COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE per la Toscana sentenza n. 1386 sez. 5 depositata il 31 maggio 2017
Massima
L’impugnazione di atti diversi da quelli specificatamente indicati nell’art. 19 D.lgs. 546/92 non comporta in ogni caso inammissibilità. La CTR toscana, pur ricordando che sul punto si sono susseguiti orientamenti oscillanti da parte dei giudici di merito e di legittimità, sottolinea come oggi sia pacificamente accettato il principio secondo il quale gli atti impugnabili elencati nel succitato articolo siano suscettibili di interpretazione estensiva, anche in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente e di buon andamento della P.A. (Cass. SS.UU. 8587/16). Nel caso di specie, contrariamente ha quanto asserito dalla CTP, i giudici di appello affermano che anche il diniego di disapplicazione di norme antielusive, ex art. 37 bis c. VIII DPR 600/73, rientra nel novero degli atti facoltativamente impugnabili da parte del contribuente.
Testo:
Il ………….. Srl impugnava il diniego di accoglimento della istanza di disapplicazione della disciplina per le società in perdita sistematica per gli anni 2012/2013.
I ricorsi venivano riuniti.
Il contribuente asserisce che la società è sempre stata operativa e produttiva; solo dal 2007, causa crisi economica e concorrenza di paesi emergenti, ha avuto calo di commesse, di produzioni, di redditività.
Produce documentazione al fine di provare che lo scopo della società era quello della produzione e non del godimento.
La Direzione Generale Toscana della Agenzia delle Entrate e la Direzione Provinciale di Prato si costituiscono – quest’ultimo chiedeva la estromissione dal giudizio per difetto di legittimazione passiva – rilevando la inammissibilità dei ricorsi per inesistenza di un atto impositivo e nel merito per il loro rigetto per mancanza dei presupposti.
La Commissione Provinciale di Firenze, competente per territorio, condivide la pregiudiziale dei resistenti e dichiara inammissibili i ricorsi perché l’impugnazione del diniego non è atto compreso nell’elenco di quelli impugnabili contenuto nell’art.19 D.lgs. 546/92.
Compensa le spese.
II contribuente propone appello, soffermandosi sul carattere penalizzante del regime speciale applicabile alle società in perdita sistematica, nato per fini antielusivi allo scopo di contrastare quelle società di comodo che fungono da schermo e non svolgono attività di impresa.
Un contribuente in perdita sistematica aveva due strade:
l) non proporre istanza disapplicativa e quindi sottostare agli obblighi più gravosi derivanti dal regime speciale (uguale situazione nel caso di rigetto della istanza); 2) non sottostare a detto regime e quindi essere sottoposto al recupero delle maggiori imposte gravate di sanzioni e interessi oppure pagare e poi proporre istanza di rimborso delle maggiori imposte versate.
Passando ai motivi specifici della impugnazione lamenta che gli atti impugnabili non siano solo quelli indicati nel citato art.19, ma ogni atto da cui si possa desumere il convincimento della A.F. in ordine ad un determinato rapporto tributario.
L’interpello disapplicativo è la condizione per ottenere l’applicazione del regime ordinario, meno gravoso di quello afferente la società in perdita sistematica, e l’eventuale risposta negativa, incidendo nella sfera giuridica del contribuente, è suscettibile di autonoma impugnabilità.
Per quanto concerne il merito la ricorrente era sempre rimasta attiva, svolgendo attività imprenditoriale, risultante dalla documentazione prodotta.
Purtroppo dal 2007, causa la generale crisi dell’economia nazionale, la notoria crisi del settore tessile per la concorrenza di paesi emergenti e inparticolare del comprensorio pratese, ha dovuto via via ridimensionarsi, rimanendo comunque sempre operativa sul mercato, come dimostra il Margine Operativo Lordo, positivo fino al 2007, poi negativo fino al 2013 dove è tornato ad un valore positivo.
La presenza di situazioni obiettive impeditrici del raggiungimento di risultati positivi giustifica l’applicazione del regime ordinario anziché di quello più
sfavorevole delle norme antielusive.
Chiede la riforma della decisione con declaratoria di sussistenza dei presupposti per la disapplicazione del regime delle società in perdita sistematica e diritto a seguire il regime ordinario.
Si costituivano le parti resistenti rilevando che è consentita l’impugnazione facoltativa del diniego ma solo allorquando l’atto costituisca un vero e proprio atto autoritativo volto a portare a conoscenza del contribuente una pretesa già formata e ben individuata nell’an e nel quantum con intimazione ad esaudirla sotto pena di atti esecutivi.
