COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE per la Toscana sentenza n. 771 sez. 9 depositata il 27 aprile 2016
Massima
La CTR Toscana ha ribaltato la sentenza di primo grado con cui ad una amministrazione provinciale era stato riconosciuto il rimborso della tassa di concessione governativa ritenuta indebitamente pagata su un’utenza telefonica mobile, per gli anni successivi all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 259/2003. I giudici di appello, richiamando la più recente giurisprudenza della Suprema Corte, ritengono, al contrario, applicabile la tassa di concessione governativa ai contratti di abbonamento per la telefonia cellulare. Sul punto le sezioni unite della Corte di Cassazione, con sentenza n. 9560 del 2014, hanno infatti confermato l’attuale vigenza della predetta tassa per l’impiego di apparecchiature terminali per il servizio radiomobile ed hanno, altresì, statuito che gli enti locali sono tenuti al pagamento della tassa in quanto non annoverabili tra le Amministrazioni dello Stato.
Testo:
L’Agenzia delle Entrate, Direzione provinciale di Siena, ai sensi degli artt. 50, 51, 52 e 53 del D.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546 e ss.mm. propone appello avverso la sentenza n. 94/01/13 pronunciata in data 21/03/2013 depositata in data 23/05/2013, della commissione Tributaria Provinciale di Siena ritenendo la stessa meritevole di censura perché infondata ed erronea in quanto aveva accolto il ricorso principale dell’Amministrazione Provinciale di Siena condannando l’Agenzia alle spese di giudizio, in merito alla richiesta di rimborso della tassa di concessione governativa ritenuta indebitamente pagata per gli anni dal 2008 al 2011 per l’importo di euro 69.752.63.
FATTO
In data 21/12/2011 l’Amministrazione Provinciale di Siena spediva all’Agenzia dell’Entrate – Direzione Provinciale di Siena – Ufficio Territoriale, istanza di rimborso di euro 69.752.63 per gli anni 2008, 2009, 2010 e 2011 pari a quanto ritenuto indebitamente versato a titolo di Tassa di Concessione Governativa successivamente all’entrata in vigore del D.lgs. n. 259/2003.
L’Agenzia delle Entrate con comunicazione di diniego, prot. n. — del —,negava il diritto al rimborso informando l’Amministrazione Provinciale che, con riferimento a tutte le fatture emesse dalla — per il bimestre relativo all’anno 2008, numero telefonico ……….., non risultava documentata la data del versamento delle predette fatture per valutare la decadenza ai fini della scadenza del termine triennale di cui all’art. 13, II c. del D.p.r. 641/1972.
Con tempestivo ricorso l’ Amministrazione Provinciale di Siena impugnava il predetto atto ritenendo di avere diritto alla restituzione della Tassa di Concessione e sostenendo che il D.lgs. n. 259/2003 avesse abrogato di fatto la tassa di concessione governativa in questione, chiedeva l’annullamento del provvedimento di diniego in quanto illegittimo e infondato.
L’Amm.ne Prov.le ricorrente, nel far presente di aver prodotto tutta la documentazione ritenuta mancante dall’ufficio riguardo alle fatture emesse dalla —, motivava le proprie richieste, argomentando, in fatto ed in diritto, l’ esenzione ex lege dal pagamento della tassa da parte dei soggetti che, successivamente all’entrata in vigore del decreto n. 259/2003, erano titolari di una utenza telefonica mobile, rendendo conseguentemente indebiti e non dovuti i pagamenti effettuati a tale titolo. Rappresentava, infine, che la Provincia, essendo parte dell’amministrazione statale, non era assoggettabile a tale tassa.
L’Ufficio, nel costituirsi in giudizio, in via preliminare, rilevava che nessuna decadenza poteva essere imputata alla ricorrente dal momento che dall’esame delle fatture prodotte, con l’indicazione dei versamenti effettuati, la richiesta di rimborso risultava tempestiva.
Nel merito, l’A.F. chiedeva il rigetto del ricorso facendo presente che l’art.21 della tariffa allegata al DPR n. 641/1972 non era mai stato abrogato, né tantomeno era stata abrogata la L. 202/91 di conversione del D.L. 151/91, o il D.M. 33/1990, in considerazione che l’art. 21 era stato oggetto di interventi di modifica normativa (L. 244/07).
La Commissione Tributaria Provinciale di Siena, in data 21/03/2013 emetteva la sentenza n. 94/01/13, con la quale accoglieva il ricorso dell’Amministrazione Provinciale e condannava l’Agenzia delle Entrate al rimborso ed al pagamento delle spese di giudizio liquidate in euro 1.000,00.
L’Agenzia delle Entrate di Siena ritiene la sentenza censurabile in quanto priva di ogni pregio e fondamento giuridico poiché si presenta infondata ed erronea nella sua motivazione e, pertanto, propone appello sostenendo che la Commissione Tributaria di Siena abbia erroneamente ritenuto che “la tassa sulla licenza di esercizio di apparecchi telefonici mobili è stata definitivamente abrogata e la parte ricorrente ha diritto alla restituzione di quanto pagato con gli abbonamenti a tale titolo” rimanendo “assorbita ogni argomentazione sul preteso esonero dei Comuni dalla tassa sulle concessioni governative“.
