COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE per La Puglia sez. 7 sentenza n. 1710 depositata il 15 maggio 2017
Imposte dirette – Irpef – Reddito di lavoro dipendente – Indennità percepite in virtù della disciplina dell’assicurazione contro le malattie della gente di mare – Imponibilità.
Processo – Parti – Agenzia delle Entrate – Legittimazione processuale – Direttore o altra persona del reparto competente – Sottoscrizione dell’atto giudiziario – Validità
Massima:
L’indennità percepita dal lavoratore marittimo in virtù della disciplina dell’assicurazione contro le malattie per la gente di mare, prevista dall’art. 6 R.D.L. n. 1918/37, conv. in l. 831/38, nella misura del 75% del salario effettivamente goduto, deve essere assoggettata ad Irpef, perché non ha trovato riviviscenza, ai sensi della legge delega n. 246/05 e del D.lgs. 179/09, l’esenzione prevista per l’abrogata imposta di ricchezza mobile e perché le norme che riconoscono benefici ed agevolazioni sono per loro natura di stretta interpretazione e non possono transitare da un’imposta all’altra, a maggior ragione nel caso in cui viene in rilievo un tributo a carattere reale, sostituito da un impianto impositivo a carattere reddituale; né comporta la reintroduzione della predetta agevolazione la circostanza che la disciplina della predetta assicurazione contro le malattie della gente di mare sia stata espunta dall’elenco di norme oggetto di abrogazione espressa. Ne deriva che detta indennità deve essere considerata quale reddito di lavoro dipendente, assoggettato ad Irpef, in quanto derivante da un rapporto di lavoro ed avente natura di reddito sostitutivo della retribuzione non percepita.
La legittimazione processuale è conferita impersonalmente all’Agenzia delle Entrate, organicamente rappresentata dal Direttore o da altra persona preposta al reparto competente da intendersi, con ciò stesso, delegata in via generale a sostituire il Direttore nelle specifiche competenze. Ne deriva che deve ritenersi ammissibile la sottoscrizione, benché illeggibile, dell’atto processuale da una delle predette figure, salvo che non ne sia stata contestata la provenienza e non sia eccepita e provata la non appartenenza del sottoscrittore all’ufficio o l’usurpazione del potere, dovendosi in caso contrario presumere che l’atto provenga dall’Ufficio.
Testo:
FATTO
L’Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale di Bari – Ufficio legale, ha proposto appello, depositato il 15 gennaio 2016, avverso la sentenza n. 2110/06/2015 pronunciata il 14 maggio 2015 e depositata in data 11 giugno 2015, dalla Commissione Tributaria Provinciale – Sez. 6 – di Bari.
L’adita Commissione, con l’impugnata sentenza, ha accolto, con compensazione delle spese di giudizio, il ricorso proposto dal contribuente G.G. avverso il silenzio-rifiuto formatosi sull’istanza di rimborso delle ritenute IRPEF, add. Regionale e comunale, operate dall’INAIL negli anni d’imposta 2010, 2011 e 2012 a titolo di ritenute alla fonte, ex articolo 23 del D.P.R. n. 600 del 1973, in relazione alle corrisposte indennità per inabilità temporanea al lavoro.
Il Giudice di prime cure, in accoglimento delle eccezioni ed argomentazioni dedotte dal ricorrente, affermava, contrariamente a quanto sostenuto dall’Ufficio, la vigenza dell’articolo 24 del Regio Decreto legge 23 settembre 1937, n. 1918, convertito con modificazioni dalla legge 24 aprile 1938, n. 831, in virtù del quale le predette indennità “sono esenti dall’imposta di ricchezza mobile” e, per la ritenuta equiparazione di questa con l’attuale Irpef, riconosceva il diritto del contribuente ad ottenere il rimborso di quanto trattenuto.
L’Agenzia delle entrate, con l’appello all’odierno esame, eccepisce violazione e falsa applicazione del decreto legislativo n. 179 del 2009 concernente l’individuazione delle disposizioni legislative statali, pubblicate anteriormente al i gennaio 1970, ritenute ancora in vigore.
L’Ufficio in proposito sostiene che il predetto Decreto Legislativo, in conformità alla legge delega, non abbia inteso confermare la permanenza in vigore della norma in questione in quanto già implicitamente abrogata, oltre a rilevare che l’imposta di ricchezza mobile deve ritenersi soppressa poiché il Decreto del Presidente della Repubblica n. 597 del 1973 ha istituito, con decorrenza i gennaio 1974, l’imposta sul reddito delle persone fisiche abolendo, con la medesima decorrenza, tra le altre anche l’imposta sui redditi di ricchezza mobile, così come il D.P.R. n. 601 del 1973 recante “Disciplina delle agevolazioni tributarie” ha abrogato tutte le disposizioni concernenti le esenzioni e le agevolazioni tributarie diverse da quelle contemplate nel medesimo decreto.
