COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE per la Toscana sentenza n. 1621 sez. 1 depositata il 26 giugno 2017
Massima
Il regime degli interessi più favorevole per il contribuente, fissato dall’art. 1, comma 165, l. 296/2006, si applica solo ai tributi degli enti locali e non anche ai tributi regionali. Tale comma è infatti ricompreso nel gruppo dei commi da 161 a 170 che fanno riferimento esclusivamente agli enti locali. I giudici della CTR toscana hanno così affermato che in caso di imposte regionali, trova applicazione il regime generale dell’indebito oggettivo ai sensi dell’art. 2033 c.c., secondo cui, qualora il ricevente sia stato in buona fede, gli interessi sono dovuti dal giorno della domanda.
1. ……………. ha impugnato, di fronte alla Commissione tributaria provinciale di Firenze, il provvedimento della Regione Toscana del 3 giugno 2014, con il quale era stata accolta solo parzialmente una istanza di rimborso relativa all’imposta regionale sulle concessioni del demanio marittimo e si era negato che fossero dovuti gli interessi e la rivalutazione monetaria, per complessivi euro 2446,64. Ha chiesto in via principale che tale somma le fosse riconosciuta a titolo di interessi legali e rivalutazione monetaria, calcolati fino al 10 marzo 2014, da attualizzarsi fino alla data di pagamento; in via subordinata ha richiesto che le fosse riconosciuta la minore somma di euro 1835,05 a titolo di interessi legali e maggior danno, calcolati fino al 10 marzo 2014, da attualizzarsi fino alla data di pagamento.
Con sentenza 2 – 3 novembre 2015, la C.T.P ha rigettato il ricorso avverso il diniego della spettanza di interessi e rivalutazione monetaria sulla base delle seguenti considerazioni: a) gli importi che la regione Toscana avrebbe dovuto restituire alla contribuente erano stati calcolati a seguito della sentenza del Consiglio di Stato n. 3308 del 2013, passata in giudicato il 25 gennaio 2014, la quale, nella controversia instaurata dall’interessata per la determinazione del canone concessorio, lo aveva rideterminato in diminuzione.; b) alla fattispecie in esame non è applicabile l’art. 21, comma 5, della legge Toscana n. 31 del 2005, perché tale disposizione si riferisce esclusivamente a tributi erroneamente corrisposti e non a somme che il contribuente è stato costretto a pagare, pur avendone sempre contestato la debenza, come nel caso di specie per non subire la revoca della concessione; c) non trova applicazione l’art. 1, comma 165, della legge n. 296 del 2006, in base al quale gli interessi legali spettano al contribuente sulle somme ad esso dovute, a decorrere dalla data dell’eseguito versamento, trattandosi di disposizioni che si riferiscono ai soli tributi degli enti locali; d) il procedimento introdotto davanti al TAR con il quale si contestava la determinazione del canone non vale come domanda di restituzione delle somme indebitamente versate, perché tali somme non rappresentano il canone, ma l’imposta regionale sul canone; e) non essendo trascorso il termine dilatorio semestrale previsto dall’art. 21, comma 5, della legge regionale n. 31 del 2005 – che trova applicazione nel caso di specie – non sono dovuti gli interessi moratori.
2. – La sentenza è stata impugnata dalla contribuente di fronte a questa CTR.
3. – Si è costituita in giudizio la Regione Toscana, chiedendo il rigetto dell’appello.
4. – L’appello è parzialmente fondato.
4.1. – Con un primo motivo di doglianza, la contribuente rileva la violazione dell’art. 21, comma 5, della legge della Regione Toscana n. 31 del 2005, perché la CTP, dopo aver affermato che tale disposizione non si applica al caso di specie, ha poi contraddittoriamente affermato la sua applicabilità e l’ha concretamente applicata.
Il motivo è fondato.