A tale conclusione, sostiene l ‘Agenzia delle Entrate, i primi Giudici sono arrivati rivedendo “sotto i profili logico storico e costituzionale, la interpretazione delle fonti normative dell’imposta de quo“, partendo dall’esame di varie circostanze, alcune rilevanti quali “la trasformazione, correlata alla normativa europea, della concessione in autorizzazione” e “l’introduzione delle c.d. carte telefoniche prepagate che non sono soggette al pagamento della tassa” ed altre circostanze irrilevanti quali “le argomentazioni dirette a ricondurre l’obbligo di pagamento ad una scelta dell’utente o addirittura ad una sua acquiescenza al tributo espressa mediante la delega di Pagamento al gestore” oppure quelle dirette “alla convenienza dell’abbonamento rispetto alle carte prepagate“. Questa Commissione osserva che:
sull’attuale vigenza delle norme che disciplinano il pagamento della tassa di concessione governativa in questione, anche al fine di ben comprendere il percorso giuridico seguito dal legislatore, è opportuno, tuttavia, fare una breve ricostruzione normativa. Con il D.M. 13/02/1990, n. 33 avente ad oggetto il “Regolamento concernente il servizio radiomobile pubblico terrestre di comunicazione“, il Ministero delle Poste e delle Telecomunicazioni ha dettato le norme regolamentari del servizio radiomobile pubblico terrestre di conversazione, che consente agli abbonati l’impiego di apparecchiature terminali, veicolari, portatili ed estraibili.
Per usufruire del servizio radiomobile pubblico terrestre di comunicazione, per il tramite di apposite apparecchiature terminali, è necessario fare richiesta di abbonamento alle società che offrono tale servizio a seguito di regolare autorizzazione generale, rilasciata a norma degli articoli 3 e 4 del D.lgs. n.259/2003 (nuovo “Codice delle comunicazioni elettroniche”).
In particolare, ai sensi dell’art. 2 del citato decreto n. 33/1990, le richieste di abbonamento devono essere inoltrate dai singoli utenti agli operatori telefonici autorizzati, i quali rilasciano all’utente il documento attestante la sua condizione di abbonato al servizio.
Ai sensi dell’articolo 3, c. 2, del medesimo decreto ministeriale “… tale documento, che, sostituisce a tutti gli effetti la licenza di stazione radio, deve contenere gli estremi del tipo di apparato terminale e della relativa omologazione e deve essere esibito dall’abbonato alla pubblica autorità in caso di richiesta di quest’ ultima“.
Ciò posto, l’articolo 1 del DPR 26 ottobre 1972, n. 641 individua l’oggetto della tassa sulle concessioni governative in tutti i “provvedimenti amministrativi e gli altri atti elencati nell’annessa tariffa“. In forza delle disposizioni sopra enunciate, pertanto, il contratto di abbonamento rilasciato dal gestore telefonico è il titolo giuridico che consente all’utente di utilizzare il sistema di telefonia mobile, e sostituisce a tutti gli effetti la c. d. “licenza di stazione radio“.
Ulteriore, e decisiva, conferma alla correttezza della tesi esposta dall’Ufficio perviene dalla norma di interpretazione autentica contenuta nel decreto legge n. 4 del 28 gennaio 2014, convertito con legge n. 50 del 28 marzo 2014.
Con tale norma è stata definitivamente chiarita la difficoltà interpretativa afferente alla persistenza o meno della tassa di concessione governativa.
Infatti il comma 4 dell’art. 2 della citata legge prevede che “Per gli effetti dell’articolo 21 “della Tariffa annessa al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 641, le disposizioni dell’articolo 160 del Codice delle comunicazioni elettroniche di cui al decreto legislativo 108/2003, n. 259, richiamate dal predetto articolo 21, si interpretano nel senso che per stazioni radio elettriche si intendono anche le apparecchiature terminali per il servizio radiomobile terrestre di comunicazione“.
Alla luce di tale intervento normativo è di tutta evidenza la non spettanza del rimborso richiesto e la necessità di riformare la sentenza in oggetto.
Al riguardo si rappresenta che, in proposito, le Sezioni Unite con la sentenza n . 9560 del 2014 si sono espresse in ordine alle legittimità della tassa in argomento in senso favorevole alle tesi dell’Agenzia ed i Giudici hanno confermato l’ attuale vigenza della tassa sulle concessioni governative per l’ impiego di apparecchiature terminali per il servizio radiomobile di cui all’art.21 della Tariffa annessa al DPR n. 641 del 1972 ed hanno, altresì, statuito che i Comuni non possono essere annoverati tra le Amministrazioni dello Stato e, quindi, sono tenuti al pagamento della tassa.