La appellante, fra l’altro, non avrebbe giustificato la sua perdita sistematica non essendo sufficiente il generico richiamo alla crisi che ha colpito il comparto tessile dell’area pratese.
La Direzione Provinciale di Prato propone appello incidentale relativamente alla mancata pronuncia della Commissione di I grado sulla sua carenza di legittimazione passiva, mentre la Direzione Regionale della Toscana lo propone sulla mancata declaratoria di inammissibilità del ricorso di I grado relativo al 2013 per non esserle mai stato notificato.
Su questi ultimi punti presenta memoria la contribuente rilevando che la Direzione pratese è parte del processo tributario in quanto articolazione dell’Agenzia delle Entrate, mentre il ricorso introduttivo peculiare al 2013 è stato depositato tempestivamente in 2 copie presso la Direzione Provinciale di Prato, organo appartenente alla medesima amministrazione centrale.
****
Alla udienza del 9/5/2017 le parti illustrano le loro tesi difensive ed all’esito della discussione il Collegio così decide:
sulla autonoma impugnabilità del diniego in questione sono stati spesi fiumi di inchiostro, e giudici di merito e legittimità hanno assunto orientamenti oscillanti, in un senso o nell’altro.
Ora pare raggiunto un “accordo” giurisprudenziale sul principio secondo il quale gli atti impugnabili non sono solo quelli indicati nell’art.19 D.lgs. 546/92, essendo detto “catalogo” suscettibile di interpretazione estensiva, anche in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente e di buon andamento della P.A. (fra le ultima Cass. SS.UU. 8587/16).
Ciò comporta che l’impugnazione di atti diversi da quelli specificatamente indicati nel succitato articolo non comporta in ogni caso inammissibilità.
In particolare è stata riconosciuta la facoltà di ricorrere al Giudice Tributario avverso quegli atti adottati dall’ente impositore che portino a conoscenza del
contribuente quella che sarà in definitiva la pretesa tributaria della A.F. Sorge infatti in capo al contribuente destinatario, già al momento della ricezione
della notizia, l’interesse ex art. l00 cpc a chiarire, con pronuncia idonea ad acquisire effetti non più modificabili, la sua posizione in ordine alla stessa ed ad invocare una tutela giurisdizionale di controllo della legittimità sostanziale della pretesa impositiva, anche se la mancata impugnazione di un atto non espressamente indicato nel citato art.19 non determina la non impugnabilità di quella pretesa, che va successivamente reiterata in uno dei tipici atti previsti dallo stesso art.19 (Cass. 17010/12 e precedente ivi richiamati).
Per il Collegio il diniego di disapplicazione di norme antielusive, ex art.37 bis c. VIII DPR 600/73, rientra nel novero degli atti impugnabili in via facoltativa da parte del contribuente.
Ratione temporis l’istanza era obbligatoria, essendo rivolta ad ottenere un atto da parte della p.a., che è l ‘unica che abbia il potere di disapplicare una norma con conseguenze fiscali meno gravose per il contribuente.
La risposta all’interpello, positiva o negativa, costituisce il primo atto con il quale la Amministrazione porta a conoscenza dell’istante, in via preventiva, il proprio convincimento in ordine a quella specifica richiesta, relativa ad un determinato rapporto tributario, che ha l’effetto di incidere sulla condotta del contribuente in ordine alla situazione fiscale peculiare all’istanza stessa (Cass. 17010/12).
E’ evidente quindi che il contribuente abbia l’interesse, ex art. l00 cpc, ad invocare il controllo giurisdizionale sulla legittimità dell’atto, anche se l’omessa impugnazione dell’atto di diniego non pregiudica la posizione del contribuente che ad esso ritenga non adeguarsi (solo deve subire le penalizzanti conseguenze del regime speciale).
Il diniego è pur sempre un atto della A.F. che, pur non rivestendo l’aspetto formale proprio di uno di quelli dichiarati espressamente impugnabili, porta a conoscenza del contribuente quella che sarà la pretesa tributaria della amministrazione stessa, suscitandone l’interesse a chiedere il controllo di legittimità in sede giurisdizionale (Cass. SS.UU. 8587/16).
Ed il Collegio ritiene adeguarsi a questo orientamento, che risulta avvalorato dall’entrata in vigore del d.lgs.156/2015 che, non vincolando più il contribuente in caso di risposta negativa a rispettare il regime più sfavorevole peculiare alle norme antielusive, esclude la impugnabilità della risposta all’interpello.
Di conseguenza è evidente che, precedentemente all’entrata in vigore di tale norme, la autonoma impugnabilità non era preclusa.