Ai sensi del richiamato comma 5, “Il contribuente, per il tributo erroneamente corrisposto, ha diritto agli interessi calcolati al tasso moratorio per semestri compiuti, escluso il primo, compresi tra la data della presentazione dell’istanza e la data del relativo provvedimento dirigenziale di rimborso”.
Tale disposizione deve essere interpretata nel senso che, per “tributo erroneamente corrisposto”, deve intendersi non ogni tributo pagato ma non dovuto, ma solo le somme il cui pagamento sia stato dovuto ad un errore del contribuente, non indotto da un provvedimento dell’amministrazione con il quale il pagamento veniva richiesto. Diversamente opinando, si consentirebbe all’amministrazione regionale di godere del regime di cui sopra – di maggiore favore rispetto regime generale – anche a seguito della emanazione di provvedimenti impositivi poi risultati illegittimi, sostanzialmente avvantaggiandosi del proprio comportamento contrario alla legge.
Nel caso di specie, dunque, la disposizione in questione non trova applicazione, contrariamente a quanto ritenuto nella sentenza impugnata.
4.2. – Si contesta, in secondo luogo, l’affermazione della CTP secondo cui la Regione avrebbe percepito in buona fede le somme versate dal contribuente,
così che gli interessi, in applicazione dell’art. 2033 cod. civ., decorrerebbero dalla domanda piuttosto che dal giorno del pagamento. Si contesta anche l’affermazione secondo cui il ricorso al TAR (del 7 marzo 2008) non conteneva la domanda di restituzione delle somme indebitamente versate, e si sostiene, sul punto, che la ricorrente aveva impugnato anche l’addizionale regionale come quantificata dalle amministrazioni, così da rendere consapevole la Regione della contestazione del credito tributario.
Il motivo è inammissibile per genericità.
La difesa della contribuente si limita ad asserire di avere proposto davanti al TAR domanda di restituzione delle somme indebitamente versate a titolo di tributo regionale, ma non produce né il ricorso proposto di fronte al TAR, né la sentenza da questo resa, ma solo la sentenza di secondo grado pronunciata del Consiglio di Stato, dalla quale non emerge che una tale domanda fosse stata proposta. E del resto, le questioni relative alla debenza di un tributo esulano anche in astratto dalla giurisdizione amministrativa, essendo attribuite alla giurisdizione tributaria. A ciò deve aggiungersi che, all’epoca della presentazione del ricorso al TAR, la contribuente non aveva ancora corrisposto le somme in questione; cosicché la relativa domanda di restituzione non avrebbe potuto comunque essere proposta. Ai fini dell’applicazione dell’art. 2033 cod. civ., deve darsi, dunque, rilievo al momento della presentazione della richiesta di rimborso (26 novembre 2013).
4.3. – Con un terzo motivo di doglianza, si denuncia l’omessa pronuncia sulla domanda di interessi, di rivalutazione e di riconoscimento del maggior danno, che sarebbe stata erroneamente ritenuta assorbita dal rigetto della domanda di interessi. Quanto agli interessi, si sostiene che la loro misura avrebbe dovuto essere determinata ai sensi dell’art. 1, comma 165, della legge n. 296 del 2006. Quanto alla rivalutazione, si contesta la posizione della Regione, secondo la quale essa non dovrebbe essere corrisposta in quanto compresa negli interessi moratori; interessi moratori in realtà non riconosciuti. Si richiama, ai fini della determinazione del maggior danno in via presuntiva, il criterio fissato da Cass., sez. un., n. 19499 del 2008.
Il motivo è solo parzialmente fondato.
Contrariamente a quanto ritenuto dall’appellante non trova applicazione nel caso in esame il regime degli interessi fissato dall’art. 1, comma 165, della legge n. 296 del 2006, perché tale regime, di maggiore favore per il contribuente, si applica solo ai tributi degli enti locali e non anche ai tributi regionali, essendo il comma 165 ricompreso nel gruppo dei commi da 161a 170, che fanno esclusivo riferimento a tale categoria di enti.
