COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE per la Toscana sentenza n. 83 sez. 31 depositata il 12 gennaio 2017
Massima
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 16711/2016, ha statuito che: “l’idoneità probatoria delle dichiarazioni dei terzi a suffragare la legittimità dell’accertamento in rettifica che su di esse venga a fondarsi risulta di regola apprezzabile solo nell’ambito di un ragionamento inferenziale che ne faccia materia di ponderazione nel concorso di ulteriori elementi di giudizio, a meno che non diano esse stesse vita, per qualità e quantità di indicazioni significative, ad un quadro circostanziale sussumibile per gravità, precisione e concordanza nello schema della prova presuntiva”. Sulla base di tale recentissima pronuncia la CTR di Firenze ha ribaltato la sentenza di primo grado che aveva ritenuto non meritevole di accoglimento il ricorso del contribuente. Il collegio ritiene, infatti, che le dichiarazioni del terzo recepite dall’avviso di accertamento hanno valore meramente indiziario e possono concorrere alla formazione del convincimento del giudice solo se supportati da altri elementi di prova.
Nel processo tributario le dichiarazioni rese da terzi, trasfuse nel processo verbale di constatazione e nell’avviso di accertamento, hanno valore meramente indiziario e concorrono a formare il convincimento del giudice solo se confortati da altri elementi di prova. In particolare, è necessario valutare, nel caso di specie, se le dichiarazioni del terzo siano o meno attendibili (anche per l’eventuale natura confessoria), e se, nell’insieme, gli indizi siano gravi, precisi e concordanti.
Testo:
In data 21 gennaio 2015 il sig. B.A. ricorre avverso la sentenza n. 250/112014 della Commissione Provinciale di Lucca depositata il 22 maggio 2014, non notificata, che ha respinto i ricorsi proposti R.G.R. 1472/2011 depositato il 15.12.11 e R.G.R. 185/2013 depositato il 12 febbraio 2013 contro l’Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale di Lucca, ufficio controlli Area legale, per l’annullamento degli avvisi di accertamento IRPEF – IRAP – IVA relativi agli anni 2006 – 2007-2008
In data 2.9.2008 la Direzione Provinciale del Lavoro dì Lucca, servizio ispettivo effettuava una verifica nei confronti di B.A., a seguito della denuncia di un collaboratore domestico, tale V.T., finalizzata ad accertare l’adempimento in materia assistenziale, contributiva e previdenziale, culminata con il processo verbale n. 606/216/2000 redatto dalla stessa Direzione Provinciale e con il processo verbale n. 50112008, INPS di Lucca.
Detti processi verbali venivano trasmessi, in forza dell’art. 19 legge n. 41/91 alla Guardia di Finanza di Lucca.
Questa, nonostante le documentate eccezioni sollevate dal ricorrente, eseguiva d’ufficio, a sua volta,una verifica degli adempimenti fiscali richiesti, sulla sola base degli accertamenti eseguiti dagli altri richiamati uffici periferici.
La verifica si concretizzava nel processo verbale di contestazione datato 7.4.2011, che, trasmesso all’Agenzia delle Entrate, ha originato gli accertamenti impugnati per gli anni 2006, 2007 e 2008.
Contro tali provvedimenti il ricorrente ha proposto ricorso avanti la Commissione tributaria di Lucca deducendo la nullità degli atti di accertamento, in quanto fondati su atti amministrativi presupposti, privi dì alcun effetto, in quanto sospesi dall’autorità giudiziaria a seguito di rituale ricorso; l’infondatezza nel merito, in quanto il ricorrente, quale persona fisica, non esercente alcuna attività commerciale, non era tenuto a presentare la dichiarazione IVA ne ad operare alcuna trattenuta, non essendo sostituto di imposta e l’infondatezza per la compatibilità dei redditi dichiarati con quanto corrisposto a titolo di retribuzione al dipendente.
La Commissione Tributaria di Lucca con la sentenza impugnata ha respinto i ricorsi compensando le spese, sul presupposto che il ricorrente nei periodi contestati, avesse esercitato l’attività commerciale di allevamento di cavalli.