Passando all’esame della sussistenza o meno dei presupposti per la disapplicazione della disciplina antielusiva, il collegio ritiene che il contribuente abbia sufficientemente documentato la continuità della sua attività tesa al raggiungimento della produzione prima e al suo mantenimento nel prosieguo che impedisce la chiusura della fabbrica e la perdita totale dei posti di lavoro.
Il ……, costituito nel 1963, ha svolto attività nel tessile, all’epoca attività fiorente e redditizia nel comprensorio della città di Prato, avendo sempre margini
operativi favorevoli fino al 2007, anno in cui è iniziato il declino dovuto alla crisi che ha colpito non solo l’economia italiana ma gran parte di quella europea, con punte particolarmente avanzate per il ramo tessile soprattutto nel comparto pratese.
Questi sono fatti notori, evidenziati nella stampa, nella tv, purtroppo giornalmente visibili nella chiusura di moltissime aziende con relativi licenziamenti del personale dipendente.
E pare strano che proprio l’A.F., che ha in mano il termometro dell’andamento reddituale dell’economia nazionale e locale, ponga in dubbio la veridicità di tali affermazioni, tacciandole di superficialità e genericità.
La società contribuente ha dimostrato invero, con la documentazione agli atti, di aver perseverato nella attività produttiva, progressivamente ridotta per le vicissitudini legate all’economia e allo specifico settore della sua attività, notoriamente più favorevole nei paesi emergenti che in quelli già industrialmente avanzati, con riduzione anche di personale dipendente, ma tentando comunque di restare in vita per proseguire nella produzione e attività.
Questo è desumibile dalle produzioni in atti, dall’esame e dalla comparazione dei dati relativi a vari anni (dati non disconosciuti dagli odierni appellati), da cui emerge sì un progressivo abbassarsi del livello reddituale e occupazionale ma che conforta la tesi che la proprietà ha cercato di mantenere in vita la sua creatura.
La società sembra essere stata ripagata dei suoi sforzi in quanto il margine operativo, dopo alcuni anni negativi, è ritornato ad essere positivo.
Ciò corrobora la tesi che lo scopo della odierna appellante principale non era quello di una società di comodo, nata per coprire sottostanti attività elusive o/e evasive, ma quello della produzione e dell’occupazione.
La società pertanto ha diritto di seguire il regime ordinario e non quello più sfavorevole del regime speciale, avendo dimostrato la sussistenza di situazioni che giustificano il mancato conseguimento dei ricavi minimi.
Privi di fondamento gli appelli incidentali dei resistenti.
La Direzione Provinciale di Prato lamenta di non avere legittimazione passiva in quanto il diniego è di competenza esclusiva della Direzione Regionale.
Ai sensi dell’art.10 D.lgs. 546/92 è parte nel processo anche l’Ufficio delle Entrate del Ministero delle Finanze al quale spettano le attribuzioni sul rapporto controverso.
E’ indubbio che il diniego abbia riflessi economici per il contribuente, tanto che non è stata negata (almeno fino all’emanazione del D.lgs. 156/15) la sua impugnabilità e quindi l’Ufficio di Prato, sede fiscale dell’odierno contribuente, è quello cui spettano le attribuzioni peculiari al rapporto di imposta ai fini ires, iva, irap, ed è parte del processo tributario.
L’appello della Direzione Regionale invece è relativo alla circostanza che l ‘istanza di disapplicazione, relativa all’anno di imposta 2013, era stata notificata alla Direzione Provinciale di Prato e non a lei, con relativa inammissibilità per tale annualità.
L’Agenzia delle Entrate ha carattere unitario – ex multis Cass. 4055/2015 – e la notifica ad un ufficio della Agenzia delle Entrate diverso da quello competente, che ne sarebbe l’effettivo destinatario, è valida, in quanto la distinzione tra uffici della medesima agenzia è una espressione di una distribuzione delle competenze interne alla stessa Agenzia priva di valore e efficacia verso l’utente.
Così si è espressa la Corte Suprema con sentenza 23349/2004, affermando altresì che qualora l’atto del privato venga indirizzato all’organo individuato, anche se privo di competenza per esigenze organizzative specifiche ad esso, produce gli effetti che la legge gli riconnette, essendo onere dell’Ufficio curarne la trasmissione a quello competente.
Anche questa doglianza è pertanto infondata.
Nonostante la totale soccombenza dell’Ufficio si ritiene dover compensare le spese del giudizio per la esistenza di differenti orientamenti giurisprudenziali esistenti sull’argomento.
La Commissione accoglie l’appello del contribuente e rigetta gli appelli incidentali della Direzione Provinciale di Prato e della Direzione Regionale della Toscana, compensa le spese.
Depositato in segreteria il 31 maggio 2017
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