Trova dunque applicazione il regime generale dell’indebito oggettivo fissato dall’art. 2033 cod. civ., secondo cui, qualora il ricevente sia stato in buona fede, gli interessi sono dovuti dal giorno della domanda. Deve richiamarsi, quanto all’interpretazione di tale disposizione, il più recente orientamento giurisprudenziale di legittimità, secondo cui in tema di ripetizione d’indebito oggettivo, l’espressione “domanda” di cui all’art. 2033 cod. civ. non va intesa come riferita esclusivamente alla domanda giudiziale ma ha valore di atto di costituzione in mora, che, ai sensi dell’art. 1219 cod. civ., può anche essere stragiudiziale, dovendosi considerare l’accipiens (in buona fede) quale debitore e non come possessore, con conseguente applicazione dei principi generali in materia di obbligazioni e non di quelli relativi alla tutela del possesso di buona fede ex art. 1148 cod. civ. (Cass., Sez. L , Sentenza n. 7586 del 01/04/2011, Rv. 616658- 01; sez. 1, sentenza n. 22852 del 09/11/2005, Rv. 637678 – 01) .
Tali principi trovano applicazione anche nel caso di specie, in cui emerge dagli atti che la contribuente ha presentato richiesta di rimborso il 26 novembre 2013; con la conseguenza che l’amministrazione regionale deve essere ritenuta “in buona fede” fino a tale data, quanto all’indebito ricevuto. A partire da tale data devono essere riconosciuti gli interessi nella misura legale sul capitale di euro 22.212,82, ma non può essere riconosciuta la rivalutazione monetaria, trattandosi di debito di valuta. Potrebbe invece essere in riconosciuto – in quanto espressamente richiesto in via subordinata – il maggior danno nell’entità presuntiva determinato, secondo i criteri fissati dalla giurisprudenza di legittimità, a partire da Sez. U, n. 19499 del 16/07/2008 (Rv. 604419 – 01): “Nel caso di ritardato adempimento di una obbligazione di valuta, il maggior danno di cui all’art. 1224, secondo comma, cod. civ. può ritenersi esistente in via presuntiva in tutti i casi in cui, durante la mora, il saggio medio di rendimento netto dei titoli di Stato con scadenza non superiore a dodici mesi sia stato superiore al saggio degli interessi legali. Ricorrendo tale ipotesi, il risarcimento del maggior danno spetta a qualunque creditore, quale che ne sia la qualità soggettiva o l’attività svolta (e quindi tanto nel caso di imprenditore, quanto nel caso di pensionato, impiegato, ecc.)”. Nel caso di specie, tale ipotesi, però, non ricorre, perché non risulta che, durante la mora, il saggio medio di rendimento netto dei titoli di Stato con scadenza non superiore a dodici mesi sia stato superiore al saggio degli interessi legali; con la conseguenza che nessun maggior danno liquidabile si è verificato.
5. In conclusione, in riforma della sentenza di primo grado, il provvedimento impugnato deve essere annullato, quanto al diniego degli interessi legali, a partire dal 26 novembre 2013, sul capitale di euro 22.212,82, con conseguente condanna della Regione a corrispondere alla contribuente tale somma, da determinarsi in euro 440,18 fino alla pronuncia della presente sentenza.
La soccombenza dell’appellante quanto alla rivalutazione monetaria richiesta in via principale, quanto al maggior danno, nonché quanto alla decorrenza del dovuto, costituisce ragione di compensazione delle spese processuali di entrambi gradi di giudizio, ai sensi dell’art. 92, secondo comma, cod. proc. civ.
In parziale accoglimento dell’appello e in riforma della sentenza di primo grado, annulla il provvedimento impugnato, limitatamente al diniego degli interessi legali, a partire dal 26 novembre 2013, sul capitale di euro 22.212,82, e condanna la Regione a corrispondere alla contribuente tale somma determinata in euro 440,18.
Dichiara compensate le spese dei due gradi di giudizio.
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