Contro tale sentenza propone appello il ricorrente per violazione e falsa applicazione di legge in relazione all’utilizzabilità di atti o documenti sospesi cautelarmente dall’autorità giudiziaria; falsa rappresentazione ed erronea valutazione delle prove ed errore di fatto, erronea valutazione delle risultanze probatorie.
Conclude chiedendo che la Commissione, in riforma della sentenza impugnata, accolga il ricorso e per l’effetto annulli tutti gli avvisi di accertamento impugnati con i relativi ricorsi, relativi agli anni 2006-2007-2008 con ogni conseguente statuizione in ordine alle spese di causa di primo e secondo grado.
In data 5 marzo 2015 si costituisce l’Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale di Lucca e, sul primo motivo di appello, ritiene la decisione resa dai primi giudici certamente corretta in quanto ha rilevato che la mera sospensione dei provvedimenti impugnati dinnanzi al giudice del lavoro è irrilevante, in quanto si tratta di meri provvedimenti cautelari.
A tal proposito, quindi, osserva che una cosa è un provvedimento cautelare il quale, per definizione non ha una funzione decisoria nel meritò, ed altra è una eventuale sentenza che decida invece nel merito.
Pertanto, in mancanza di Una decisione nel merito, il mero provvedimento di sospensione deciso dal giudice del lavoro, è privo di qualsiasi rilevanza proprio per la mancanza di un suo contenuto decisorio.
Allo stato il provvedimento emesso dall’INPS è valido e legittimo, in quanto non è intervenuta alcuna sentenza dell’autorità giudiziaria che abbia sancito con sentenza passata in giudicato che esso sia illegittimo.
Del resto, evidenzia che la rettifica effettuata dalla G.d.F. ha evidentemente utilizzato le risultanze istruttorie, ovvero le dichiarazioni rese dai soggetti ascoltati, con la conseguenza che ai fini che qui rileva, non tanto l’esito del giudizio instaurato dinnanzi al giudice del lavoro, bensì la valenza degli elementi probatori rinvenuti ed in base ai quali prima i militari della G.d.F. e successivamente l’ufficio hanno proceduto a contestare quanto indicato negli atti impositivi.
Anche il secondo motivo di appello appare infondato.
Infatti, non corrisponde al vero il fatto che il giudice tributario si sia sostituito al giudice del lavoro, ma ha, con una compiuta motivazione, indicato le ragioni della sua decisione.
In questo modo ha chiaramente esplicitato le ragioni in base alle quali ha considerato non rilevanti nel presente giudizio tali deposizioni.
Invero, sul punto nell’atto dì appello non si contesta questo specifico punto, ma si tende semplicemente ad affermare che il giudice sarebbe caduto in errore non considerando che tali testimonianze erano state rese nel corso di un processo.
In realtà tale osservazione è priva di qualsiasi rilevanza, atteso che ciò che rileva è il contenuto della dichiarazione del terzo, non esistendo dichiarazioni di terzo che di per se siano più qualificate di altre.
Peraltro, ricorda che nel presente giudizio ciò che deve essere valutato sono gli elementi di prova forniti dalle parti.
Il terzo motivo di appello è privo di rilevanza.
Infatti, come emerge dalle motivazioni della sentenza esistono una pluralità di elementi che hanno permesso ai primi giudici di arrivare a tale conclusione.
Quindi, una serie di dichiarazioni che trovano conferma documentale e che non sono state in alcun modo superate dal contribuente.
Sul punto, peraltro, in aggiunta a quanto detto dalla CTP ricorda che, come emerge dall’avviso di accertamento (cfr ad es. motivazioni dell’avviso di accertamento per l’anno d’imposta 2007 pag. 8 e 9), sono state sostenute spese riconducibili all’attività di allevamento di cavalli, alle quali controparte ha replicato con affermazioni generiche e non documentate.
Del resto, il fatto che non siano stati rilevate ulteriori “tracce di acquisti” relativi allo svolgimento di tale attività è certamente da ricollegare al fatto che essa è stata svolta “in nero” con la ovvia conseguenza che era logico che il titolare cercasse di occultare le tracce relativamente all’esercizio di tale attività.