L’Agenzia, pertanto, conclude per la riforma dell’impugnata sentenza, la conferma della legittimità dell’opposto diniego e vittoria di spese del doppio grado di giudizio.
Il contribuente, rappresentato e difeso come da mandato in atti dal Dott. M.F. P., con atto depositato il 13 marzo 2017 si è costituito nel presente grado per eccepire, in via preliminare, l’inammissibilità dell’appello per violazione dell’articolo 53 -comma 1- del Decreto Legislativo n. 546 del 1992 e il difetto di legittimazione attiva dell’Agenzia incombendo sulla stessa, pur in presenza di generica contestazione, l’onere di dimostrare il possesso dei requisiti soggettivi e l’esistenza della delega a favore di chi ha sottoscritto l’atto di appello.
Nel merito contrasta ogni ex adverso dedotto, insiste sulla vigenza dell’invocata norma e conclude per l’inammissibilità ovvero per l’integrale rigetto dell’atto di appello e conferma dell’impugnata sentenza, con riconoscimento al rimborso dell’importo di € 8.041,00, oltre interessi di legge, e condanna dell’Ufficio al pagamento degli onorari e delle spese di giudizio.
All’odierna udienza pubblica, ritualmente chiesta, previamente sentito il relatore sui fatti di causa e di diritto, il rappresentante dell’Agenzia si oppone alle eccezioni di inammissibilità dell’appello avanzate dal contribuente e, nel merito, si riporta ai motivi di gravame e conclude per la riforma dell’impugnata sentenza. Il difensore dell’appellato contribuente insiste sui sollevati motivi di
inammissibilità dell’appello, nel merito si riporta alle argomentazioni di cui all’atto di controdeduzioni, deposita giurisprudenza e conclude per la conferma dell’impugnata sentenza con condanna dell’Ufficio al pagamento delle spese di lite di entrambi i gradi di giudizio.
DIRITTO
Innanzitutto va affermata la legittimità dell’atto di appello sotto il duplice profilo della conformità al disposto di cui all’art. 53 -comma 1- del D. Lgs. n. 546/92 e della legittimazione processuale del soggetto che ha sottoscritto l’atto di appello in nome dell’Agenzia delle Entrate.
Quanto al primo profilo, l’atto di appello è conforme al dettato normativo atteso che esso contiene gli elementi prescritti dall’art. 53 -comma 1- del D. Lgs. n. 546/92, ed in particolare, per quanto rileva nel caso in esame, indica il motivo specifico d’impugnazione consistente nella ritenuta “violazione e falsa applicazione del D. Lgs. n. 179/2009” come esplicitato con articolate argomentazioni.
Riguardo al secondo profilo va rilevato che la legittimazione processuale trova riferimento nel disposto di cui al comma 2 dell’art. 11 del D. Lgs. n. 546/92 che la conferisce impersonalmente all’articolazione ministeriale, oggi, all’Agenzia delle Entrate.
In tal senso la giurisprudenza della Corte Suprema di Cassazione secondo la quale, nel contenzioso tributario, in virtù del combinato disposto degli artt. 10 e 11 -comma 2- del Decreto Legislativo n. 546 del 1992, è riconosciuta la qualità di parte processuale e conferita la capacità di stare in giudizio all’Ufficio del Ministero delle Finanze (oggi Ufficio Locale dell’Agenzia delle Entrate) nei cui confronti è proposto il ricorso, organicamente rappresentato dal Direttore od altra persona preposta al reparto competente da intendersi, con ciò stesso, delegata in via generale a sostituire il direttore nelle specifiche competenze.
Ne discende che, nel caso in cui non sia contestata la provenienza dell’atto d’appello dall’ufficio competente lo stesso deve ritenersi ammissibile, ancorché recante in calce la firma illeggibile di un funzionario che sottoscrive in luogo del direttore titolare, finché non sia eccepita e provata la non appartenenza del sottoscrittore all’Ufficio appellante o, comunque, l’usurpazione del potere di impugnare la sentenza di primo grado, dovendosi altrimenti presumere che l’atto provenga dall’Ufficio che ne esprima la volontà.