Si fa presente, infatti, che i Giudici della Suprema Corte hanno affermato che “si deve escludere che possano trarsi conseguenze n questo senso dall’abrogazione dell’art. 318 del Codice postale” (D.P.R. 29 marzo 1973, n. 156) – pacificamente riconosciuto come disposizione legittimante, in combinato disposto con l’art. 21 della tariffa allegata al Testo Unico sulle Concessioni Governative, l’applicazione della tassa in discussione – da parte del d.lgs. n. 259 del 2003“.
Invero, il contenuto dell’articolo 318, riconoscono i giudici di legittimità, è integralmente trasfuso nell’articolo 160 della nuova normativa, che, come la precedente, prevede le “stazioni radioelettriche” soggette a licenza d’uso (in sostituzione della quale può aver titolo l’abbonamento): sicché, “il riferimento contenuto nel citato art. 21 della tariffa allegata D.p.r. n. 641 del 1972 all’art. 318 del Codice postale deve intendersi attualmente riferito all’art. 160 del D.lgs. n. 259 del 2003, stante il carattere “formale” e non “recettizio” del rinvio operato dalla Regola tariffaria.
Si deve inoltre escludere che vi sia stata una abrogazione espressa del D.M. 13 febbraio 1990, n. 33 ritenuto, come evidenziano le Sezioni Unite, “lo strumento normativo che avrebbe incluso i “telefoni cellulari” nelle “stazioni radio elettriche” soggette e “licenza d’uso”, stabilendo anche l’equivalenza tra “licenza d’uso” e “abbonamento” (il documento che attesta la condizione di abbonato al “servizio radiomobile pubblico terrestre cli conversazione”, prescrive l’art. 3 del decreto, “sostituisce a tutti gli effetti la licenza di stazione radio, (e) deve contenere gli estremi del tipo di apparato terminale e della relativa omologazione“.
Allo scopo si segnalano alcune pronunce in linea con quanto affermato in materia dalle SS.UU. della Suprema Corte con la citata sentenza 9560 del 2014: CTR di Venezia-Mestre, sentenze nn. 1223/31/14 del 10/07/2014; n. 1130/15/14 del 30/06/2014; n. 1045/22/14 del 20/06/2014; n. 1071/31/14 del 24/06/2014 e CTR di Milano sentenza n. 3834/42/14 del 2 luglio 2014.
Ulteriore conferma di tali conclusioni, con la citata sentenza n. 9560, è data da una delle norme di chiusura del codice delle telecomunicazioni, ossia dall’art. 219 il quale stabilisce che “dall’attuazione del Codice non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato“.
Per la Suprema Corte, infatti, si tratta non solo di una mera disposizione finanziaria, bensì di una vera e propria chiave interpretativa della “liberalizzazione” attuata con riferimento al sistema delle comunicazioni radiomobili. In altri termini le “innovazioni” apportate con il codice debbono essere lette come “neutre” sotto il profilo dei costi pubblici, nel senso che da esse non può derivare alcun “costo aggiuntivo” per il bilancio dello Stato.
In particolare, “un’ interpretazione delle norme del d.lgs. n. 259 del 2003 da cui si facesse discendere un’attuale inapplicabilità della tassa di concessione governativa sui telefonini prevista dal previgente sistema (che, come si è visto, culmina nelle previsioni di cui all’art. 3 del D.L. n. 151 del 1991), sarebbe incompatibile con la disposizione di cui all’art. 219 del medesimo codice e, quindi, non rappresentativa dell’ effettiva realtà normativa“.
L’applicabilità dell’articolo 21 della Tariffa, anche a seguito dell’ entrata in vigore del D.lgs. n. 259 del 2003, trova ulteriore conferma nella circostanza che il legislatore è successivamente intervenuto più volte sulla normativa in argomento.
Prima, con la legge 24 dicembre 2007, n. 244, che, modificando la nota posta in calce al predetto articolo 21, ha esteso l’esenzione dal pagamento della tassa ai non udenti, da ultimo, per un definitivo chiarimento, con l’art. 2, comma 4, del DL 24 gennaio 2014, n. 4, convertito con modificazioni dalla legge 28 marzo 2014, n. 50.
Detta disposizione stabilisce: “Per gli effetti dell’articolo 21 della Tariffa annessa al decreto del presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 641, le disposizioni dell’articolo 160 del codice delle comunicazioni elettroniche di cui al decreto legislativo 1 agosto 2003, n. 259, richiamate dal predetto articolo 21, si interpretano nel senso che per stazioni radioelettriche si intendono anche le apparecchiature terminali per il servizio radiomobile terrestre di comunicazione“.
Trattasi di una norma interpretativa che prevede espressamente l’applicabilità della tassa di concessione governativa ai contratti di abbonamento per la telefonia cellulare. Considerate le alterne vicende della presente causa ed i conflitti giurisprudenziali sopra evidenziati in considerazione dei tempi di emissione della sentenza chiarificatrice della Suprema corte, si compensano le spese di giudizio.
PQM
Accoglie l’appello dell’Agenzia e compensa le spese per i due gradi di giudizio, visti i conflitti giurisprudenziali ed i tempi di emissione della sentenza della Cassazione a Sezioni unite.
Firenza 18/03/2016
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