Dalla visura della CCIAA emerge chiaramente che sin dal 1987 il contribuente esercitava l’attività di allevamento di equini e che dal 2003 esiste altra attività di allevamento di cavalli.
È, dunque, evidente che il soggetto ha sempre avuto una specifica conoscenza del settore, tanto da poter esercitare tale attività a livello d’impresa.
Di conseguenza deve essere confermato anche il fatto che l’odierno appellante fosse titolare di apposita impresa, con tutte le conseguenze sul piano fiscale che ne discendono.
Per quanto esposto, diventa, quindi irrilevante, in quanto superato dagli elementi probatori forniti dall’ufficio, la circostanza che per pochi mesi il sig. T. fosse stato formalmente assunto come collaboratore domestico, atteso che di fatto svolgeva le funzioni tipiche di un lavoratore alle dipendenze di un imprenditore commerciale.
Infine, per quanto occorrer possa, osserva che con gli avvisi di accertamento per gli anni d’imposta 2007e 2008 era stato contestato anche l’omessa dichiarazione di ricavi derivanti da canoni di locazione, per euro 12.000 nell’anno 2007 e euro 10.940 per l’anno 2008.
Su tale circostanza controparte nulla ha eccepito, né in primo, né in secondo grado e, conseguentemente, su tale rilievo si è formato un giudicato.
L’Ufficio chiede alla Commissione Tributaria Regionale, nel confermare la definitività del rilievo di cui al n. 2 degli avvisi di accertamento per gli anni 2007 e 2008, il rigetto dell’appello e la condanna del ricorrente alle spese di giudizio.
In data 26 febbraio 2015 il ricorrente chiede che la controversia sia discussa in pubblica udienza.
In data 2 dicembre 2016 il ricorrente deposita memorie illustrative.
La Commissione richiama la sentenza della Corte di Cassazione Sezione Tributaria 8 aprile 2015 n. 6953 secondo la quale “nel contenzioso tributario neanche il giudicato penale comporta automaticamente l’efficacia vincolante ai sensi dell’articolo 654 c.p.p., sicché la sentenza penale costituisce semplice indizio od elemento di prova critica in ordine ai fatti in essa eventualmente accertati sulla base delle prove raccolte nel relativo giudizio e non rappresenta un accertamento.
Nessuna efficacia vincolante, pertanto, né elemento di prova, può essere attribuito ad atti amministrativi privi di alcuna efficacia esecutiva, come nel caso di specie.
Inoltre, anche la la Corte Costituzionale (sent. n. 18/2000) sa precisato che “il valore probatorio delle dichiarazioni raccolte dall’Amministrazione finanziaria nella fase dell’accertamento è, infatti. solamente quello proprio degli elementi indiziari, i quali, mentre possono concorrere a formare ilconvincimento del giudice, non sono idonei a costituire, da soli, il fondamento della decisione”
La Corte di Cassazione, Sezione Tributaria 9 agosto 2016, n. 16711, ha statuito che “…l’idoneità probatoria delle dichiarazioni dei terzi a suffragare la legittimità dell’accertamento in rettifica che su di esse venga a fondarsi a mente del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 39, comma l, lettera d) e Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 54, comma 2, risulta di regola apprezzabile solo nell’ambito di un ragionamento inferenziale che ne faccia materia di ponderazione nel concorso di ulteriori elementi di giudizio, a meno che non diano esse stesse vita, per qualità e quantità di indicazioni significative, ad un quadro circostanziale sussumibile per gravita, precisione e concordanza nello schema della prova presuntiva (9402/07)…”
Il Collegio ritiene che nel processo tributario le dichiarazioni del terzo, acquisite dalla polizia tributaria nel corso di un’ispezione e trasfuse nel processo verbale di constatazione, a sua volta recepito dall’avviso di accertamento, hanno valore meramente indiziario, concorrendo a formare il convincimento del giudice, se confortati da altri elementi di prova; se rivestono i caratteri di gravità, precisione e concordanza di cui all’articolo 2729 cod. civ., essi danno luogo a presunzioni semplici (Cass. 9876/2011; Cass. 9402/2007).