In tal senso il principio di diritto, affermato dalla Corte Suprema di Cassazione con sentenza n. 20628/2015, in virtù del quale “la legittimazione processuale ad agire e resistere in giudizio avanti le Commissioni tributarie in primo e secondo grado, spetta anche agli uffici periferici, individuati dall’art. 5 co i dei regolamento di amministrazione della Agenzia delle Entrate, approvato con delibera 30.11.2000 n. 4, che hanno emesso l’atto impositivo opposto dal contribuente, come previsto dall’art. 11, comma 2, del Dlgs n. 546/1992. L’ufficio periferico è rappresentato in giudizio dai titolare dell’organo (funzionario di livello dirigenziale) che, qualora non intenda trasferire il potere dirappresentanza processuale (in via generale o per determinati affari) ad altro funzionario dell’ufficio periferico, bene può agire in rappresentanza dell’ufficio demandando, nell’esercizio dei poteri di organizzazione e gestione delle risorse umane, la sola materiale sottoscrizione dell’atto difensivo ad un “delegato alla firma”: in tal caso il “delegato” non esercita alcun potere o competenza riservata ai delegante -che pertanto rimane l’unico soggetto al quale è riferibile l’atto e del quale si assume in via esclusiva la responsabilità-, venendo ad operare quale “longa manus” del delegante e cioè come mero sostituto nella esecuzione della operazione materiale della sottoscrizione, dovendo presumersi ritualmente costituito in giudizio l’ufficio periferico, a mezzo del dirigente legittimato processualmente, laddove l’atto difensivo sia stato sottoscritto dal delegato alla firma recando chiara indicazione ditale qualità, anche espressa con la formula “per il dirigente… “, non essendo sufficiente la mera contestazione della legittimazione processuale a fare insorgere l’onere per l’Amministrazione finanziaria di fornire la prova dell’atto interno di organizzazione adottato dal dirigente.”
Nel caso che ci occupa l’appellante non contesta che l’atto di appello sia stato sottoscritto da soggetto non incardinato nell’ambito del competente ufficio dell’Agenzia delle Entrate, ma si duole che, in assenza di prova, non si avrebbe certezza che la delega di firma sia stato conferita nel rispetto dei prescritti requisiti, con ciò ponendo genericamente in dubbio unicamente che il sottoscrittore possa non essere stato legittimamente munito del potere di firma.
Invero, l’atto di appello risulta sottoscritto da ” Il Capo Team Legale A.B. – Firma su delega del Direttore Provinciale A. M. I.” e, indubbia, in quanto non contestata, l’appartenenza dello stesso al competente ufficio dell’Agenzia delle Entrate non è dato dubitare che l’atto promani, in assenza di concreti elementi contrari, da struttura legittimata all’azione processuale, atteso che esso reca la firma del soggetto legittimato, in base all’organizzazione interna, il quale non risulta aver usurpato poteri per non essere stati al medesimo conferiti.
Tanto perché, in coerenza con il richiamato principio di diritto, il delegato, attesa la chiara indicazione ditale qualità espressa con la formula “per il dirigente… ” ha agito come mero sostituto nella esecuzione della operazione materiale della sottoscrizione, per cui deve presumersi ritualmente costituito in giudizio l’ufficio periferico a mezzo del dirigente (A. M. I.) in quanto legittimato processualmente.
Nel merito l’appello è fondato.
La questione controversa ha ad oggetto l’assoggettamento o meno all’IRPEF delle indennità percepite dal contribuente in virtù della disciplina dell’assicurazione contro le malattie per la gente di mare. Tale disciplina, ex art. 6 del R.D.L. n. 1918/1937, convertito in legge n. 831/1938,
riconosce (lett. b), comma 1) ai lavoratori marittimi, in caso di malattia, oltre alle prestazioni prettamente di carattere sanitario, anche una indennità giornaliera nella misura del 75% del salario “effettivamente goduto dall’assicurato alla data dell’annotazione di sbarco sul ruolo” (art. 10, comma 1) sino alla guarigione clinica e per la durata massima di un anno e, punto su cui verte la controversia, ex comma 2 dell’art. 24 che tale indennità è esente dall’imposta di ricchezza mobile.
Orbene, il D. Lgs. 29 settembre 1973, n. 597 ha abrogato, con decorrenza 01 gennaio 1974 (art. 82), l’imposta di ricchezza mobile e ciò in attuazione della legge delega n. 825 del 1971 che, nel prevedere l’istituzione dell’irpef, ha espressamente disposto l’abolizione, tra le altre, dell’ imposta in questione (lett. a) art. 1, I.).
Il contribuente sostiene che la previsione agevolativa avrebbe trovato reviviscenza in virtù di successive disposizione, ovvero della legge delega n. 246/2005 e del D. Lgs. n. 179/2009.
