nel corso del 2007).
A fronte di una serie di indizi che convergono tutti univocamente nella conferma della legittimità dell’avviso di accertamento oggetto della presente controversia, il contribuente ha unicamente prodotto una dichiarazione sottoscritta dal legale rappresentante della società – risultata decisiva per i primi Giudici – con la quale si è attestato di aver proceduto al versamento delle ritenute secondo i criteri di competenza, anziché di cassa, e di non aver mai proceduto alla liquidazione di alcun emolumento fino alla data dell’8 ottobre 2012 (data della sottoscrizione della suddetta).
A parte il fatto che tale documento non è stato rilasciato neppure sotto forma di dichiarazione sostitutiva di atto notorio – e ciò riduce notevolmente la sua valenza probatoria – si deve rilevare che sarebbe stato sufficiente per il legale rappresentante della XXX Spa produrre un estratto del libro degli inventari, ovvero della chiusura/riapertura del libro giornale di ogni annualità (o, quantomeno, per l’annualità relativa all’esercizio 2007) per la dimostrazione dell’esistenza del debito nei confronti dell’appellato.
Vero é che nella documentazione fascicolo esiste una lettera raccomandata, datata 8 agosto 2013, con la quale il Sig. C.V. ha chiesto alla XXX Spa la suddetta documentazione, ma è anche vero che in assenza di risposta da parte della società stessa, le eventuali conseguenze non potranno che riversarsi unicamente nei rapporti tra l’appellato e la XXX Spa.
Considerato, quindi, che la portata probatoria della documentazione prodotta dal contribuente è pressoché nulla e che, al contrario, esistono una molteplicità di indizi che fanno ritenere legittimo il comportamento dell’Ufficio, si deve concludere per l’accoglimento dell’appello con la conseguente riforma la sentenza impugnata.
Le spese del presente grado di giudizio devono essere poste a carico della parte soccombente e vengono liquidate come da dispositivo, tenuta in considerazione la nota spese prodotta dall’Agenzia.
P.Q.M.
La Commissione, in riforma dell’impugnata sentenza, accoglie l’appello dell’Ufficio. Condanna il contribuente al pagamento delle spese processuali del doppio grado di giudizio che liquida in ? 800,00, oltre accessori di legge, se dovuti.
Bari, 15 maggio 2017,
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