Ricorda, poi, il principio del giusto processo e della parità di armi processuali tra le parti, che riconosce ampia facoltà di prova contraria, potendo il contribuente avvalersi, se lo ritenga, anche di analoghi mezzi conoscitivi da riversare nel processo (Corte Costituzionale n. 109 del 2007).
Il giudice tributario deve, procedere a una valutazione globale degli elementi disponibili, spiegando, ove intenda escludere l’utilizzabilità delle predette dichiarazioni, le ragioni della loro inattendibilità. (Cass. Sezione 5, Sentenza n. 8772 del 4 aprile 2008).
Il Collegio ritiene che l’Agenzia delle Entrate e il Giudice di primo grado non abbiano posto in essere alcuna valutazione sulla gravità, precisione e concordanza degli elementi raccolti dalla Guardia di Finanza o prima ancora dall’Ispettorato del lavoro, né hanno adeguatamente valutato e spiegato l’inutilizzabilità delle dichiarazioni contrarie introdotte dal contribuente, mentre appare necessario valutare se le dichiarazioni del terzo fossero o meno suffragate da altri “elementi di prova” e, in particolare, se le stesse fossero o meno attendibili (anche per l’eventuale natura confessoria), e se, nell’insieme, gli indizi fossero gravi, precisi e concordanti.
Il Collegio ritiene, ancora, che l’Amministrazione Finanziaria non abbia fornito una motivazione logica e coerente, delle ragioni e degli elementi di fatto dalle quali ricavare che il ricorrente, possessore di un cavallo, avesse, in concreto, esercitato l’attività di commercio di cavalli, ricavandone un reddito imponibile, se non limitandosi alle dichiarazioni di terzi confrontandole con le dichiarazioni provenienti da altri terzi.
Dai verbali dì accertamento non risulta affatto che il sig. B. abbia esercitato attività di maneggio cavalli, se non il fatto che lo stesso ha dichiarato alla CCIAA di aprire una attività di maneggio dal l0 gennaio 2009 da cui è stato dedotta una presunzione del tutto immotivata che anche negli anni precedenti di cui è causa, abbia esercitato analoga attività.
In sede di accertamento non sono stati rinvenuti gli elementi tipici caratterizzanti una attività commerciale di allevamento di cavalli: mancano quasi del tutto prove di di acquisti e rivendita di cavalli o pagamenti per il mantenimento, la cura, l’allenamento, o in genere di tutto quanto è necessario e tipico dell’attività di allevamento.
Risulta, poi, dalla visura storica del certificato della CCIAA che la ditta individuale B.A. aperta nel 1987 n. REA VR—-, con sede in —, riguardava l’attività di agente di commercio in pellami e conciati per le calzature, iscritta con la qualifica di piccolo imprenditore, attività poi trasferita nel 2003, come da denuncia presentata con effetto dal 28 febbraio a —, attività formalmente cessata solo nel 2008, a seguito di variazione dell’attività prevalente dell’impresa a far data dal l° gennaio 2009, in allevamento di cavalli e equini.
Il Collegio non ritiene provato che prima di tale data il ricorrente abbia esercitato l’attività di allevamento cavalli, ma risultava possessore di un solo cavallo.
Infine, la Commissione ricorda che gli avvisi di accertamento per gli anni d’imposta 2007 e 2008 contestavano anche l’omessa dichiarazione di ricavi derivanti da canoni di locazione per euro 12.000 nell’anno 2007 e per euro 10.940 per l’anno 2008.
Su tale circostanza il ricorrente nulla ha eccepito, né in primo, né in secondo grado e, conseguentemente, su tale rilievo si è formato un giudicato.
E’ giustificabile la compensazione delle spese di giudizio data la natura, complessità e diversità dei giudizi interpretativi concernenti tale materia.
La Commissione, in riforma, accoglie l’appello del contribuente, nei limiti contestati. Spese compensate.
Così deciso in Firenze il 14 dicembre 2016.
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