Tale assunto non è condivisibile perché, come confermato con recente sentenza n. 18022 del 14 settembre 2016 della Corte Suprema di Cassazione, i principi cui attenersi nella fattispecie, dai quali il Collegio non ritiene sussistano motivi per discostarsi, sono stati enunciati nelle precedenti pronunce, nn. 11955 e 8121 del 2012, della medesima Corte.
Sulla base di tali principi deve ritenersi che, diversamente da quanto ritenuto dal giudice di prime cure con l’impugnata sentenza, “le norme che riconoscono benefici ed agevolazioni sono per loro natura di stretta interpretazione ed, essendo connesse agli specifici presupposti e scopi di ciascun sistema impositivo, non possono transitare da un’imposta all’altra” e tanto vale soprattutto “nel caso di specie, in cui viene in rilievo un tributo, a carattere reale, che è stato abrogato per essere sostituito da un impianto impositivo a carattere reddituale.” Inoltre, la stessa Corte ha osservato che la disposizione dell’articolo 191 del T.U.I.R., “secondo cui restano salve le agevolazioni stabilite dalle leggi speciali, si riferisce, ovviamente, all’assetto fiscale dell’Irpef (e dell ‘Irpeg), e non vale a mantenere ferme, “sine die”, esenzioni ed agevolazioni concepite in funzione di sistemi cessati“; esenzioni ed agevolazioni di cui, peraltro, ne è stata prevista espressa abrogazione o cessazione di efficacia con l’articolo 42 del D.P.R. n. 601 del 1973 (riordino della disciplina delle agevolazioni) in quanto diverse da quelle considerate nel medesimo.
Sempre secondo i principi definiti dal giudice di legittimità, “la circostanza che la disciplina dell’assicurazione contro le malattie della gente di mare, di cui alla legge n. 831 del 1938, già inclusa dal decreto legge n. 200 del 2008, art. 2 (all.], voce 21976) nell’elenco di quelle oggetto di abrogazione espressa, sia stata espunta dal detto elenco con la legge di conversione n. 9 del 2009 (art. 2, comma 1), non vale” diversamente da quanto sostenuto dal contribuente, “di certo a reintrodurre l’invocata disposizione agevolativa, ma solo a far salve quelle disposizioni dello stesso regio decreto legge, che, a differenza di quellacontemplata dall’articolo 24, erano ancora vigenti nel 2008.”
Ed in tal senso va ritenuto coerente l’inserimento del R.D.L. n. 1918 del 1937 negli allegati del successivo D.Lgs. n. 179/2009, sempre emanato in attuazione della richiamata legge delega 28 novembre 2005, n. 246, in quanto individuante le vigenti e non abrogate disposizioni legislative statali, emanate anteriormente al 1° gennaio 1970, delle quali il legislatore ha ritenuto indispensabile la loro permanenza in vigore.
E ciò anche perché, diversamente da quanto sostenuto dall’appellato contribuente, le disposizioni di cui al D.Lgs. n. 179/2009, proprio perché concernenti la permanenza in vigore, cioè vigenti alla data di emanazione, delle disposizioni legislative statali, avrebbero dovuto richiamare espressamente la riviviscenza di una norma abrogata da oltre trent’anni, fra l’altro, adeguandola al nuovo impianto impositivo.
Ne consegue che, in assenza di specifiche vigenti disposizioni agevolative, le indennità in questione, ex articolo 48 -comma 1- del D.P.R. n. 917 del 1986, vanno considerati quali redditi da lavoro dipendente, assoggettate ad IRPEF, in quanto derivanti da un rapporto di lavoro, pur se conseguiti in sostituzione di redditi o a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi, quale è l’indennità giornaliera in questione in quanto erogata, in virtù e secondo le modalità di cui alle richiamate disposizioni legislative, a seguito di inabilità temporanea al lavoro e, pertanto, avente natura di reddito sostitutivo della retribuzione non percepita.
Pertanto, assorbito ogni altro motivo ed inammissibili le questioni nuove, ex art. 57, o non proposte ai sensi dell’art. 54, del decreto legislativo n. 546 del 1992, quale l’eventuale estensione del giudicato esterno, l’appello va accolto e le spese del presente grado di giudizio, ex art. 15 del predetto decreto come novellato dall’art. 9 – comma 1, lett. f) – del D. Lgs. n. 156/2015, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
la Commissione Tributaria Regionale della Puglia – Sezione 7″ – di Bari, definitivamente pronunciando, accoglie l’appello proposto dall’Agenzia e, per l’effetto, riforma l’impugnata sentenza. Spese del presente grado secondo soccombenza liquidate in complessive € 500,00 (cinquecento/00) in favore dell’appellante Agenzia delle Entrate.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 21 aprile 2017.